“In fondo, come diceva Milton Friedman, certo non un pericoloso comunista, ‘sono convintissimo che, al dunque, il Presidente degli Stati Uniti otterrà sempre quanto da lui richiesto, indipendentemente da chi è a capo della Federal Reserve’. Ed è giusto che sia così, implicitamente diceva, perché riteneva i banchieri centrali troppo vicini agli interessi delle banche e troppo poco a quelli dell’economia più largamente intesa. Basta che i governi chiedano, dalla Bce otterranno… Un bel deprezzamento dell’euro per far fronte all’atteggiamento analogo di Stati Uniti e Giappone… per reflazionare l’economia europea. Il deprezzamento di tutte le valute principali non aiuterà il nostro export. Però genererà inflazione mondiale. E chi ha più da guadagnare? Quel Paese che è più in recessione e dove le aspettative di inflazione sono più lente a modificarsi e ad allontanarsi dalla deflazione. Esattamente il caso dell’Eurozona”. (G. Piga)
Gustavo Piga, docente di economia all’università di Roma Tor Vergata, è un convinto keynesiano. Il suo utilizzo di parole di Milton Friedman a supporto di una auspicata creazione di (più) inflazione da parte della Bce è l’ennesima conferma del grande equivoco implicito nel considerare Friedman un campione del libero mercato. Proprio perché – con atteggiamento del tutto incoerente – da un lato considerava nocivo l’intervento del governo in economia, ma dall’altro riteneva che un braccio burocratico del governo, ossia la banca centrale, dovesse detenere il monopolio legale di emissione e manipolazione della moneta e dei tassi di interesse, Friedman non può, a mio parere, essere considerato un autentico fautore del libero mercato, perché sottrarre al mercato la moneta significa mettere nelle mani dello Stato il bene che costituisce il fulcro dell’intero sistema economico. In sostanza, non può esserci libero mercato se la moneta è monopolizzata dallo Stato o da un pezzo del suo apparato burocratico.
Piga utilizza le parole di Friedman per inserirsi nel dibattito in corso sulla cosiddetta “guerra delle valute”, ossia la svalutazione competitiva operata dalle principali banche centrali per tentare di favorire le esportazioni e, anche se non esplicitamente dichiarato, erodere mediante inflazione il valore reale del debito.
Poco importa se questo genere di politiche fu disastrosa ottanta anni fa e se, all’inizio della crisi ancora in corso, il G20 fece proclami contro politiche protezioniste e di svalutazione competitiva. I fatti, ben diversi dalle parole, dimostrano che le principali banche centrali, pur dichiarando di voler preservare la stabilità della moneta che emettono, hanno assunto iniziative nella direzione opposta.
Il caso più eclatante resta quello della Fed statunitense, che in coppia con il Tesoro dice un giorno sì e l’altro pure di essere favorevole a un “dollaro forte”, essendo però bene attenta a evitare che il dollaro si rafforzi davvero e, anzi, facendo in modo che si svaluti, magari senza strappi.
E se la politica della Bank of England è abbastanza simile a quella della banca centrale statunitense, quella della Bank of Japan è divenuta, soprattutto da tre mesi a questa parte, ancora più determinata – se così si vuol dire – quanto a obiettivo di indebolimento dello yen. Anche per via di una esplicita sollecitazione da parte del governo recentemente entrato in carica.
Piga vorrebbe che anche la Bce iniziasse a usare la politica monetaria per indebolire l’euro, ma ammette che, nel contesto attuale in cui tutti cercano di svalutare la propria moneta, ciò non finirebbe con il favorire le esportazioni europee. Semplicemente contribuirebbe a generare (più) inflazione a livello globale, e da questo trarrebbe maggiore vantaggio l’Area Euro, dove (a suo dire) minori sono le aspettative di inflazione e maggiore il rischio di deflazione.
Posto che un atteggiamento come quello auspicato da Piga comporterebbe distorsioni nella formazione dei prezzi e dei tassi di interesse ancor più significative di quelle prodotte da ciò che le banche centrali hanno fatto finora, la coerente applicazione della sua proposta non potrebbe far altro che prevedere dosi via via più massicce di stimoli monetari a scopo di svalutazione della propria moneta, fino all’implosione dei sistemi monetari per iperinflazione.
Anche prima di giungere a una catastrofe del genere, tuttavia, la redistribuzione di risorse da chi le produce a chi beneficia per primo dei flussi di denaro creato dal nulla non porterebbe a un generale miglioramento delle condizioni degli individui, bensì al miglioramento di alcuni a scapito di altri. Come avviene ogni volta che una banca centrale adotta una politica inflattiva, o che un governo introduce o modifica una imposta.
A mio parere, la cosa davvero deprimente è che, ancora nel 2013, chi considera l’inflazione una soluzione e non un problema sia titolare di una cattedra in economia.