In Anti & Politica, Economia

Nota di Rischio Calcolato: consigliamo di leggere con attenzione il seguente post tratto da Intermarket and More a firma Gaolin,  blogger  noto per conoscere bene la Cina come realtà economico-produttiva. L’analisi di Gaolin è spietata e tocca in maniera cruda e sintetica entrambi gli aspetti principali che costituiscono il cuore del dibattito sul declino italiano, ovverio Il parassitismo dello stato (più in generale della cultura italiana di oggi) e l’Euro. Buona lettura e complimenti a Gaolin e a Intermarket and More.

tricolore strappato scappa ITALIA: ormai è chiaro. Ha perso la sua competitività. (Guest Post, da Leggere Assolutamente)

DI GAOLIN*

Fino poche settimane fa, sui media sussidiati e allineati la parola competitività non faceva parte degli argomenti su cui si discuteva. Pare invece che da qualche settimana l’argomento sia diventato centrale.

Alleluia, finalmente, … era ora, anche se un po’ troppo tardi. Non nascondo ai lettori di I&M il mio disagio a dover sempre dare, riguardo l’economia reale s’intende, un quadro del mio paese a tinte fosche.

USCITA+DAL+TUNNEL ITALIA: ormai è chiaro. Ha perso la sua competitività. (Guest Post, da Leggere Assolutamente)Non riesco però a intravedere nell’attuale situazione uscite da quel tunnel in cui, al momento dell’ingresso nessuno aveva detto che eravamo entrati. Non riesco neppure ad avere visioni ottimistiche sul nostro futuro, grazie ai provvedimenti di questo governo che, a onor del vero in campo internazionale ci ha ridato una certa considerazione e un po’ di credibilità, morale almeno.

Peccato solo che questa credibilità ci costerà più cara del non averla.

In un mio post precedente, che ha riguardato La competitività economica della Germania , ho un po’ esaltato le virtù di questo paese. Chi ha avuto modo di leggerlo avrà pure fatto qualche confronto con il nostro, con particolare riguardo alla nostra classe dirigente.. Se ci concentriamo poi sulla nostra classe politica, messa a confronto con quella tedesca, veramente ne usciamo impietosamente e vergognosamente distrutti.

Eppure come paese non saremmo proprio ancora così mal messi se solo avessimo la capacità di spostare il focus dei dibattiti politici-economici, che imperversano ormai dappertutto, dal problema del debito e dello spread a quello della crescita ma soprattutto a quello della competitività.

fddd ITALIA: ormai è chiaro. Ha perso la sua competitività. (Guest Post, da Leggere Assolutamente)Nei giorni del recente Meeting di Comunione e Liberazione, il nostro ministro per lo sviluppo Passera, nel suo intervento, ha affermato che l’Italia deve riacquistare competitività. Fra me e me ho pensato, Deo Gratias forse questa è la volta buona che si comincia ad affrontare questo tema.

Da allora, in un crescendo rossiniano, pare che la competitività, confusa spesso con la parola crescita, sia diventato un tema centrale, al punto che il nostro premier MONTI addirittura ha detto che questa è più importante dello spread. Ma va!

Ma come! Dopo un anno in cui tutte le ansie erano rivolte all’andamento dello SPREAD, adesso si viene a dire che si cambia il motivo delle ansie?

E già!

Ormai quasi tutti, perfino gli uffici di statistica che ci mettono almeno 12 mesi per cominciare a capire cosa veramente sta succedendo, si stanno rendendo conto che il sistema manifatturiero-industriale italiano è al collasso in molti settori.

E che si fa?

Si tenta di avviare un caotico dibattito su cosa e come fare per aumentare la produttività del lavoro, per ridare competitività al paese ITALIA, affinchè possa poi riprendere la crescita, positiva si intende, perché nell’altro senso ormai non abbiamo niente da imparare da nessuno.

DitoPuntato ITALIA: ormai è chiaro. Ha perso la sua competitività. (Guest Post, da Leggere Assolutamente)Tutti, soprattutto, si affanneranno ad addossare ad altri le colpe di questa situazione in cui siamo precipitati, con i politici di professione in testa che potranno alla fine scaricare le loro responsabilità sul governo tecnico che oggi sta sapientemente, a loro dire, dirigendo il nostro paese.

Tutti avranno le loro ricette e le loro recriminazioni da fare sul non fatto prima di oggi ma, da quello che ho finora capito, quasi tutti si ostinano a non volere ammettere esplicitamente una realtà evidente come il re nudo della famosa fiaba di Hans Christian Andersen.

