Ho sempre tanto rispettato la persona quanto ho avversato le idee di Edward Cornelis Florentius Alfonsus Schillebeeckx, Erasmus Prize nel 1982 e Gouden Ganzenveer nel 1989. Fu osannato nelle accademie, idolatrato dal pubblico, conteso dai network e media mondiali ove fu presente più dei divi di Hollywood. Morì a 92 completamente dimenticato, ritirato da dieci anni in una stanzetta ove nessuno gradiva o voleva entrare. Lo trovarono cadavere molti giorni dopo l’exitus e lo seppellirono. Nemmeno un necrologio. É la fine cui vanno incontro le mode senza sostanza.
Di questi tempi constatiamo il decesso di Lord Keynes e delle sue teorie, anche se nessuno si prende la briga di seppellire la salma, il cui miasma appesta il mondo.
Di certo possiamo ascriverlo tra i grandi falsi profeti, assieme a Platone, Marx, e, se non fosse che un volgare ciarlatano, Hegel. Non teoreti ma profeti, perché profeta è colui che proclama, o asserisce di proclamare, la verità: e loro proclamarono suadenti menzogne. Karl Popper aveva ragione.
Serviranno diverse generazioni per rimediare i danni che hanno inflitto all’umanità.
Ma in cosa sono menzognere e fallaci le teorie di Lord Keynes, dei suoi aedi e dei suoi epigoni?
Domanda la cui risposta dovrebbe astrarsi dalla contingenza delle singole soluzioni proposte per concentrarsi sugli assiomi, sui postulati di partenza: gli elementi primi dai quali tutte le sue teorie potrebbero essere derivate. Le teorie non possono essere comprese analizzandone i dettagli e le conseguenze, ma solo andandone alla radice: ai punti di partenza.
L’importanza storica delle teorie di Lord Keynes risiede nel fatto che esse costituirono una vera e propria rivoluzione, che relegò il pregresso come “classico“, inteso in un senso dispregiativo. Diciamo teorie, al plurale, perché oltre al lavoro dell’Autore in questione si dovrebbero considerare anche quelli degli epigoni, che in talune assunzioni lo hanno snaturato. Cesura di tale portata concettuale e pratica da fregiarsi con il nome di “Nuova Economia“.
In questo studio non interessano dunque le teorie di per sé stesse, quanto piuttosto enunciati e metodologia: enunciati errati e metodologia incorretta formano una miscela dirompente. É del tutto inutile compitare una teoria nella sua esposizione senza aver sottoposto a revisione critica enunciati e metodo: sono questi il vero centro di interesse. Li renderemo senza usare terminologia astratta o troppo tecnica, solo per renderli più facilmente comprensibili.
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La prima e fondamentale caratteristica da focalizzare é che nulla in Lord Keynes segue i canoni logici: la contraddizione continua é la sua principale caratteristica: in questo è fortemente hegeliano. Lui ha parlato al ventre, non all’intelletto. Questa è la lacuna metodologica più severa di tutte le teorie sue e dei suoi epigoni. Non ci si stupisca quindi se nel prosieguo si riscontreranno statement contraddittori: le contraddizioni sono di Lord Keynes, non del compilatore.
1. Lord Keynes abolì la visione di persona umana per sostituirla con l’immagine di una Collettività omnicomprensiva degli individui che in essa risultavano numerizzati, sostanzialmente irrilevanti in quanto irreggimentabili ed irreggimentati. «Ciò che vale per la persona e per la famiglia non vale per lo stato». Da allora la parola stato fu scritta con la esse maiuscola. Concetti già espressi ripetutamente nel passato, ma che trovarono precisa collocazione e comprensione nelloZeitgeist “lo spirito dei tempi” di hegeliana memoria. Quindi, non più “scienza economica“, bensì “politica economica“: l’economia rientra così per Lord Keynes in quella che Machiavelli definì «l’arte del possibile»: fonda la “macroeconomia” nel senso attuale del termine. Arte, quindi, non più scienza.
