Per migliorare il mondo serve denaro. Quando lo si possiede, gli sforzi saranno più o meno fruttosi. Ma quando non se ne ha la disponibilità e si deve cambiare il mondo ricorrendo al credito, cosa succede?
John Maynard Keynes rivoluzionò la professione economica agli inizi del XX secolo. Egli, più di chiunque altro, la trasformò da rifugio per osservatori e filosofi a compattissima falange per uomini d’azione. Eppure, la grande intuizione di Keynes, come tutte le indicazioni utili dell’economia, era basata su una storia con una morale.
Si narra, nel Libro della Genesi, che il Faraone ebbe un sogno. Stava in piedi vicino al fiume. Da esso uscirono prima 7 vacche grasse e poi 7 vacche magre che mangiarono quelle grasse. Un sogno simile coinvolgeva le spighe di grano, dove quelle buone venivano divorate da quelle sottili.
Il Faraone ne rimase turbato. I suoi interpreti dei sogni erano perplessi. Così, gli inviarono l’Ebreo che si diceva fosse bravo in questo genere di cose — Giuseppe. Il Faraone descrisse quello che era successo nei suoi sogni. Senza batter ciglio, Giuseppe gliene chiarì il significato. Le 7 vacche grasse e le spighe di grano buone rappresentavano anni favorevoli, con raccolti abbondanti. Le 7 vacche magre e le spighe di grano sottili simboleggiavano anni di carestia. A Giuseppe non fu richiesto un parere, ma questi dispensò, comunque, un consiglio: il Faraone avrebbe dovuto mettere in atto una politica economica anticiclica: tassare il 20% della produzione nel corso degli anni dell’abbondanza, così da trovarsi del grano da vendere quando la carestia si sarebbe abbattuta . La Genesi (41, 53-57) ci racconta quel che accadde dopo:
Poi finirono i sette anni di abbondanza nel paese d’Egitto e cominciarono i sette anni di carestia, come aveva detto Giuseppe. Ci fu carestia in tutti i paesi, ma in tutto l’Egitto c’era il pane.
Poi tutto il paese d’Egitto cominciò a sentire la fame e il popolo gridò al faraone per avere il pane. Allora il faraone disse a tutti gli Egiziani: «Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà». La carestia dominava su tutta la terra. Allora Giuseppe aprì tutti i depositi in cui vi era grano e vendette il grano agli Egiziani, mentre la carestia si aggravava in Egitto. E da tutti i paesi venivano in Egitto per acquistare grano da Giuseppe, perché la carestia infieriva su tutta la terra”.
Si potrebbe desumerne che gli investitori privati avrebbero svolto un lavoro più efficiente, a scopo di lucro, comprando grano a prezzi bassi quando i raccolti traboccavano dai magazzini, al fine di rivenderlo a prezzi elevati quando questi scarseggiavano. Appare, ad ogni modo, superfluo disquisire sul racconto Biblico. In fondo, appare fin troppo verosimile.
Keynes avanzò la semplice idea secondo la quale i governi moderni dovrebbero agire come il Faraone: conducendo politiche fiscali e monetarie anticicliche. Negli anni dell’abbondanza, dovrebbero immagazzinare eccedenze; in quelli di magra, dovrebbero aprire le porte dei granai, consentendo alla gente di sfamarsi. Questo sembra abbastanza ragionevole, fintantoché non si riesce ad appurare che i governi moderni non gestiscono avanzi, ma solo deficit. Gli Stati Uniti non registrano un avanzo reale (senza includere i pagamenti della Previdenza Sociale) dal 1969. Sono 43 anni che le porte del granaio sono spalancate. Non a caso, è possibile guardare dentro, senza trovarci nulla. Ad eccezione degli I.O.U. (“I owe you”, titolo di credito, NdR). Anziché immagazzinare grano negli anni di vacche grasse, i federali l’hanno trangugiato fino all’ultima spiga. E oltre. Ora che arrivano gli anni di carestia, non dispongono di un chicco di grano.
Questa potrebbe essere la fine della storia. Ma non lo è. Gli economisti sostengono che i federali possono imbastire una politica faraonica persino con i loro cesti vuoti. Come? Prendendo in prestito i soldi e, in casi estremi… stampandoli. Probabilmente mi starete anticipando, cari lettori. Vi starete chiedendo se ciò poteva essere immaginato nell’Antico Egitto: il Faraone avrebbe potuto risparmiare il costo di stoccaggio del grano, semplicemente prendendolo in prestito qualora ne avesse avuto bisogno?
Innanzitutto, c’è solo un determinato quantitativo di grano disponibile. Prenderlo in prestito da coloro che ne hanno ancora un po’ non aiuta. Nella migliore delle ipotesi, si sposta da un luogo all’altro; nella peggiore, viene fatto sparire il “seme” per la coltura dell’anno successivo. Non potendone disporre, il prossimo raccolto sarà più scarso, conducendo persino più persone alla fame.
(Né il Faraone avrebbe potuto risolvere il problema della fame distribuendo segatura e fingere che fosse pane integrale. Doveva essere commestibile. Quest’ultimo aspetto trova attinenza anche alla stampa di denaro. Come il pane a base di segatura del Faraone, la cartamoneta è un derivato del legno. Si tratta di un tipo di denaro che cresce letteralmente sugli alberi; ma è inutile. Così come la segatura non ha alcun contenuto nutritivo, la cartamoneta non presenta contropartite in risorse reali a sua copertura).
Tuttavia, gli economisti hanno sviluppato teorie elaborate e prove matematiche che permettono loro di credere a ciò che per tutti gli altri è manifestamente inammissibile. Il governo può essere già profondamente indebitato, eppure può indebitarsi ancor di più nel corso degli anni di vacche magre – affermano gli economisti “neo-Keynesiani” – al fine di compensare la contrazione nel settore privato. Inoltre, le banche centrali possono rendere più agevole ai consumatori la sottoscrizione di nuovi prestiti. Gli stimoli fiscali e monetari forniscono la tanto necessaria “domanda” ad un’economia in recessione.
