Il Liberalismo limita il suo interesse interamente ed esclusivamente alla vita e agli sforzi terreni. Il regno della religione, d’altro canto, non è di questo mondo. Così, liberalismo e religione possono coesistere fianco a fianco senza che i loro settori si tocchino. Non è stato a causa del liberalismo se i due sono entrati in rotta di collisione. Questo non ha violato il suo campo d’azione; non ha sconfinato nel dominio della fede religiosa o della dottrina metafisica. Tuttavia, ha incontrato la chiesa come potere politico che rivendicava il diritto di regolamentare conformemente al suo giudizio non solo la relazione dell’uomo con il mondo a venire ma anche gli affari di questo mondo. Fu a questo punto che il campo di battaglia venne delineato.
Così schiacciante fu la vittoria riportata dal liberalismo in questo conflitto, che la chiesa fu costretta ad abdicare, una volta per tutte, alle pretese vigorosamente mantenute per migliaia di anni. Il rogo degli eretici, persecuzioni inquisitorie, guerre religiose, oggi appartengono alla storia. Nessuno può comprendere come persone tranquille, che recitavano le loro preghiere, come giustamente ritenevano, tra le loro quattro mura domestiche, potessero essere trascinate in tribunale, incarcerate, condotte al martirio e bruciate. Ma sebbene non ci siano più roghi appiccati ad majorem Dei gloriam, una gran quantità di intolleranza persiste ancora.
Il liberalismo, nondimeno, deve essere intollerante verso ogni forma di intolleranza. Se si considera la cooperazione pacifica di tutti gli uomini come l’obiettivo dell’evoluzione sociale, non si può permettere che la pace sia messa a repentaglio da sacerdoti e fanatici. Il liberalismo proclama la tolleranza per ogni fede religiosa ed ogni credo metafisico, non per indifferenza verso queste cose “superiori”, ma per la convinzione che il mantenimento della pace all’interno della società debba avere la priorità su tutto e tutti. E poiché richiede la tolleranza di tutte le opinioni e di tutte le chiese e sette, esso deve ricondurli ai loro giusti limiti ogni qual volta questi si avventurino oltre in maniera intollerante. In un ordine sociale basato sulla cooperazione pacifica, non esiste luogo in cui le chiese possano reclamare il monopolio dell’istruzione e dell’educazione dei giovani. Tutto ciò che i loro sostenitori gli accordano di propria spontanea volontà deve essere concesso alle chiese. Niente gli può essere consentito nei confronti delle persone che non vogliono avere nulla a che fare con loro.
E’ difficile comprendere come questi principi del liberalismo possano crearsi dei nemici tra i seguaci delle varie fedi. Se detti principi rendono impossibile per una chiesa fare proseliti con la forza, per conto proprio o perché consentito dallo Stato, d’altra parte proteggono quella chiesa stessa dal proselitismo forzato da parte delle altre chiese e sette. Ciò che il liberalismo prende dalla chiesa con una mano, glielo rende con l’altra. Persino i fanatici religiosi devono ammettere che il liberalismo non toglie nulla alla fede di ciò che appartiene alla sua sfera.
Bisogna riconoscere che le chiese e le sette, laddove hanno preso il sopravvento, non possono fare abbastanza nella persecuzione dei dissidenti, mentre invocano, ove si trovino in minoranza, tolleranza almeno per loro stesse. Tuttavia, questa richiesta di tolleranza non ha nulla in comune con la richiesta liberale di tolleranza. Il liberalismo esige tolleranza come questione di principio, non di opportunismo. Richiede, ovviamente, tolleranza persino degli insegnamenti senza senso, delle forme assurde di eterodossia e delle stupide superstizioni infantili. Pretende tolleranza per le dottrine e le opinioni che ritiene dannose e deleterie per la società e anche per i movimenti che esso combatte instancabilmente.
Ciò che spinge il liberalismo a richiedere ed accordare tolleranza non è la considerazione del contenuto delle dottrine da tollerare, ma la consapevolezza che solo la tolleranza può creare e preservare la condizione di pace sociale senza la quale l’umanità rischia di ricadere nella barbarie e nella miseria dei lunghi secoli passati.
Contro ciò che è stupido, senza senso, errato e malefico, il liberalismo combatte con le armi della mente e non con la forza bruta e la repressione.
13 Lo Stato e il comportamento antisociale
Lo Stato è l’apparato della costrizione e della coercizione. Questo vale non solo per lo Stato “guardiano notturno”, ma anche per tutti gli altri e soprattutto per lo Stato socialista. Tutto ciò che lo Stato è in grado di fare, lo fa per mezzo della costrizione e dell’applicazione della forza. Sopprimere il comportamento pericoloso per l’esistenza dell’ordine sociale è la somma e la sostanza dell’attività dello Stato; a questo si aggiunge, in una comunità socialista, il controllo sui mezzi di produzione.
