Pubblico con piacere questo articolo di Damiano Mondini che ripercorre la posizione del professore spagnolo Huerta de Soto sull’Euro già esposta a suo tempo integralmente con la traduzione del paper: In difesa dell’Euro. L’ ampio dibattito che ne era seguito mi aveva portato a scrivere due altri articoli per fare chiarezza sulla questione: L’Euro come Gold Standard? e Contro l’Euro. Tuttavia, la posizione di Huerta de Soto merita una attenta rilettura in questa ottima analisi compiuta da Damiano Mondini. Essa si rivela utile per cristallizzare alcuni concetti fondamentali di proposito continuamente elusi (se non del tutto ignorati) da quei molti detrattori dell’euro che propongono un ritorno alle valute nazionali come via d’uscita dalla crisi economica (i vari Borghi, Tringali, Barnard e via dicendo). Aggiungerei prima di passare all’articolo una mia nota personale: non capisco come Huerta de Soto possa ancora frequentare la Mont Pélerin Society. Per dirla con le parole di Paul Craig Roberts, ex assistente al segretario del tesoro americano: “la Mont Pélerin Society non è più una forza efficace per perseguire la libertà, invece è diventata un altro strumento dell’egemonia americana”. Del resto già Mises si era reso conto, ai suoi tempi, come essa avesse preso la direzione dello statalismo abbracciando politiche economiche incosistenti. Forse Huerta de Soto spera di raddrizzarne il corso. I miei più sinceri auguri!
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Huerta de Soto, un Austriaco a difesa dell’Euro, di Damiano Mondini
Si è tenuto a Praga i primi giorni di settembre l’annuale seminario della Mont Pèlerin Society, l’organizzazione internazionale fondata da F. A. Hayek nel 1947 con lo scopo di diffondere e difendere i più sinceri ideali liberali [1]. Il 3 settembre è intervenuto l’economista spagnolo di Scuola Austriaca Jesùs Huerta de Soto, con un discorso i cui contenuti sono ampiamente sviluppati in un occasional paper pubblicato da IBL col titolo In difesa dell’Euro: un approccio austriaco. Chi scrive ha dato una lettura abbastanza approfondita al testo, e intende svilupparne in questa sede una ragionata – e si spera anche sensata – analisi sintetica. Premetto fin da subito di condividere ogni riga scritta da Huerta de Soto, le cui lezioni di Economia Politica sono peraltro brillantemente riportate nel libro A Scuola di Economia, a cura di Francesco Carbone ed edito da USEMLAB. Il sottotitolo del testo illustra una parte integrante delle tesi argomentate dall’autore: Con una critica agli errori della BCE e all’interventismo di Bruxelles. In effetti, l’intervento si articola in una difesa “congiunturale” dell’Euro, in una critica dei suoi detrattori d’ogni sorta e della politica economica e monetaria posta in essere dalla Banca Centrale Europea. Vediamone i principali step:
– Introduzione. Huerta de Soto esordisce con una rapida esplicazione delle principali conclusioni cui la Scuola Austriaca è pervenuta in ambito teorico, storico ed etico: una teoria del ciclo economico “generato dall’espansione creditizia […] orchestrata dalla banche centrali attraverso un sistema bancario che opera con riserva frazionaria”; l’origine evolutiva del denaro e l’intervento destabilizzante dello Stato e del suo potere coercitivo; l’importanza dei diritti di proprietà anche in relazione ai contratti bancari, “principi che nascono dall’economia di mercato stessa e che, a loro volta, sono imprescindibili per il suo corretto funzionamento”. Da tali conclusioni perviene quindi ad una proposta di riforma radicale dell’attuale sistema monetario che si estrinseca in tre passaggi: a) “il ripristino del coefficiente di cassa del 100 per cento”, con messa a bando della riserva frazionaria e ritorno alla riserva intera; b) “l’abolizione di tutte le banche centrali che, una volta portata a termine la riforma a), diventano totalmente inutili come prestatrici di ultima istanza”, e la cui pianificazione centrale ha dato ampia prova della propria fallibilità, presentando tutti i difetti evidenziati dal Teorema dell’Impossibilità del Socialismo enunciato a suo tempo da Mises; c) “il ritorno al sistema aureo classico”, dunque al pure gold standard. Huerta de Soto, in linea con la tradizione austriaca che si rifà direttamente a Rothbard (divergendo per esempio dalla posizione di Hayek), considera il gold standard come il sistema monetario ideale; si premura dunque di sottolineare che “l’analisi di relativo sostegno all’euro che […] presentiamo in questo articolo è da intendersi esclusivamente da un punto di vista congiunturale e possibilista”. Vedremo infatti che l’euro viene inteso dall’economista spagnolo come la miglior approssimazione disponibile del gold standard.