Sembra quasi convincente. E il trucco ha funzionato abbastanza bene dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino al 2007. Ogni crisi economica è stata affrontata ricorrendo a maggior credito facile, inducendo le persone a perseverare nella pratica dell’indebitamento sconsiderato. Il punto di diminuzione dell’utilità marginale del debito è stato raggiunto molti anni fa. Alla fine degli anni ’40 e ’50, era necessario circa $1.40 in credito extra per produrre un dollaro in più di PIL. Verso la metà degli anni ’90, ci volevano $3 dollari di credito per ogni dollaro di produzione aggiuntiva. Una decina d’anni più tardi, l’ammontare di credito aggiuntivo per consentire un dollaro di produzione supplementare ha superato i $5, per poi andare fuori scala. Nel 2007 è giunto il calo. La produzione ha iniziato a contrarsi ad un ritmo tale che ulteriori input di credito — indifferentemente dalle dimensioni — si sono risolti in una effettiva stagnazione della produzione aggiuntiva.
L’aspetto negativo del ciclo del credito è talmente evidente da farne sembrare superflua la descrizione. Opera, più o meno, come ci si attenderebbe. Non mi preoccuperei di discuterne, non foss’altro che gli economisti moderni hanno convinto molte delle persone più intelligenti del mondo — oltre che se stessi — del contrario.
Il debito è diventato un peso importante nelle economie di Stati Uniti, Europa e Giappone. Gli inibisce le opportunità di risparmio, spesa e investimenti volti a creare nuova ricchezza. Perché? Semplice: le risorse che avrebbero potuto essere impiegate nella costruzione del futuro sono già state rivendicate dal passato. È stato contratto del debito, ora deve essere ripagato. Analogamente, è come se il Faraone avesse già preso in prestito il grano necessario, sottraendo quello da piantare, utile alla raccolta dell’anno successivo. Una volta consumato, non può essere preso in prestito. È andato.
Quando si devono restituire soldi spesi con la carta di credito, capita sia, sovente, per beni che nemmeno esistono più: hamburger mangiati un mese fa; abiti che andavano di moda la scorsa estate; settimane bianche dell’inverno scorso. Il fardello del passato sulle spalle rende più difficoltoso adoperarsi per il futuro. I passi si fanno più pesanti; la vita si addensa. Si è costretti ad utilizzare il tempo di domani per recuperare il tempo preso in prestito ieri.
Se bisogna restituire una somma pari al reddito annuale, per esempio, ad un tasso di interesse del 5%, si dovrà dedicare più di un giorno lavorativo su 20 solo per ripagare gli interessi sul debito. Dico “più di” perché per pagare gli interessi occorre attingere al reddito post-tassazione. Con un’imposizione fiscale del 25% (per semplicità) sarà necessario lavorare circa un giorno ogni due settimane per chiudere in pareggio.
I lettori possono considerare l’entità del problema attuale realizzando che, secondo la Federal Reserve, il debito totale negli Stati Uniti è circa il 353% del PIL. Al 5% di interessi, tralasciando le tasse, il debitore deve lavorare quasi un giorno alla settimana solo per pagare il consumo passato.
Viene spontaneo parlare di “troppo” quando si descrive una persona che ha consumato, a credito, tanti hamburger o trascorso tante vacanze. Questa può anche essere nella condizione di contrarre ulteriori prestiti aggiuntivi… e mangiare più hamburger. Ciononostante, raramente questo si rivela una buona idea. Ad un certo punto, l’indebitamento si dimostra più nocivo che benefico. Succede quando si intravede il rovescio della medaglia.
L’utilità marginale del debito è abbastanza alta quando lo si utilizza per costruire un business o un ponte. Ma declina bruscamente non appena si inizia ad impiegarlo per la spesa di tutti i giorni. Un investimento produce un flusso di entrate — un risultato che giustifica e ripaga l’investimento. Con un po’ di fortuna, l’investitore recupera abbastanza soldi da pagare il prestito — con gli interessi — finendo per assicurarsi persino denaro extra. Quest’ultimo rappresenta la “crescita” reale — nuova ricchezza che non esisteva prima.
D’altro canto, non v’è flusso di entrate nei pagamenti della Previdenza Sociale, aerei da combattimento, ultime mode o negli oggetti di consumo. Il denaro viene speso. Usato. Consumato. Non ne è presente oltre. Anche se tutti questi beni soddisfano bisogni, foss’anche per un lungo periodo di tempo… non sboccerà alcun fiore in primavera. Il terreno intorno rimane arido e sterile.
Mantenere questo livello di spesa e indebitamento diviene, alla lunga, insostenibile. Il gravame del passato si rivelerà troppo pesante. Le gambe cederanno e la schiena si spezzerà.
“Troppo” ha un significato che gli ingegneri non possono schivare o aggirare. La macchina non può essere regolata o ricalibrata a piacimento, affinchè funzioni di nuovo. “Troppo” deve essere ammesso e tollerato. La sofferenza che si manifesta in un mercato è nota come “correzione”; le correzioni repentine sono chiamate “crash”; in economia, si parla di “crisi” o “recessione”; i casi gravi sono denominati “depressioni.”
Possono essere negate. Possono essere ritardate. Ma non è possibile nasconderle. “Troppo” ha delle conseguenze; il rovescio della medaglia deve mostrare il suo vero volto.
*Link all’originale: http://vonmises.it/2013/01/15/la-strada-per-linferno-e-lastricata-di/
Traduzione di Francesco Simoncelli