La rigorosa logica dei Romani ha espresso questo aspetto simbolicamente, adottando l’ascia e il fascio di verghe come emblema dello Stato. Misticismo astruso, che si fa chiamare “filosofia”, ha fatto quanto più possibile nell’era moderna per oscurare la verità della questione. Per Schelling, lo Stato è l’immagine diretta e visibile della vita assoluta, una fase nella rivelazione dell’Anima Assoluta o Mondiale. Esiste solo per sé stesso e la sua attività è rivolta esclusivamente al mantenimento sia della sostanza che della forma della sua esistenza. Per Hegel, la Ragione assoluta si rivela nello Stato e lo Spirito Obiettivo si realizza in esso. Il pensiero etico è sviluppato in una realtà organica; l’idea etica come volontà sostanziale rivelata intelligibile a se stessa. Gli epigoni della filosofia idealista hanno superato anche i loro maestri nella deificazione dello Stato. Ad esser sinceri, non si arriva più vicini alla verità se, in reazione a queste e similari dottrine, si definisce lo Stato, con Nietzsche, il più freddo di tutti i mostri. Lo Stato non è né freddo né caldo, poiché è un concetto astratto in nome del quale gli uomini, gli organi dello Stato, il governo, agiscono. Tutta l’attività dello Stato è agire umano, un male inflitto dagli uomini sugli uomini. L’obiettivo, preservare la società, giustifica l’azione degli organi dello Stato, ma i danni inflitti non sono percepiti come un male minore da coloro che li sopportano.
Il male che un uomo infligge al suo prossimo ferisce entrambi, non solo colui verso il quale è diretto, ma anche colui che lo compie. Nulla corrompe un uomo così tanto come lo svolgimento della funzione di “braccio della legge” e la conseguente sofferenza inferta ai suoi simili. La condizione del soggetto è di ansietà, uno spirito di adulazione servile e strisciante; ma la farisaica ipocrisia, presunzione ed arroganza del maestro non sono migliori.
Il Liberalismo cerca di tirar via il laccio che lega l’ufficiale del governo e il cittadino. In tal modo, ovviamente, non segue le orme di quei romantici che difendono il comportamento anti-sociale del trasgressore e condannano non solo i giudici e i poliziotti, ma anche l’ordine sociale in quanto tale. Il Liberalismo non desidera, né può negare che il potere coercitivo dello Stato e la punizione legale dei criminali siano istituzioni di cui la società non potrebbe mai, in nessun caso, fare a meno. Tuttavia, il liberale ritiene che lo scopo della pena sia unicamente quello di escludere, per quanto possibile, un comportamento pericoloso per la società. Punizione non dovrebbe significare “vendetta” o “rappresaglia”. Il criminale ha sopportato le sanzioni della legge, non l’odio e il sadismo del giudice, del poliziotto e del continuo attacco dei linciatori.
Ciò che di più malizioso del potere coercitivo che si giustifica in nome dello “stato”, poiché sempre nella necessità di essere sostenuto dal consenso della maggioranza, è il suo dirigere l’attacco contro il nascere delle innovazioni. La società umana non può fare a meno dello Stato ma tutto il progresso dell’umanità si è dovuto realizzare contro la resistenza e l’opposizione dello Stato e del suo potere di coercizione. Non c’è da meravigliarsi se tutti coloro che hanno avuto qualcosa di nuovo da offrire all’umanità non abbiano avuto nulla di buono da dire a proposito dello Stato o delle sue leggi. I mistici statisti incorreggibili e gli adoratori dello Stato potrebbero non essere d’accordo: i liberali capiranno la loro posizione, pur senza approvarla. Inoltre, ogni liberale deve opporsi a questa ostilità comprensibile verso tutto ciò che riguarda carcerieri e poliziotti, quando viene portata al punto che tale repulsione eccessiva proclami il diritto dell’individuo a ribellarsi contro lo Stato. La resistenza violenta contro il potere dello Stato è l’ultima risorsa della minoranza nel suo sforzo di liberarsi dall’oppressione della maggioranza. La minoranza che vuole assistere al trionfo delle sue idee deve impegnarsi con mezzi intellettuali per divenire maggioranza. Lo Stato deve essere costituito in modo che il raggio d’azione delle sue leggi consenta a ciascuno un certo margine di manovra all’interno del quale possa muoversi liberamente. Il cittadino non deve essere così strettamente circoscritto nella sua attività che, se egli pensasse differentemente da chi è al potere, la sua unica scelta sia di perire o di distruggere l’apparato statale.
[Questo articolo è estratto da Liberalismo, Capitolo 1]Articolo di Ludwig von Mises su Mises Canada
*Link all’originale: http://vonmises.it/2012/10/23/lo-stato-e-il-comportamento-antisociale/
Traduzione di Antonio Francesco Gravina
Purtroppo l’elettronica consente un solo like.
“Il rogo degli eretici, persecuzioni inquisitorie, guerre religiose, oggi appartengono alla storia.”
Anche al futuro, stando a quanto afferma Eric Kaufman, demografo dell’University of London:
https://www.uccronline.it/2013/04/08/i-religiosi-erediteranno-la-terra/
I non credenti hanno dimenticato di riprodursi e incideranno sempre meno sulla politica.
L’etno-demografia è la religione sono inestricabili.
https://www.youtube.com/watch?v=H7vCDeKPRSo