2. «Nel lungo termine tutti noi saremo morti»: questa celebre frase di Lord Keynes non è uno slogan, bensì un assioma. Le conseguenze di questa assolutizzazione sono devastanti. Si annienta il concetto di tempo: esiste solo il presente, l’immanente. Ma se non esiste il tempo, non esiste i futuro. E se non esiste il futuro non può più esistere la speranza, che affonda le sua radici proprio nell’attesa che un qualcosa di aspettato si possa realizzare nello svolgersi del tempo. Ecco perché i keynesiani sono esseri senza speranza ed, ovviamente, né possono né riescono ad infonderla. Come corollario, se non esiste il tempo non può esistere nemmeno alcuna forma religiosa, alla base della quale é cardine la speranza di una vita futura, eterna. Da ciò consegue che etica e morale perdono il loro principale razionale, diventando inutili per non dire dannose nel nuovo contesto. In Keynes tutto è immanente ed immanenza.
3. Immediatamente l’economia transita da scienza delle attività economiche umane, ad un agire politico in un contesto socialmente deterministico. Questa disinvolta contraddizione è chiara, ma Lord Keynes assunse che la previsione fosse possibile, la pianificazione necessaria, ma come primo livello appannaggio di economisti che avrebbero dovuto consigliare i politici, loro braccio operativo. L’imponderabilità dell’agire umano é negata o, se proprio dovesse alzare la testa, irreggimentata dal corpo delle regole. Il concetto di libertà personale è sacrificato sull’altare del sociale: che l’individuo pure se la creda, purché non la gestisca. Dal questo humus culturale trae origine la “politica economica“, ove la politica é il braccio armato dell’economia. L’economia é azione, prassi.
4. Il concetto di “bene comune” risulta essere relegato nel ristretto ambito del “classico“, obsoleto quanto dannoso, perché considera la persona umana nella sua globalità. Per Lord Keynes il tutto deve essere inteso nei soli termini di “piena occupazione“, quasi che la persona umana realizzi i suoi fini nel mero espletamento economico del proprio essere. Di nuovo una grande contraddizione: il termine “piena” non trova quella definizione che logica imporrebbe essere stata data, e data a priori. É piena occupazione ciò che il board degli economisti suggerisce all’agire politico. Annichilito nella massa e deprivato del futuro, l’individuo diventa un mero oggetto economico cui sono deputati i compiti di produrre e consumare al massimo ritmo possibile, indipendentemente dalla realtà fattuale.
5. Il quinto assioma é quello classico della “teoria del nemico”, per la quale qualsivoglia proprio operato trova costantemente giustificazione più nel contrastare qualcosa o qualcuno che in ciò che gli sarebbe intrinseco.
Lord Keynes nasce in una Gran Bretagna che percepisce chiaramente il delinearsi della propria decadenza. Entrata nella prima guerra mondiale con un impero, termina la seconda avendolo perso: vittoria tattica sulla Germania e débâclestrategica annientante. Subito dopo, la presenza di una collettività marxista prima, grande potenza vittoriosa nel secondo conflitto mondiale dopo, e per di più potenza nucleare, potente richiamo intellettuale, sociale e politico é il convitato di pietra di Lord Keynes e dei suoi epigoni. La politica economica della scuola keynesiana affonda le sue radici nello Zeitgeist di una guerra fredda, in cui essa era quasi certa di essere parte soccombente. Priva del concetto di futuro, non poteva materialmente nemmeno intuire l’implosione del comunismo, ed anche a breve termine. Le masse dovevano essere opulente, ora e subito, per non cedere alle lusinghe ammaliatrici del socialismo, fosse costato ciò che é costato. E questo era lo scopo della politica economica: un socialismo de facto. Ed attuandosi ciò in un contesto “democratico” lo strumento cardine diventava la ricerca ad ogni costo del consenso, tramite la gratificazione economica comunque perseguita. La teoria avrebbe ammantato di scientificità ed autorevolezza un fondamentale istinto di autoconservazione guidato più dal timore che dalla consapevolezza di ciò che si fosse e dal desiderio di realizzare. Come avrebbe mai potuto concepire anche solo l’idea di un sacrifico attuale in vista di uno molto maggiore ma futuro chi fosse perennemente vissuto con l’incubo inconscio ed angoscioso di morte imminente? «Meno persone realmente ti capiscono più persone penseranno che sei realmente intelligente». L’apparire surroga e vicaria l’essere. Ma l’apparire é inconsistente, mera soggettività.