– Tassi fissi vs tassi flessibili. L’autore passa dunque a criticare la posizione assunta dagli economisti della Scuola di Chicago in merito alla questione dei tassi di cambio: i monetaristi di Chicago ritengono infatti che tassi di cambio flessibili, inseriti in un sistema di nazionalismo monetario, sarebbero più adatti ad una economia di mercato (in quanto “liberi”); rifacendosi alla più limpida tradizione austriaca (Hayek e Mises), Huerta de Soto sostiene invece che, finché non si saranno attuate le riforme succitate, “si dovrebbe fare tutto il possibile affinché il sistema monetario vigente si avvicinasse a quello ideale”. L’economista difende quindi un intorno di perfezione, una regolamentazione approssimativa ed asintotica al regime di gold standard, finché non sia possibile pervenire interamente ad esso. Ciò comporta una limitazione del nazionalismo monetario che elimini la discrezionalità dei singoli paesi in politica monetaria, frenando il più possibile politiche inflazionistiche di espansione creditizia: questo al fine di “disciplinare gli agenti economici, politici e sociali e, in particolar modo, i sindacati e gli altri gruppi di pressione, i politici e le banche centrali”. Al contrario, i tassi flessibili difesi dai monetaristi (e, invero, anche da alcuni austriaci come Fritz Machlup [2]) non sono in grado né di calmierare l’inflazione né di disincentivare il comportamento irresponsabile dei suddetti agenti sociali. A proposito di questi difensori di un malinteso liberismo, Mises scriveva: “avevano dimenticato la ragione più importante a favore del cambio fisso, ossia che esso rappresenta il freno pressoché insostituibile che ci permette di obbligare i politici (e le autorità monetarie che ad essi rispondono) a mantenere una moneta stabile”. Hayek, in questo assolutamente lungimirante, aggiungeva: “Non credo che potremo ripristinare un sistema di stabilità internazionale senza il ritorno ad un regime di cambi fissi, in grado di imporre alle banche centrali i freni indispensabili per riuscire ad opporsi alle pressioni dei fautori dell’inflazione”. Non a caso, Keynes e la sua scuola sostennero “appassionatamente l’instabilità dei tassi di cambio con l’estero”. Last but not least, il regime di tassi di cambio variabili favorisce comportamenti antidemocratici da parte dei governanti; scriveva infatti Mises: “I poteri pubblici non hanno che una fonte di entrate: il gettito delle imposte, e nessuna tassazione è legale in assenza dell’assenso del parlamento. Ma se il governo dispone di altre fonti di reddito [come l’inflazione, N.d.A.] può liberarsi dal controllo del parlamento”.
– L’euro come approssimazione al regime aureo. Secondo Mises, “lo standard aureo fa sì che la determinazione del potere d’acquisto della moneta sia indipendente dalle mutevoli ambizioni e dottrine dei partiti politici e dei gruppi di pressione”[3]. E’ in tal senso che si estrinseca la difesa austriaca dell’euro operata da Huerta de Soto. L’adozione all’interno dell’Eurozona della moneta unica ha infatti comportato conseguenze molto simili a quelle riscontrabili in un sistema aureo: sparizione del nazionalismo monetario e dei tassi di cambio flessibili; perdita di sovranità monetaria da parte dei singoli Stati, privati dunque della “possibilità di manipolare la propria moneta locale”. Inoltre, al sopraggiungere della crisi nel 2008, i politici locali “sono stati costretti ad affrontare una profonda recessione economica senza autonomia nella politica monetaria”, senza dunque la possibilità di stimolare la crescita con artificiose ed inflazionistiche politiche monetarie espansive; con l’euro, “nonostante tutti gli errori”, si sono trovati nell’improrogabile necessità di attuare riforme strutturali inevitabili di “liberalizzazione economica, deregolamentazione, flessibilizzazione dei prezzi e dei mercati (specialmente quello del lavoro), riduzione