“Confindustria recentemente suona la campana a morto per ogni dichiarazione che fa, invece dovrebbe usare toni più pacati e meno liquidatori. Meno allarmismo potrebbe suscitare più domanda”. (M. Monti)
Ci fu un periodo nel quale il predecessore di Monti a palazzo Chigi sosteneva che sulla crisi c’era troppo allarmismo, che in realtà i ristoranti erano pieni, eccetera. In pochi gli credevano, anche all’interno del proprio partito. Parecchi gli diedero più o meno esplicitamente del cialtrone.
Lo stesso Monti, soprattutto dopo essere diventato presidente del Consiglio, andò per mesi sostenendo che l’azione del suo governo, che stava distribuendo agli italiani bastonate fiscali assortite, era necessaria a “salvare” l’Italia da una prospettiva greca. Non mi pare vi fosse molto ottimismo all’epoca.
Non è che nel frattempo l’andamento dell’economia sia migliorato, semmai il contrario. D’altra parte qualsiasi restrizione fiscale comprime il Pil, quanto meno inizialmente. Il problema è che una restrizione fiscale condotta per lo più aumentando le tasse quando queste sono già elevate non fa altro che togliere al tessuto produttivo quel minimo di ossigeno che era rimasto.
Ora, la situazione è quella che è: uno può anche usare “toni più pacati e meno liquidatori”, ma la realtà non cambia. Né aiuta a cambiare le aspettative la sostanziale inconcludenza del governo neodemocristiano guidato da Enrico Letta, che finora non ha fatto altro che rimandare e si è ben guardato dall’ipotizzare quella riduzione di spesa pubblica di cui l’Italia ha davvero bisogno se si vuole veramente parlare di riduzione della pressione fiscale.
Appunto: la riduzione della pressione fiscale, al di là delle chiacchiere, interessa a chi governa?
@ Sigismondo
Pur essendo sostanzialmente d’accordo con le cose che dici, trovo che il paragone dello stato con una nave non sia molto felice. Io penso che NON siamo tutti sulla stessa barca; già il fatto che ci sono imprenditori che si suicidano e parlamentari che se la spassano allegramente con i nostri soldi dimostra che queste due figure vivono su due pianeti diversi anche se fisicamente possono essere vicini di casa.
Sulla nave esiste un timone che segue una rotta prestabilita, ma noi libertari crediamo nel mercato, nella libera iniziativa e nell’autodeterminazione (degli individui, non dei popoli), e quindi non abbiamo bisogno di timonieri che ci portino dove non vogliamo andare.
Ancora lo stato, contrariamente a una nave, non affonda mai. Anche in Grecia lo stato esiste ancora e i suoi burocrati continuano a passarsela bene.
Suggerirei di abbandonare il modello stato = nave perché fuorviante; resta invece sempre esplicativo il paragone dello stato con un prepotente che si intromette con la forza tra due soggetti che stanno trattando un affare e li spoglia dei loro averi lasciando loro le briciole.
Ma il problema è che ci troviamo in queste condizioni proprio perché lo stato è stato troppo amico, ha coperto le spalle a una classe imprenditoriale con poca o nessuna voglia di investire, garantendole dentro l’anomalo paradigma berlusconiano, un illusorio recupero di competitività attraverso la precarizzazione del lavoro e il taglio di diritti e di salari. Proprio lo Stato si è rivelato più che amico, diciamo pure complice con le privatizzazioni -svendita, facendo intravvedere una terra promessa di poche regole, cercando in tutti i modi di dividere ed addomesticare i sindacati, di delegittimare il lavoro. Proprio lo stato ha fatto finta di non vedere la delocalizzazione selvaggia, si è di fatto astenuto sulle crisi industriali e ha perfino fatto finta di non accorgersi degli inganni di Marchionne e del suo piano di fuga dall’Italia, dandogli persino una mano.
Proprio lo stato troppo amico, troppo assente e troppo complice assieme ha creato l’ambiente anomalo nel quale più che alla competitività e all’innovazione che ne è un fattore necessario, si è pensato agli investimenti finanziari, ai paradisi fiscali e ai beni personali. Un ambiente ultracapitalistico quanto a politiche e a prassi, ma senza l’elemento di stimolo e competizione necessario visto che il milieu politico, nella sua funzione di socio occulto, di beneficiato subalterno o di vittima designata di ideologismi liberisti, non è stato nemmeno capace di imporre misure minime di civiltà come a Taranto.
Altro che stato amico: Confindustria con il suo Tycoon di riferimento, con un’opposizione flebile, se non di facciata, ha di fatto occupato la governance del Paese. E se non è riuscita a imporre una diminuzione nominale delle imposte, una delle poche cose razionali, ciò è stato dovuto alla gigantesca evasione che pesa sui bilanci pubblici. Ora, con la crisi di domanda, tutte queste logiche presentano il conto: il baratro di cui parla Squinzi è stato scavato da loro.
Fossi in Squinzi prenderei baracca e burattini, mi trasferirei nelle dorate lande Elvetiche e poi convocherei una bella conferenza stampa in cui direi “ragazzi, VA TUTTO BENE!”
E’ la burocrazia che non vuole riduzione delle tasse perchè temono contestuali riduzioni di stipendi e organici alla greca.
Alla fine in Italia comanda la burocrazia!!
Teoricamente la riduzione delle tasse dovrebbe interessare anche chi governa. Se la nave affonda, quelli che stanno nella stiva vanno giù per primi, ma poi tocca anche a quelli che stanno aggrappati ai bordi del fumaiolo