6. Il sesto assioma é il sequenziale complemento di quanto detto. Se l’economia si trasforma in politica economica, ogni rigore scientifico perde il proprio valore e diventa inutile orpello: ciò che conta é il potere della comunicazione, il grado di convincimento dell’audience generale. L’apparire é quindi tutto, droga che obnubila e blocca sul nascere ogni possibile razionalità. É logico e giusto ciò che è utile nell’immediato.
7. Il settimo assioma recita che politici ed elettori non avrebbero mai abusato del deficit di bilancio. Resta opaca la lettura di questa asserzione che potrebbe essere sia assioma sia conseguenza. Infatti, in una società economicamente programmata da un board di saggi, mai i politici avrebbero potuto cedere alla tentazione di finanziare le spese statali in modo esagerato più con il debito che con le impopolari tasse, né gli elettori avrebbero mai potuto cedere alla tentazione di privilegiare i politici che avessero loro elargito benefici senza aumento alcuno della pressione fiscale.
8. Diamo infine atto a Lord Keynes di aver avuto la geniale idea di identificare le proprie teorie con il capitalismo, con cui proprio nulla hanno a che spartire. Così facendo, dette qualcosa da odiare con non fosse sé stesso.
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Le conseguenze derivabili (si fa per dire) da questo insieme assiomatico hanno effetti devastanti.
1. L’economia keynesiana non apprende né é influita dalla realtà, ma é lei stessa a determinarla. La politica economica diventa così “creatrice” a dispetto di ogni evidenza empirica. Lo stato “crea” posti di lavoro: ma creare significa ottenere dal nulla, quindi il reale é desueto. La produzione si virtualizza. Il valore reale di un certo bene perde ogni suo contenuto logico per essere sostituito dalla sua stima, dal modo con cui è percepito, e così disancorato non ammette alla descrizione se non quella insita nel concetto pianificatore. L’economia keynesiana si colloca fuori ed al di sopra della realtà, cui non é più a lungo riconosciuta la caratteristica oggettività: si genera l’economia virtuale, cui consegue la finanza virtuale. Tutto funziona fino a tanto che la gente crede che l’illusione sia realtà.
2. Non a caso Lord Keynes usa parcamente il termine “lavoro” sostituendogli quello di “occupazione“: é importante che tutti abbiano un posto remunerato, non un lavoro. Se non si spinse al punto di esplicitare un “tutti pensionati“, ci si avvicinò in modo concettualmente sostanziale: “tutti con un beneficio statale“.
3. Il pilastro delle teorie economiche classiche della chiusura dei bilanci in pareggio divenne un elemento tediosamente importuno: uno dei due grandi ostacoli alla realizzazione della sua rivoluzione. Chiudendo in disavanzo lo stato sarebbe stato in grado di finanziare secondo opportunità quella piena occupazione che sola avrebbe generato ricchezza. La generazione di ricchezza risultava svincolata dalla produzione e commercializzazione di beni reali, ma solo condizionata dalla quantità di investimenti effettuati nell’ambito di un piano concepito ed attuato dalla stato.