della spesa pubblica e smantellamento del potere sindacale e del welfare state”. Senza l’euro nulla di tutto ciò sarebbe accaduto, e queste riforme essenziali sarebbero state procrastinate all’infinito, o quanto meno realizzate troppo tardi: “è difficile pensare che una qualunque di queste misure sarebbe stata presa in considerazione in una situazione di moneta nazionale e di tassi di cambio flessibili: i politici, se possono, fuggono dalle riforme impopolari ed i cittadini da tutto ciò che comporta sacrificio e disciplina”. Aggiungo a scapito di equivoci: per sacrifici non si intende qui un incremento forsennato della pressione fiscale, ma tagli drastici alla spesa pubblica, alla “mano visibile” dello Stato e liberalizzazione dei servizi. Un altro non meno rilevante pregio dell’euro – in questo migliore finanche del regime di gold standard – è la relativa difficoltà di abbandonarlo: se infatti superare il regime aureo fu negli anni ’30 relativamente facile [4], “oggi, con l’euro, ogni altra alternativa sarebbe pressoché impossibile da praticare e avrebbe conseguenze ed effetti molto più pregiudizievoli, dolorosi ed eclatanti per la cittadinanza”, tanto da renderne improponibile l’adozione da parte dei politici, sempre preoccupati di incrementare il consenso. Inoltre il controllo imposto dalla moneta unica sull’operato dei governi e sui bilanci pubblici ha reso, contrariamente a quanto affermano allarmati i politici, l’attuale Eurozona più democratica: ha infatti obbligato i governanti alla trasparenza e al rigore dei bilanci, punendo con la caduta i governi irresponsabili di Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna e Italia [5].
– I nemici dell’euro. La ragione forse più rilevante a favore dell’euro è rappresentata proprio dai suoi detrattori e dalle loro “eterogenee e variopinte” argomentazioni. Schierati contro la moneta unica troviamo infatti “i dogmatici di estrema destra ed estrema sinistra [6], i keynesiani nostalgici o irriducibili alla Krugman, i monetaristi intransigenti dei tassi di cambio flessibili come Barro ed altri, gli ingenui seguaci della teoria delle aree monetarie ottimali di Mundell, i terrorizzati sciovinisti del dollaro (e della sterlina) ed, infine, tutto l’esercito di disfattisti confusi, la cui unica soluzione – di fronte all’imminente scomparsa dell’euro – sarebbe quella di raderlo al suolo ed abolirlo quanto prima”. Personalmente, aggiungerei alla lista gli accoliti della MMT, la Modern Monetary Theory propagandata in Italia dal “complottista” Paolo Barnard e dal forum DemocraziaMMT. Le credenziali di questi arguti esperti di economia sono sufficienti a far perorare urbi et orbi la causa dell’euro; lascio dunque ad una lettura approfondita del testo di Huerta de Soto una trattazione dettagliata, con annessa demolizione, dei loro traballanti edifici teorici [7].
– Viva l’euro, abbasso la BCE. Nonostante quanto fin qui sostenuto a favore dell’euro, Huerta de Soto afferma di rimanere un “euroscettico che ritiene che l’Unione Europea dovrebbe limitarsi esclusivamente a garantire la libera circolazione di persone, capitali e beni in un ambito di moneta unica (meglio se regime aureo)”; muove di conseguenza aspre critiche all’assetto istituzionale europeo e ai suoi problemi strutturali, dei quali la moneta unica non fa tuttavia parte. Le difficoltà economiche e sociali che ammorbano l’Eurozona sono infatti ascrivibili alla politica monetaria operata dalla Banca Centrale Europea, oltre che alla pressante regolamentazione che si accompagna al processo di progressiva centralizzazione politica [8]. Quest’ultima viene peraltro sostenuta sia dai “fanatici dell’euro”, sempre pronti a sostenere ogni possibile ampliamento del potere e del centralismo di Bruxelles, sia dai suoi detrattori più accaniti, che la considerano un detonatore che potrebbe rivelarsi fatale per la stessa moneta unica.
