“Gli esborsi per trasferimenti come il Medicare e la previdenza sociale sono in aumento, ma gli acquisti da parte delle amministrazioni pubbliche – soprattutto a livello statale e locale, che includono anche l’assunzione di insegnanti scolastici – stanno diminuendo con rapidità… Il periodo dall’inizio della Grande recessione in poi è stato caratterizzato da un’austerity senza precedenti. I consumi e gli investimenti pubblici… se fossero cresciuti con la velocità con cui erano cresciuti sotto l’amministrazione Bush, sarebbero più alti del 12 per cento. Calcolando un moltiplicatore superiore a uno… significa che il Pil nazionale oggi sarebbe un po’ più alto di 450 miliardi di dollari (ossia il 3% in più) e che la disoccupazione sarebbe più bassa di 1,5 punti percentuali.” (P. Krugman)
Proprio mentre in Europa salgono i cori che denunciano l’eccesso di austerità, Paul Krugman vuole dimostrare di avere, keynesianamente parlando, una marcia in più. E così e ne esce sostenendo che l’austerità c’è anche negli Stati Uniti.
Ora, come ho già sostenuto nei giorni scorsi, è vero che in Europa prevalgono politiche fiscali restrittive, peraltro sbilanciate dal lato dell’aumento della tassazione, il che non è vera e propria austerità, consistendo quest’ultima in una riduzione delle spese. Sostenere che lo stesso si stia verificando negli Stati Uniti è, però, un po’ azzardato.
Krugman guarda alla prima stima relativa alla crescita del Pil nel quarto trimestre del 2012 e conclude che in America c’è austerità. A parte il fatto che la spesa pubblica era stata una delle componenti che avevano maggiormente sostenuto l’aumento del Pil nel trimestre precedente – quando si è in campagna elettorale, tutto il mondo è paese: chi è al governo aumenta la spesa per aumentare il consenso – sembra che Krugman valuti l’andamento della spesa pubblica senza prendere minimamente in considerazione le condizioni in cui versa il bilancio federale degli Stati Uniti.
Con un approccio un po’ grezzo, valuta l’andamento della spesa pubblica ai tempi dell’amministrazione Bush e conclude che se la spesa fosse aumentata allo stesso ritmo con Obama, adesso sarebbe più alta del 12 per cento.
Usando il “magico” moltiplicatore keynesiano, ciò comporterebbe un Pil superiore di 450 miliardi di dollari e una disoccupazione inferiore di 1,5 punti percentuali rispetto a quella attuale.
Il problema dell’approccio di Krugman, e anche di quelli basati su modelli econometrici più sofisticati, è che poggiano su assunzioni la cui esattezza è tutt’altro che dimostrata. Finché sostiene che se la crescita della spesa pubblica fosse proseguita come ai tempi di Bush adesso sarebbe superiore di 12 punti, c’è poco da eccepire (quanto meno nel calcolo). Ma quando sostiene che il Pil sarebbe oggi superiore di 450 miliardi spaccia per verità assoluta una sua ipotesi. Lo stesso dicasi con riferimento alla disoccupazione.
Tutto ciò detto, parlare di austerità è del tutto fuori luogo; se alcune voci di spesa hanno subito una diminuzione, è del tutto evidente che altre hanno avuto un andamento contrario e complessivamente superiore. Altrimenti non si sarebbero accumulati circa 30 punti di Pil di maggior debito federale negli ultimi quattro anni.
Ma i keynesiani sono abituati ad analizzare i dati economici valutando solo l’andamento del Pil, senza dare troppa importanza agli effetti sul bilancio pubblico. E’ come se, analizzando i conti di una società, si considerasse solo il conto economico, tralasciando lo stato patrimoniale. Come minimo si sarebbe considerati analisti scarsi. A Krugman, invece, hanno dato il Nobel per l’economia.
Il Nobel per l’economia mai è esistito e mai esisterà. Nobel era un industriale, una persona seria, mai e poi mai si sarebbe abbassato a lasciare denaro agli “economisti”.
La propaganda statalista doveva dare un lustro ai suoi “intellettuali” e ha inventato un premio IN MEMORIA di Nobel, quando Nobel era morto da più di 70 anni. Chiunque di noi può istituire un premio in memoria di Nobel su qualsiasi tema ed argomento, possiamo anche inventarci il premio per il fallo più grande in memoria di Alfred Nobel, ma questo non sarà mai un premio Nobel.
Le volontà dell’industriale erano chiare: fisica, chimica, medicina, letteratura, pace. Il testamento è a Sanremo, se volete leggerlo di persona.
Il resto sono puttanate mediatiche.