“Il taglio della spesa pubblica è un’operazione comunque impossibile da fare senza il rischio di avere un costo sociale.” (V. Grilli)
Vittorio Grilli, ancora in carica come ministro dell’Economia e delle finanze, si è espresso così durante il Workshop Ambrosetti a Cernobbio. La sua dichiarazione è indubbiamente coerente con la linea d’azione del governo di cui fa parte, che ha impostato le manovre di correzione dei conti pubblici privilegiando gli aumenti di entrate alla riduzione della spesa pubblica.
Partendo dalla situazione dell’Italia a fine 2011, erano tre le principali leve utilizzabili per ridurre il deficit e iniziare a contenere il debito: aumentare le entrate, ridurre le spese e dismettere patrimonio pubblico. La prima leva è stata utilizzata fin dall’inizio in modo preponderante (circa il 70 per cento delle manovre). La seconda leva, fatta eccezione per la riforma delle pensioni, è stata oggetto della famigerata spending review, che ha prodotto tante chiacchiere e pochi tagli concreti. La terza leva è stata più o meno apertamente boicottata dallo stesso Grilli e da tutto il ministero dell’Economia, sostenendo fin dall’inizio che dalle dismissioni non si sarebbero ricavati più di 15-20 miliardi all’anno, di cui non si è peraltro neppure iniziato a vedere traccia. Pare che vi siano difficoltà tecniche quasi insormontabili, che buona parte dei cespiti da porre in vendita siano di proprietà degli enti locali, e che non esista neppure un database aggiornato sugli stessi cespiti. Non voglio dire che siano tutte scuse per non fare nulla, ma ho la netta sensazione che al ministero dell’Economia si mettono molti meno problemi quando vengono introdotte imposte che, oltre ad aggiungersi al già pesante carico fiscale, sono anche tecnicamente difficili da gestire per chi deve calcolarle e pagarle.
Adesso Grilli se ne esce tirando in ballo il “costo sociale” che scaturirebbe se si tagliasse davvero la spesa pubblica. E’ inevitabile che ogni taglio di spesa comporti una diminuzione di benessere per chi beneficia delle somme destinate a venire meno. Ma lo stesso si può dire per chi è chiamato a pagare nuove imposte che si aggiungono a quelle esistenti. Eppure in questo caso la retorica del “costo sociale” non viene mai presa in considerazione.
Ma tra le tante imprese che hanno chiuso negli ultimi anni suppongo ve ne sia più di una che lo ha fatto perché non riusciva più a reggere il carico fiscale o, peggio ancora, perché non riusciva a pagare i propri creditori a causa del fatto che lo Stato non saldava i propri debiti.
Anche questi sono “costi sociali”. O no?
“Tutti gli animali sono uguali. Ma alcuni animali sono più uguali degli altri” (G.O)
una volta la gente ignorante diceva “lo stato siamo noi” ora anche alla gente ignorante è chiaro che “lo stato sono loro” ..e faranno di tutto per continuare ad esserlo.
siamo alla lotta di classe: lo stato contro l’individuo.
l’uno spende, l’altro paga(va).
Grilli è soltanto un’altra delle mutazioni della metastasi statalista repubblikana