4. Il deficit di bilancio doveva trovare una sua fonte di finanziamento. Le vie percorribili erano sostanzialmente due: inflazione o debito. Pur accettando un modesto processo inflattivo, tuttavia Keynes propugnava il ricorso al debito pubblico. Nella visione classica, deficit e debito trovavano giustificazione solo in eventi fuori dall’ordinario: catastrofi naturali, crisi profonde ovvero situazioni belliche. In ogni caso, appena passata l’emergenza si sarebbe dovuto procedere immediatamente a rimettere il bilancio in attivo per poter finanziare un piano di ammortamento scaglionato su tempi di breve o, al massimo, di medio periodo: un esempio da manuale è il Sinking Fund Act del 1795. Il concetto di refusione a termine era fortemente sgradito. Se formalmente Lord Keynes prospetta la necessità di bilanci in surplus a bilanciare quelli pregressi in deficit, teorizzando una sorta di chiusura di bilancio su si un arco pluriennale, nei fatti pone i presupposti a ciò che esso mai avvenga.
Deprivandosi della concezione temporale e concentrandosi esclusivamente sul presente senza futuro é sequenziale quanto il concetto di ammortamento diventi destituito di ogni fondamento: sarebbe semplicemente impossibile rifondere qualcuno in un dominio inesistente. E, anche ammettendo per assurdo che esistesse, «nel lungo termine tutti noi saremo morti»: quindi il debito sarebbe questione ininfluente sugli attoriattuali della vita sociale, politica ed economica.
Infine, Lord Keynes introdusse un nuovo concetto, suadente quanto oltremodo pericoloso. «Saremo debitori verso noi stessi». Questo statement partiva dal presupposto che i finanziatori del debito sovrano fossero attori domestici, che in buona sostanza versavano più o meno volontariamente quanto sarebbe servito ad alimentare il debito in cambio del servizio reso dalla gestione economicamente pianificata della Collettività. Operazione quindi apparentemente a costo zero.
5. Le teorie keynesiane non nascono per attuare una qualche Weltanschauung che veda l’Occidente attore che realizza i propri progetti, quanto piuttosto per contrastare l’ideologia comunista dandone un surrogato che anestetizzi le menti delle genti. Il cuore della scuola keynesiana è quello di resistere ad oltranza alla crescente marea: traspone in un tempo di pace la concettualizzazione di una guerra tattica senza strategia. Morto il comunismo non muore il sistema: il keynesianismo sopravvive al proprio avversario come se esso fosse ancora vivo ed attivo. Fuori dal tempo non può esistere la morte.
6. Senza percezione del flusso temporale, queste teorie sono costituzionalmente incapaci di concepire e gestire una qualsivoglia linea strategica, per cui si sa cosa dover fare anche quando non ci sia nulla di immediato da fare per governare gli eventi.
La generazione post-sessantottina ha applicato estesamente i principi keynesiani: intervento statale di sempre maggiore rilevanza, da cui conseguiva un costante aumento del debito sovrano con i proventi del quale era finanziato un welfare state che erogava benefici sia mirati sia a pioggia. Pareva che avessero scoperto il moto perpetuo.
Come puntualmente aveva preannunciato, «nel lungo termine tutti noi saremo morti»: la generazione post-sessantottina ha vissuto con un reddito medio composto in parte non irrilevante dai proventi del debito ed il problema risulta adesso posto nelle mani e sulla schiena della generazione che la segue.
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Nulla sfugge alla realtà. Si può cercare di ignorarla, ma solo fintantoché questa si impone con la brutalità dei fatti. Risvegli dolorosi con enorme confusione mentale. Chi si fosse creduto superante si scopre essere stato superato.
Le contraddizioni insite nelle teorie keynesiane, ed ancor più evidenti in quelli dei suoi epigoni, stanno adesso emergendo in modo convulso e violento, anche perché l’Urss è scomparsa e nuovi ben più temibili attori stanno calcando adesso i prosceni.
La generazione presente si trova costretta a constatare che il tempo esiste, che il debito sovrano non é più lungo rinnovabile ma, anzi, dovrebbe iniziare ad essere ammortizzato, che il welfare state non è più a lungo finanziabile, e che, alla fine dei conti, si dischiude un periodo in cui dovrà non solo non essere più supportata dal surplus derivante dal continuo quanto impossibile accesso al debito ma dovrà anche iniziare a renderlo in qualche maniera. In altri termini: constata che gli economisti e lo stato hanno portato ad una catastrofe dalla quale non si uscirà a buon mercato.
