E’ un contribuente, e fin qui è pacifico. Se uno produce qualcosa e la mette nel mucchio dei “beni comuni” in cambio di uno stipendio standard è uno statale. Potrebbe aver prodotto qualcosa di inestimabile. Potrebbe essere un meraviglioso insegnante che accende una luce in centinaia di persone, un medico altruista che salva la vita a migliaia di persone, un ricercatore geniale che migliora il destino di milioni di persone. Potrebbero essere milioni di persone che fanno onestamente quello che viene loro richiesto o pochi che vivono una vita di agi e di lussi donando chiacchiere e aria fritta. Tutto nel mucchio, non c’è logica, non c’è regola, non c’è valutazione quindi non c’è valore definibile.
C’è solo un modo per sapere quanto vale qualsiasi cosa: scambiarla. Bisogna trovare qualcuno che rinunci volentieri a qualcosa di suo, che sia una figurina o un miliardo, in cambio proprio di quella cosa. E’ la catallassi, l’unico sistema di valutazione che siamo riusciti a escogitare senza richiedere l’intervento di esseri superiori che stabiliscano il prezzo o la tariffa al posto nostro. Uno può creare l’opera d’arte che segna una svolta nella storia ma finchè non troverà qualcuno disposto a dargli qualcosa in cambio dovrà continuare a rimirarsela nel suo tinello senza mai sapere quanto vale veramente.
Ebbene, che produca prodigi o cartacce inutili, lo statale non sa e non saprà mai se sta “contribuendo”, ovvero se il suo apporto al bene comune è maggiore di quello che ne ricava, o se sta vivendo da parassita. A molti, probabilmente, questo dubbio non provoca inquietudine, anzi, resta il fatto che il dubbio c’è, coinvolge tutti e sta mettendo tutti contro tutti .
C’è una forte disparità di trattamento fra chi versa obbligatoriamente una parte del suo, piccola o grande, e chi invece non ha vincoli: faccia o non faccia quello che deve fare nulla cambia, in ogni caso arriva il 27 e con il 27 lo stipendio. Di fronte a questa disparità molti contribuenti reagiscono con l’evasione. Vuoi per l’impossibilità reale di contribuire, vuoi per opposizione di principio, la fetta di quelli che rifiutano la disparità è inevitabilmente destinata ad ingrossare a dismisura.
C’è un dettaglio importante ma che dirime la questione. Il “mucchio di beni comuni” al quale vengono conferite le quote dei contribuenti e i prodotti degli statali, non è mai stato un “mucchio” ma è sempre stato un “buco”. L’apporto complessivo degli statali, e quello viene valorizzato, è sempre stato inferiore alla somma dei loro ricavi per cui invece di accumulare si è sempre scavato confidando nello spirito santo per poter colmare il buco (pagare il debito). Per l’incapacità dei custodi dei beni comuni (i venditori di aria fritta) il buco è diventato una voragine sempre più grande, i bordi franano e rischia di ingoiare tutto. Non è una caratteristica solo italiana, sia chiaro, cambiano le dimensioni ma succede lo stesso in tutti i paesi del mondo.
Che fare?
Cosa possono fare Bersani, Berlusconi, Grillo, Monti e tutti gli altri venditori di aria fritta? Assolutamente niente se non prendere tempo e continuare a vendere aria fritta.
Il problema è nostro, dobbiamo renderci conto, è il solo modo di reagire che abbiamo. Rendere conto a noi stessi, con onestà, che la diatriba fra “contribuenti” e “statali” è una guerra fra poveri che non serve a niente se non a dare tempo e prebende ai peggiori fra i parassiti che ci infestano. Rendersi conto richiede uno sforzo supplementare da parte degli statali per capire che la loro posizione è insostenibile. Volenti o nolenti devono uscire dalla nicchia, accettare lo scambio senza paura, trovare in se stessi quel po’ di sicurezza che è il minimo sindacale che la vita richiede per essere vissuta senza sfruttare i prossimo. Non ci sono alternative, le “cure” proposte dai politicanti sono tutte patetici palliativi, l’economia non transige e se non ci sarà un vero cambio di direzione ci sarà un “grande riallineamento” che non guarderà in faccia nessuno.
Approvo l’articolo, semplice, diretto ed inequivocabile.
Quoto anche quanto dice Marco Trizzi.
come sopra caro Antonino
Attacchi Capanna e tutti commentano.
Scrivi un pezzo così e non ti caga nessuno.
Questo è il problema, caro Facco. Sta tutto qui.
IO, CARO MARCO, HO PERSO OGNI SPERANZA ORMAI. DOPO 20 ANNI… MI SONO ACCORTO CHE LA LIBERTA’ E’ PER POCHI E CHE, SPESSO, QUEI POCHI TE LO METTONO IN QUEL POSTO.
TROPPO STATALISMO I ITALIA, QUESTO PAESE NON HA MERCATO PER LE IDEE DAVVERO LIBERALI, DA CUI I LIBERALI SI VENDONO AL PRIMO MIGLIOR OFFERENTE. (non scrivo maiuscolo per ulrare, ma per sottolineare)
Buona serata!
Non credo alla fine ci sia da arrabbiarsi.
Sicuramente c’è da insistere con le singole lotte, se valgono la pena e se ne ha le forze, ma per il resto si fanno girare le idee tra chi vuole ascoltarle e si impegna il resto del tempo per se stessi, che è l’attività più redditizia che possa esistere.
Come scrivevo oggi ad un amico, chi non sa riconoscere che la meraviglia della neve sta nell’unicità di ognuno dei suoi fiocchi è destinato a non apprezzare mai la vita.
Anche se mi rapinano e mi insultano pure dopo avermi derubato, anche se sono sanguisughe, non possono che avere la mia compassione.
Prima o poi il seme della libertà attecchirà. Forse non lo vedremo, forse sarà prestissimo, ma prima o poi succederà.