Ciò nondimeno, “il problema più grave non sta nella minaccia dell’impossibile unione politica, ma nel fatto insindacabile che se la Banca Centrale continua a mantenere una politica di espansione creditizia [… ] ciò porterà a cancellare […] l’effetto disciplinatore che l’euro ha sugli agenti economici di ogni paese”. La BCE non ha saputo – o non ha voluto – difendere i paesi dell’UE dall’enorme espansione creditizia mondiale orchestrata dalla Federal Reserve a partire dal 2001, i cui effetti sono divenuti palesi allo scoppio della bolla subprime. Ha inoltre permesso un incremento più che notevole della massa monetaria, la M3, cresciuta a livelli “superiori al 9 per cento annui, ben al di sopra dell’obiettivo del 4,5 per cento” stabilito dalla stessa banca centrale [9]. Insomma, gli errori – grossolani ma gravidi di conseguenze deleterie – della BCE sono ascrivibili alla totale ignoranza dell’armamento teorico fornito dalla Teoria Austriaca del Ciclo Economico, una cui conoscenza più approfondita avrebbe rivelato il carattere artificiale e insostenibile sul lungo periodo di molti investimenti, soprattutto quelli nel settore immobiliare. D’altronde è questo il lascito più prezioso, almeno per quanto concerne l’ambito economico, degli studiosi di Scuola Austriaca: una teoria che legge il ciclo economico come conseguenza ineluttabile di una politica creditizia espansiva operata dal sistema bancario grazie alla riserva frazionaria, ed orchestrata ab alto dalla banca centrale di turno; un’espansione che provoca una serie di cattivi investimenti in settori altrimenti infruttuosi, e che nel lungo periodo finiscono senz’altro per rivelare la propria inconsistenza, ovvero la mancanza di risparmi reali sostituiti dal “denaro a buon mercato” iniettato nell’economia dal sistema bancario; quando la verità viene a galla, affermano gli austriaci, la crisi non è che l’inevitabile riassesto del sistema economico, operato autonomamente dagli agenti del mercato, un processo di aggiustamento nel quale il Governo non deve assolutamente intervenire. Naturalmente, è innegabile che le scelte di politica monetaria della BCE siano state decisamente meno disastrose di quelle poste in essere dalla FED americana, sia negli anni del “Greenspan put” che in quelli del “Bernanke put”. Questo è avvenuto grazie allo statuto della BCE, più limitato [10], e soprattutto al contrappeso rappresentato dalla moneta unica.
– Germania vs USA (ovvero, perché Weidmann è meglio di Bernanke). Huerta de Soto passa dunque a descrivere meglio le differenti scelte di politica monetaria messe in campo dai paesi anglosassoni (USA e Inghilterra) da una parte e da quelli europei dall’altra. Rileva quindi come, a seguito della crisi economica del 2008, la FED e la Bank of England abbiano intrapreso una riduzione vicina allo zero dei tassi di interesse, una massiccia serie di operazioni di quantitative easing [11], una “ingente e continua monetizzazione diretta e senza ritegno del debito pubblico sovrano”, al cui confronto le scelte della BCE paiono un “gioco da ragazzi”. E’ facile scorgere, dietro a tali politiche, la longa manu di monetaristi e keynesiani, che hanno spinto per un “mantenimento, tanto negli Stati Uniti come in Inghilterra, di deficit di bilancio vicino al 10 per cento del rispettivo Prodotto Interno Lordo”. Da questo punto di vista, le differenze fra i seguaci di Milton Friedman e quelli di John M. Keynes finiscono per assottigliarsi al punto da scomparire. Al contrario, la moneta unica garantisce che nell’Eurozona sia impossibile “effettuare con tanta facilità l’inflazione monetaria”, oltre che violentare a tal punto i bilanci dei singoli Stati. Nonostante i numerosi e tristemente noti bailout avvenuti nell’Europa continentale, è da rilevare come operazioni di questo tipo siamo molto più complesse da attuare qui che non negli Stati Uniti e in Inghilterra. Inoltre – non che questo sia di gran conforto – queste scelte possono essere operate solo a fronte della promessa dei paesi in difficoltà di intraprendere “riforme basate sull’austerità di bilancio (e non sugli incentivi fiscali) e sull’introduzione di politiche di offerta [12] consistenti nel favorire la liberalizzazione e la competitività dei mercati”. Paradossalmente, è proprio lo spauracchio dello spread [13] a costringere i governi irresponsabili a porre un freno all’espansione della spesa pubblica, alle logiche parassitarie dell’interventismo e alla costosa e ipertrofica struttura dello Stato Sociale. Si capisce dunque anche la solerzia con cui i governanti cercano di ottenere un meccanismo anti-spread, atto a contenere i danni collaterali dell’aumento dei tassi d’interesse e della forbice coi titoli di Stato tedeschi. Questo spiega inoltre la storica opposizione della Germania, la cui responsabilità di bilancio spicca dinnanzi alla sregolatezza dei paesi del Sud Europa (fra i quali, naturalmente, la nostra Italia). E’ dunque necessario sostenere i tedeschi nel loro diniego ad accettare i cosiddetti Eurobond, la cui emissione “eliminerebbe gli incentivi che al momento hanno i diversi paesi per agire con rigore”. Rileviamo tuttavia con preoccupazione che, nei tempi più recenti, le posizioni di Angela Merkel sembrano ammorbidirsi, mentre la coerenza di Jens Weidmann, il geniale Presidente della Buba, pare essere sempre più isolata. In effetti, i dati citati da Huerta de Soto nella comparazione fra Germania e Stati Uniti sono piuttosto eloquenti, e mi pare il caso di schematizzarli:
Termine di confronto | Germania | Stati Uniti |
Deficit pubblico | 1% | >8,2% |
Disoccupazione | 6.9% | vicina al 9% |
Inflazione | 2,5% | >3,7% |
Crescita | 3% | 1,7% |
– Conclusione. Huerta de Soto si accinge a concludere evidenziando un importante elemento, ossia che gli attuali nemici dell’euro condividono le medesime motivazioni addotte in passato dai detrattori dell’oro: l’opposizione alla capacità, comune sia all’oro che alla moneta unica, di “disciplinare i politici con le mani bucate e i gruppi di pressione”. Certamente, “l’euro non rappresenta nemmeno lontanamente il regime monetario ideale”, ed è probabile che non scongiurerà altre disastrose scelte di policy da parte della BCE. Esso rappresenta nondimeno un male infinitamente più sopportabile dei “peccati della Federal Reserve e della Banca d’Inghilterra”, oltre che del nazionalismo monetario. L’euro è dunque la miglior “approssimazione” disponibile al regime di gold standard, “favorendo il rigore nei bilanci, le riforme che tendono a migliorare la competitività e mettendo un limite agli abusi del welfare state e della demagogia politica”. Minare la stabilità dell’euro significa dare carta bianca ai suoi detrattori, le cui intenzioni sono ben note: eliminare un fastidioso freno al folle espansionismo della spesa pubblica, all’ampliamento senza limiti della mano di uno Stato inefficiente e corrotto, al radicarsi dello Stato Sociale e della pressione dei gruppi di interesse. Lo scontro fra queste due opposte visioni ricorda quello degli anni ’30: esso vedeva contrapposti i sostenitori del regime aureo (fra cui spiccavano Mises e Hayek) e i fautori del suo abbandono, questi ultimi a favore del nazionalismo monetario, delle politiche inflazionistiche, della rigidità del mercato del lavoro, dell’interventismo, del “fascismo economico” e del protezionismo commerciale (in primis, naturalmente, il già citato Keynes). Fu per la libertà, quella vera, che gli austriaci e i liberali lottarono e furono sconfitti; ed è per la stessa libertà che noi, oggi, dobbiamo difendere l’euro. Questo è il messaggio di Huerta de Soto, che spero vi sarà di un qualche sostegno.
*Link all’originale: http://www.usemlab.com/index.php?option=com_content&view=article&id=920:repetita-iuvant&catid=21:scuola-austriaca-di-economia&Itemid=177
Note
In linea di massima la cultura prevalente del Vecchio Continente chiede di passare agli Stati Uniti d’Europa, senza avvertire i rischi di una simile scelta: un progetto artificioso, nemico della storia (l’Europa ha la sua identità nel pluralismo, e non nell’unità), tendente a deresponsabilizzare i diversi attori […]. Non si predispone l’Europa dei cantoni svizzeri e delle libertà locali (che permetterebbero basse tassazione e regolazione), ma ci si incammina verso l’Unione delle Repubbliche Socialiste d’Europa.
[9] = In questa prospettiva, l’acquisto “illimitato” di titoli di Stato con scadenze da 1 a 3 anni, annunciato di recente da Mario Draghi, non è per nulla rassicurante. Non meno preoccupante la sostanziale unanimità nell’adesione da parte del board della BCE: unica voce contraria quella del Presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. [10] = Teoricamente, secondo il proprio statuto la BCE dovrebbe limitarsi ad impedire un incremento eccessivo dell’inflazione; al contrario la FED, oltre che della stabilità dei prezzi, deve occuparsi anche dell’occupazione e dell’attività economica. Inutile aggiungere che non v’è nulla di più ambiguo. [11] = Sovente abbreviato con QE (cosa diceva Orwell delle sigle?), sta per “alleggerimento quantitativo”: è sostanzialmente una modalità “straordinaria”, invero molto ordinaria, attraverso cui una banca centrale crea moneta e la inietta, con le cosiddette “operazioni di mercato aperto”, nel sistema economico-finanziario. Ciò avviene tramite l’acquisto, da parte della banca centrale, di attività finanziarie di altre banche, con effetti benefici sui bilanci di queste ultime (e malefici sul bilancio della collettività, ma questo non lo troverete scritto sul Sole 24 Ore) [12] = In un’ottica supply-sider, diminuendo i vincoli all’offerta come tassazione e regolamentazione, si può stimolare l’economia in modo molto più salutare che non pompando la domanda aggregata, come invece esortava a fare Keynes. [13] = Vale la pena ricordare che si tratta del differenziale di rendimento fra i BTP decennali italiani (o i Bonos spagnoli) e i Bund tedeschi, considerati i più sani (o i meno malati) d’Europa.