L’unica via di salvezza consiste nell’abbandonare gli assiomi suddetti e tutte le loro conseguenze.
É semplicemente utopico ritenere che si possa sanare la situazione mantenendo il pregresso, senza abbandonare la concezione di stato interventista e senza procedere al suo smantellamento. giuricio prima, attuale di conseguenza.
Tra tutta la congerie di problemi che stanno emergendo, quasi a beffa e scorno delle utopie keynesiane, ne enucleeremo uno solo, a mo’ di esempio pratico.
L’Italia ha sottoscritto volonatriamente il Trattato Internazionale che istituisce il Meccanismo Europeo di Stabilità (Esm). Qualora vi dovesse accedere, conferirebbe a detto Esm la gestione della sua politica economica, che sarebbe così obbligata ad ammortizzare una quota rilevante del debito sovrano secondo un piano ventennale, sulla base di bilanci in surplus ottenuti tramite tagli alla spesa pubblica. Intendiamoci, non che l’Europa attuale sia dissimile dal governo dei saggi propugnato da Lord Keynes attualizzandone il fondamento platonico, ma l’Esm lo suggellerebbe in modo definitivo.
É vero che i Trattati internazionali non sono commestibili, ma é altrettanto vero quanto il loro ripudio siaé estremamente pericoloso ed, in ogni caso, é al massimo un prolegomeno, non certo una soluzione. In ogni caso, gravido di conseguenze.
Come si constata, il Sinking Fund Act ritorna più vivo che mai, seppellendo il feretro delle teorie keynesiane.
Ciò appurato, si pone in tutta la sua drammatica attualità il seguente problema. Lo enunciamo partendo dalla relazione Bankitalia Economie regionali. L’economia della Sicilia, ma generalizzabile a tutta l’Italia.
«Il debito pubblico creato per fare assunzioni clientelari o assistenziali negli ultimi 40 anni al Sud e in Sicilia ha sì dato momentanea felicità alle famiglie beneficiate da quei ”posti”, ma ha ipotecato il futuro dei loro figli e nipoti, che non potranno conquistare un lavoro per almeno i prossimi dieci anni.»
Dal punto di vista concettuale, serviranno diverse generazioni per eluire i resti del pensato keynesiano e riassimilare e metabolizzare i concetti e principi economici “classici“. Una cosa é viverli subendoli ed un’altra il vivere realizzandoli, dominandoli.
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Nell’immediato, invece, si tratta di iniziare, e con urgenza, a chiarirci i criteri secondo i quali ridurre i servizi erogati dallo stato e, simultaneamente, il numero dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, operazione che non può precedere o prescindere dal previo smantellamento dei corpi giuridici e normativi che li sottendono. Potrebbe essere un’occasione unica per ripristinare almeno una larva di giustizia.
É questo smantellamento dei corpi giuridici e normativi l’obiettivo strategico e tattico che l’Occidente post-keynesiano dovrebbe perseguire se nutrisse ancora il desiderio di sopravvivenza.
Questo è quanto, e sempre più persone rimpiangono che Lord Keynes sia nato.
Nota.
Oltre ai trattati di Lord Keynes, sarebbero di utile lettura i seguenti testi:
– Luwig von Mises, “Kritic des Interventionismus“, 1929.
– Luwig von Mises, “Bureaucray“, 1944.
– James Buchanan e Richard Wagner, “Democracy in deficit“, 1977.
– Paul Krugman, “The return of Depression Economics“, 1999.
Ci rendiamo perfettamente conto che non tutti i Signori Lettori possano gradire ragionamenti astratti. Non tutti sono tenuti a leggere questo studio, né, tanto meno, a comprenderlo o condividerlo. Tuttavia, se Pitagora non avesse elaborato il suo astratto teorema, nessuno di noi ne godrebbe i benefici pratici. Gli atti dovrebbero essere guidati dalla mente.
