La settimana scorsa Marine le Pen, impegnata nella lunga volata elettorale, aveva lanciato quella che sembrava una provocazione per titillare la mai sopita grandeur nazionalista francese.
Affermava, in quell’occasione la neo-leader del Front National, che la Francia doveva prepararsi a raccogliere in un abbraccio fraterno nel seno della Patria i belgi della Vallonia nell’eventualità di una disgregazione della compagine statale brussellese. Diciamo che questa possibilità è tutt’ altro che remota vista l’estrema difficoltà di una ricomposizione della crisi istituzionale che ha lasciato il paese per più di un anno senza governo.
Le velleità separatiste della maggioranza fiamminga diventano sempre più forti e, per converso, si affievoliscono vieppiù gli afflati unitari che hanno garantito a questo piccolo frankenstein geografico nel cuore d’Europa di sopravvivere per oltre 180 anni.
Ora, come in una sorta di compimento del ciclo storico, proprio coloro che sulle baionette rivoluzionarie avevano esportato il mito dello Stato nazionale si potrebbero incaricare di riscattare quel che resta di questo fallimento innanzitutto economico prima che culturale. Il centralismo dirigista e burocratico, amorfo ed implacabile della capitale belga e, simbolicamente, delle istituzioni continentali è il primo responsabile, pochi ne dubitano ormai, del precipitare degli eventi in questi ultimi anni verso un divorzio consensuale che appare come l’unica soluzione praticabile. E puntualmente il barometro dell’opinione pubblica si incarica di confermare il tutto: nemmeno una settimana dopo la sparata della le Pen il quotidiano francese “Journal du Dimanche” in un instant poll sulla questione scopre, guarda caso, che il 60 % dei fratelli maggiori è favorevole all’incorporamento degli sventurati d’oltrefrontiera rimasti orbi del sole radioso (e dei generosi emolumenti) del piccolo moloch patrio. Ma il rattachisme avanza anche nella futura provincia dell’impero: quasi 4 cittadini valloni su 10 sono a loro volta ben disposti a farsi riassorbire.
Invece di affrontare la via impervia del far da sè e del particolarismo localistico all’insegna del “piccolo è bello” alla maniera delle Fiandre, il sentiero maestro che dalle parti di Liège e Charleroi si è convinti di dover percorrere è l’embrassons-nous di infausta memoria.
Un po’ come finire dalla padella di una nazione espressione geografica, per dirla col Metternich, alla brace di un triste e oscuro satellite parigino. Brutta fine…
Totalmente ed insindacalmente d’accordo. Dimenticavo che un’altra opzione sul tavolo sarebbe quella di un’unione sì, ma non con il gigante vicino, bensì col piccolo Granducato di Lussemburgo
Vediamo di capire: il Belgio è senza governo da un anno per l’impossibilità di andar d’accordo tra valloni e fiamminghi.
Senza governo l’economia vola.
Già questa è una situazione “nefasta” da regolarizzare quanto prima.
I nostri governanti, i nostri politici tutti si arrogano il merito di essere i motori dell’economia, mentre in realtà sono solo in massima parte dei parassiti (mia opinione).
Governanti e politici italiani, non sono diversi da quelli degli altri paesi ed ho sentore che a questa anomalia del Belgio siano in molti a voler mettere fine prima che il contagio si diffonda.
Ma se io fossi vallone, con un’economia che tira come non mai, accetterei di entrare nella grandeur e nella crisi francese (maggiore fin dell’italiana) ? Io dico di no !
Ed allora che un politico francese, australiano od ugandese dica quel che gli pare, io resterei un vallone del Belgio
Conclusioni: che Le Pen in Francia produca l’aria fritta che gli pare per aver visibilità con i suoi francesi, ma la decisione spetta ai valloni.