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[…] […]
@Tizzi. Perfetta la tua immagine della divisione politica del 1300, ma in quella grande divisione c’era una e una sola cosa che era uguale per tutti ed era la moneta e cioè l’oro. Quindi Huerta ha perfettamente ragione!!!
Leggi la risposta di Gary North: l’oro nel 1300 era una moneta (tra le tante… argento non andava bene?) spontaneamente e liberamente scelta.
Non c’era un sovrastato assurdo che imponeva la moneta.
Gary North ha ragione mille volte: rinunciare alla libertà in nome di una moneta unica è assurdo!
Il problema sono gli Stati, non le monete. Facciamo fuori gli Stati e la gente userà la moneta che gli pare. Altrimenti saremo sempre e solo schiavi di burocrati, magari nemmeno eletti.
Huerta non dice che l’euro è una moneta perfetta, ha detto che ha tagliato un po’ le unghie ai politici, rispetto alle monete nazionali. Per il resto lui parla sempre di libera moneta di riserva frazionaria al 100% e di eliminazione delle banche centrali. Poi sono d’accordo con te e Gary north
Vedi, il problema è che gli economisti fanno spesso discorsi molto articolati che però vengono drammaticamente riassunti nella vulgata e diventano messaggi pericolosissimi: il rischio è sempre quello di scambiare un “second best” per obiettivo primario.
Inoltre De Soto sembra (molto strano per uno spagnolo, dato la fine che sta facendo il suo paese) sottovalutare il fatto che l’architettura dell’Euro sembra apparentemente “tagliare le unghie” ai politici non consentendo la monetizzazione del debito pubblico, ma in realtà peggiora vistosamente la situazione per due motivi, a mio parere:
– si parte dal presupposto che, non avendo a disposizione la “valvola” del debito pubblico, i politici vadano a tagliare le spese. Invece la storia recente (Grecia, Portogallo, Spagna) insegna che i politici non faranno altro che aumentare, continuamente e sempre più violentemente le tasse (come fosse la stessa cosa!! Idioti!!!). E questa corsa non ha un limite, come molti credono, non è vero che lo Stato si fermerà perché i “pagatori di tasse”, quelli che di solito vengono tacciati di evasione, sono una netta minoranza rispetto agli “utilizzatori di tasse”. Quindi lo sceriffo di Nottingham continuerà a girare armato coi propri sgherri sui suoi cavalli neri e prenderà tutto quello che c’è da prendere, senza mai fermarsi, almeno finché non arriverà un Robin Hood qualsiasi a fermarlo.
– ci si dimentica troppo spesso che l’Euro è una moneta fiat come le altre, anzi peggio delle altre dal punto di vista della riserva, che è ormai ridotta al 1%, mentre per esempio nei vituperati USA la Fed la mantiene al 10%. Si presuppone, quindi, parlando della stabilità presunta dell’Euro, che il sistema finanziario, che poi è ormai parte integrante dello Stato, solo non si abbassa a farsi eleggere, sia meglio del Governo nel distribuire moneta inventata dal nulla. E’ così? Non mi pare. Per quanto osceni siano i Governi si fa fatica a dire che il mondo finanziario oggi sia meglio. Si fa fatica a dire anche che ci sia una differenza tra i due.
Insomma: per ogni Fiorito quanti Ligresti ci sono? E quanto sono più alte le cifre che girano i secondi rispetto ai primi?
Per questo dico: attenti a far classifiche tra cose che non ci piacciono. Si rischia sempre di perdere di vista gli obiettivi per inseguire le strade secondarie.
http://www.euratlas.net/history/europe/1300/index.html
Questa è la soluzione, altro che Euro
Ha ragione Gary North!
Non si può rinunciare a tutte le libertà, anche le più basilari, in nome di una moneta che FORSE sarà più stabile di un’altra che manco esiste.