L’unione europea e in particolare la moneta unica, per come è stata progettata e poi portata avanti in questo decorso decennio, è ormai da considerare un totale fallimento, una colossale fregatura, specie per l’Italia. Prima lo si ammetterà meglio sarà. Altro che irreversibilità dell’EURO.

Siccome questa è un’affermazione piuttosto forte e generalmente poco condivisa in questo momento, cercherò di argomentarla tentando contemporaneamente di dare il mio apporto al dibattito sulla competitività dell’ITALIA, tema di questo post.

La COMPETITIVITA’

Per competitività di un paese si può intendere quell’insieme di costi diretti e indiretti che fanno sì che un prodotto o servizio fabbricato o reso in quel paese sia più o meno competitivo nel mercato globalizzato. Ovviamente, affinchè un prodotto o servizio sia competitivo non conta solo il prezzo puro e semplice ma anche il livello di qualità più o meno effettiva in ogni aspetto, la garanzia sottostante, l’attrazione che suscita, il fattore estetico, il marchio, il paese dove viene prodotto e altri fattori meno determinanti.

globalizzazione ITALIA: ormai è chiaro. Ha perso la sua competitività. (Guest Post, da Leggere Assolutamente)La globalizzazione dei mercati, favorita dal diffondersi delle informazioni e dal bassi costi del trasporto delle merci, specie via mare, ha permesso a paesi un tempo emarginati e di scarso peso nell’economia mondiale di avere l’opportunità di guadagnare in breve tempo una buona parte del tempo perduto, assumendo un ruolo di primissimo piano, passando da quello di paesi sottosviluppati a quello di emergenti, per arrivare al ruolo di paesi emersi in grado di distruggere le economie reali di quei paesi che ancora oggi non riescono a rendersi conto di cosa è già capitato e soprattutto capiterà loro se continueranno a ignorare che il
fattore “EXCHANGE RATE” è decisivo più di qualunque altro nel determinare la competitività di una nazione.

I cinesi lo sanno benissimo e anche altri lo hanno imparato bene.

I paesi dell’occidente sviluppato, alcuni dei quali ex opulenti, altri in via di rapido impoverimento, sono talmente concentrati sullo stato di salute dei loro sistemi finanziari, in situazione di default più o meno conclamato, che nel loro insieme non se ne rendono conto. Eppure oggi constatiamo che il know-how occidentale, attraverso la delocalizzazione produttiva, è stato dato, ovvero trasferito, a gratis a paesi che, per la loro dimensione e per le caratteristiche dei popoli che vi risiedono, avrebbero in breve tempo ribaltato completamente i rapporti di forza nello scacchiere economico mondiale.

Uno su tutti: la CINA.

Di questo paese in occidente si percepisce poco quali siano le enormi potenzialità ancora non espresse o abbastanza sviluppate.

26 chinese crowd ITALIA: ormai è chiaro. Ha perso la sua competitività. (Guest Post, da Leggere Assolutamente)Eppure l’immane dimensione demografica di questo paese, costituita da oltre 1.300.000.000 individui, dovrebbe inquietare non poco.

La straordinaria operosità di questo popolo, la sua capacità di porsi nuovi ambiziosi obiettivi come nazione, la sua consapevolezza di poter diventare in breve la nazione N° 1 al mondo, non dovrebbero essere fattori praticamente ignorati o sottovalutati dai nostri capi occidentali. Addirittura ogni tanto sorgono voci preoccupate se questo paese non cresce abbastanza, magari a causa del rallentamento dell’export, dovuto al calo dei consumi nei paesi occidentali. Pochissimi afferrano che, alla fine, la competitività cinese altro non è stato ed è tutt’ora il frutto di una tenace quotidiana opera di mantenimento di un rapporto di cambio fra CNY e USD a un valore che nulla ha a che vedere con il potere di acquisto in loco delle 2 valute. Il governo cinese lo ha fatto in varie forme, un tempo comprando a go-go bond americani, oggi per lo più acquistando all’estero asset vari, beni durevoli e commodities di vario genere, fino a esserne strapiena oltre ogni necessità.

Ciò ha provocato in questo ultimo ventennio un imponente trasferimento di produzioni manifatturiere dai paesi occidentali verso la Cina e il progressivo impoverimento del tessuto industriale di intere nazioni i cui effetti appena adesso cominciano a manifestarsi crudamente con il calo del benessere dei popoli occidentali. All’inizio della Globalizzazione tutti in occidente abbiamo goduto, stando belli e zitti a lasciare che nei paesi low-cost si lavorasse come forsennati per noi, in condizioni spesso di vera e propria schiavitù. Adesso invece la Globalizzazione Selvaggia sta entrando in una nuova fase e si sta ritorcendo contro di NOI.

