DI GIOVANNI SPATARO
Sarà un mondo di matti, come si doveva evincere dallo studio su ratti del francese Gilles-Eric Séralini (trovate un riassunto della vicenda in questo post di Marco Cattaneo), secondo cui il mais GM è cancerogeno, ma è pur sempre un mondo in cui la superficie delle coltivazioni geneticamente modificate aumenta con il passare degli anni. Anche se non si dice. Ed è molto probabile che questa crescita proseguirà in futuro, perché ormai la ricerca e lo sviluppo di colture GM non è più solo questione di un paio di aziende dei paesi ricchi, ma interessa diversi paesi in via di sviluppo, che hanno deciso di sviluppare in casa organismi geneticamente modificati. Anche se pure questo non si dice. Mentre in Italia vengono distrutti gli ultimi tentativi di esperimenti in questa tecnologia, in una furia iconoclasta indegna di un paese scientificamente avanzato.
(Per la cronaca, lo studio di Séralini è stato bocciato senza riserve dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ma pure questo mi pare non si sia detto, o almeno non con la stessa enfasi con cui era stato inizialmente descritto lo studio.)
Eppure basta leggere il rapporto pubblicato annualmente dall’International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications (ISAA). I numeri parlano chiaro. E allora elenchiamoli, questi numeri. Nel 2011, a livello globale le coltivazioni GM hanno coperto una superficie di 160 milioni di ettari in 29 paesi, di cui 19 in via di sviluppo, facendo registrare l’ennesimo aumento, più otto per cento, rispetto all’anno precedente. Di fatto, fin dal suo esordio commerciale nel 1996, l’uso di questa tecnologia disegna un andamento crescente. Mappa e grafici qui sotto, elaborati dall’ISAAA, rendono bene l’idea.
Come si può notare dal grafico, la superficie coltivata a OGM nei paesi sviluppati è ormai uguale a quella dei paesi in via di sviluppo: il sorpasso è previsto per quest’anno, vedremo che cosa ci diranno i dati che saranno pubblicati nel 2013.
Un quadro ancora più chiaro della situazione è dato dalla tabella qui sotto, sempre presa dal rapporto dell’ISAA. Per ciascun paese in cui ci siano coltivazioni geneticamente modificate potete trovare l’estensione totale della superficie coltivata e il tipo (o i tipi) di coltura. Mais (maize), soia (soybean) e cotone (cotton), la fanno da padroni, ma ci sono anche colza (canola), papaya, barbabietola (sugarbeet) e altro ancora.
La classifica qui sopra mette in risalto anche un altro dato significativo. Tra i primi dieci ci sono quattro paesi del cosiddetto gruppo dei BRICS. Sono Cina, India, Brasile e Sudafrica (manca solo la Russia), e sono caratterizzati dall’essere paesi emergenti dall’economia in rapida crescita (facendo riferimento all’ultimo decennio e al netto di qualche frenata causata dalla crisi globale). Di fatto sono paesi che si candidano a essere punti di riferimento regionali in un mondo che va sempre più verso il multipolarismo. Nel nostro contesto, quello degli OGM, questi paesi potrebbero diventare un punti di riferimento per questa tecnologia.
In effetti, un rapporto pubblicato nel 2009 dal Joint Research Centre (JRC) della Commissione Europea prevede uno scenario del genere. La maggior parte degli OGM coltivati attualmente sono stati sviluppati in Stati Uniti e in Europa, tuttavia, afferma lo studio europeo, entro il 2015 circa la metà delle colture geneticamente modificate disponibili commercialmente per uso agricolo proverranno da paesi in via di sviluppo (per un totale di 57 contro le 67 varietà sviluppate tra Europa e Stati Uniti), in particolare da paesi asiatici (54) e del Sud America (3), grande assente l’Africa, che, come si evince dal rapporto, nell’immediato continuerà a essere terra di conquista.
Gli OGM dei paesi in via di sviluppo sono pensati per i mercati domestici, ma in alcuni casi potrebbero riguardarci da molto vicino, come accade già oggi per la soia GM importata in Europa per alimentare il bestiame. Senza questa soia geneticamente modificata gli allevatori europei sperimenterebbero guai serissimi, la produzione interna infatti non è in grado di soddisfare la domanda.
Tornando ai paesi emergenti, la parte da leone la fa ovviamente la Cina. Il gigante asiatico ha investito parecchio in genetica e genomica, come dimostra, per esempio, il Beijing Genomics Institute, uno dei centri di sequenziamento più importanti a livello planetario. La Cina è in fase avanzata di sviluppo, o in alcuni casi ha già sviluppato, soia, mais, colza, cotone, papaya, patata, e pomodoro geneticamente modificati. E secondo il rapporto del JRC sta testando varietà di grano, cavolo e arachidi GM. Quindi non solo i cinesi puntano alle coltivazioni geneticamente modificate che hanno già un mercato già ben consolidato, ma iniziano a lavorare su varietà ancora vergini da questo punto di vista. Il tutto con la presenza quasi costante della ricerca pubblica, leggasi Accademia delle scienze cinese.
La dirimpettaia India non è da meno. Mais, cotone (numero elevato di varietà GM in fase di sviluppo domestico), riso, patata. E ancora: gli indiani stanno lavorando anche a melanzane, pomodori, cavolo, cavolfiore, senape. Il Brasile è arrivato a un ottimo punto nello sviluppo di soia GM e sta lavorando a fagioli geneticamente modificati. Nel rapporto del JRC c’è anche traccia dei Iran, Indonesia, Filippine e Pakistan (tutte e quattro riso) e Argentina (patate).
Tutto questo per tacere delle colture geneticamente modificate che arriveranno da aziende (molte) e istituti pubblici (pochi) di paesi sviluppati.
In futuro dunque alcuni paesi emergenti che si candidano al ruolo di potenze regionali molto probabilmente consolideranno la loro presenza in un campo tecnologico cruciale per la sicurezza alimentare. E la tecnologia GM potrebbe essere una delle carte giocate per tessere relazioni internazionali. Già è così per altre tecnologie, in particolare quelle con cui si costruiscono infrastrutture (i cinesi in Africa insegnano). Perché se è vero che gli OGM probabilmente non risolveranno il problema della fame nel mondo, è anche vero che, come dimostrano i fatti, su questa tecnologia stanno puntando i paesi più popolati del pianeta, che evidentemente la considerano un’opportunità da non cassare in assenza di valide argomentazioni scientifiche. Al contrario di quanto sta avvenendo nella triste patria di Galileo, che ha deciso di diventare attore passivo di una realtà in movimento.
In fondo anche la rivoluzione verde non ha risolto definitivamente il problema di chi va a letto senza cibo. Ma c’è qualcuno che pensa davvero, con onestà intellettuale, che senza la rivoluzione verde le cose non sarebbero cambiate radicalmente in meglio per centinaia di milioni di persone?
Tratto da: http://spataro-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/10/31/ogm-in-via-di-sviluppo/
Ottimo pezzo!In Italia al Salone del gusto di Torino Slow Foood ha portato avanti una tendenza opposta in omaggio alla ideologia di Shiva e neosessantottina.