Nel testo si da per scontato che il Lettore abbia letto i trattati di Lord Keynes ed, auspicalmente, quelli segnalati in calce. Si ringrazia infine il dr. GG.
*Link all’originale: http://www.rischiocalcolato.it/2012/11/svolta-epocale-europa-e-bankitalia-hanno-ripudiato-le-teorie-di-lord-keynes-conseguenze-per-tutti-noi.html
Gli Anarcocapitalisti fanno un errore veramente grave e inconsueto per loro, così abituati ad estrapolare la realtà per quello che è veramente: credono sul serio che questo sistema sia Keynesiano. Lasciatemi dire che siamo andati molto ben oltre la soglia delle politiche economiche Keynesiane. Keynes chiedeva a stato e banche centrali di intervenire per brevissimi periodi in casi di disastrosa e profonda crisi economica, per poi tornare a fare il loro normale lavoro, più o me no identico a quello che gli Austriaci propongono per stato e banche stesse. Per Keynes solo in conseguenza di gravi crisi si doveva inondare il mercato di liquidità. Ma dopo due o tre anni, a crisi finita, le cose dovevano tornare alla normalità, basse tasse e bassa burocrazia comprese. Era un Liberale Classico che si trasformava in socialista nei momenti di gravissima crisi.
La realtà odierna mi pare ben diversa. Le politiche socialiste da adottare in tempo di guerra e crisi economica sono diventate la quotidianetà. Si stampa moneta a ritmi vertiginosi, mentre burocrazia e tasse ci affogano con o senza crisi. Vedo politiche interventiste e socialiste ogni giorno, con un sistema molto più folle di quello keynesiano e perfino più folle di quello marxiano: con il comunismo ti portano via le cose solo una volta, con questo sistema socialdemocratico ogni anno lo stato ti porta via il 90 per cento delle tue cose, lasciandoti la minima speranza di poter guadagnare e lavorare liberamente per poi espropriare nuovamente tutto il 90 per cento dopo un anno. Siamo molto ben oltre il sistema Keynes e addiritura oltre Marx. E’ un comunismo velato di democrazia e truccato di liberalismo. E’ un utilitarismo folle e demenziale, superficiale e tarato. Credetemi, siamo ben oltre Keynes.
“Per Keynes solo in conseguenza di gravi crisi si doveva inondare il mercato di liquidità.”
Peccato che le gravi crisi siano sempre e solo il risultato del fatto che prima il mercato era stato inondato di liquidità. Una cura logica e geniale, alla Keynes appunto.
Sappiamo bene che l’interventismo statale, la riserva frazionaria e il prestatore di ultima istanza non sono invenzioni di Keynes, esistevano già prima. Il fatto è che invece di denunciarli per la porcheria che sono, come gli economisti seri, ha preteso di costruirne una giustificazione pseudoscientifica ad usum delphini, cioè stato e banchieri, che non a caso lo stanno ancora ringraziando.
ringrazio charlybrown per la segnalazione del libro “the failure…” ma mi duole di leggere sempre acronimi o nomi immaginifici, che impediscono di riconoscersi in modo trasparente e magari rafforzare i legami ideali, il confronto delle opinioni e anche le proprio conoscenze (libri compresi).
Quanto a Keynes, non ho letto i suoi libri e non credo di poter trovare il tempo di farlo. Devo necessariamente giudicare la teoria dai risultati delle sue applicazioni.
Il risultato pratico delle teorie keynesiane, mi fa nascere spontanea l’espressione del mitico rag. Fantozzi dopo la visione della pellicola “la corazzata potyomkin” : UNA BOIATA PAZZESCA
La società keynesiana si differenzia dal socialismo in quanto la proprietà privata viene formalmente mantenuta, ma sotto un ferreo controllo statale. Tale società si definisce in una parola Fascismo o Nazionalsocialismo (vedi la nota a margine sulla copia autografa della General Theory inviata da keynes a hitler).
Per quanto riguarda l’illogicità, le contraddizioni e l’antiscientificità delle teorie keynesiane suggerisco The failure of the new economics di Hazlitt.