 ITALIA: ormai è chiaro. Ha perso la sua competitività. (Guest Post, da Leggere Assolutamente)Questo processo non sarà arrestato o invertito tanto facilmente come qualcuno può pensare, tantomeno con bombe o atti di forza. Potentissime forze e la finanza globalizzata, con i suoi micidiali meccanismi, stanno facendo di tutto, più o meno consapevolmente, per far sì che il fenomeno non si arresti e sembra ci stiano riuscendo alla grande, fino all’epilogo finale che vedrà il tracollo dell’intero sistema economico occidentale, finanza compresa.

Ma veniamo alla perdita di competitività del Sistema ITALIA

Molti, specie fra gli imprenditori, ricordano bene i tempi in cui le fiere italiane, al contrario di oggi, erano molto frequentate da operatori economici stranieri, i tempi in cui andare in giro per il mondo in nome di qualche azienda italiana dava tante soddisfazioni. Raramente uno tornava a mani vuote. Quasi sempre nuovi orizzonti di sviluppo si aprivano per le aziende più intraprendenti che, nel tempo, sono magari diventate leader in qualche mercato. Nessuno minimamente si sognava di andare a cercare risparmi nei costi delocalizzando lavorazioni o produzioni. L’Italia era un paese competitivo che dava filo da torcere a tutti, tedeschi compresi.

Oggi non è più così per la stragrande maggioranza delle imprese italiane, allocate solo entro i confini nazionali e inserite in settori economici più o meno globalizzati. Pensare di fare dall’Italia concorrenza ad imprese operanti in altri paesi è sempre più un’impresa titanica, il più delle volte perdente in partenza.

Ma perché si è arrivati a questo punto?

Gli italiani sono diventati scemi? Hanno perso la loro inventiva o la loro fantasia che li aveva resi famosi nel mondo? Hanno perso il coraggio di fare impresa e di prendersi i rischi insiti negli investimenti? Vero è che la generazione degli imprenditori rampanti, ora 60enni o di più, non è stata adeguatamente sostituita da una nuova, altrettanto disposta a fare i sacrifici delle precedenti, che hanno fatto il miracolo economico italiano ma ciò non spiega, se non in minima parte, il tragico declino che l’economia reale italiana sta vivendo in un crescendo quasi rossiniano in questi ultimi tempi.

5711 imprese indagine sul disagio impenditoriale in italia 350 ITALIA: ormai è chiaro. Ha perso la sua competitività. (Guest Post, da Leggere Assolutamente)Il fatto è che in un paese per fare impresa, che prospera con le proprie gambe e non sussidiata, è necessario che ci sia un contesto ad essa favorevole. Questo contesto può essere più o meno favorevole in funzione della classe dirigente che in qualche modo è riuscita a imporsi in un paese e di conseguenza poi a favorire una o l’altra classe sociale e, all’interno di queste, una parte piuttosto che un’altra.

Il mondo delle imprese e in generale l’economia reale, basata sulla produzione di beni, in Italia ha goduto di tante attenzioni fino a circa 15-20 anni fa. Da parecchi anni ciò non è più vero. Siccome in queste strutture di solito si è impegnati dalla mattina alla sera, si è costantemente sotto il peso dei problemi che arrivano da ogni dove (clienti, fornitori, maestranze, disguidi tecnici, ecc), insomma si lavora sul serio, vi è stata una costante disaffezione verso questo mondo e un contemporaneo sempre maggior interesse verso attività meno impegnative del lavorare in fabbrica, come potrebbe essere un impiego statale o assimilabile, o verso professioni che, a parità di impegno e capacità, danno soddisfazioni economiche molto maggiori.

Insomma lavorare con impegno e produrre piace sempre meno e sempre più sono coloro che preferiscono lasciare ad altri l’onere di tirare la carretta per tutti, specie se il tirare la carretta rende meno che a guardare chi la tira. Se poi questi guardoni diventano la maggioranza ecco che si crea tutto un sistema in cui si legifera per favorire i poco o nulla facenti, si creano strutture che poco servono alla comunità ma molto agli interessi di caste e clientele che con sempre maggiore avidità sottraggono risorse a chi lavora e produce.

Non è il caso però di andare avanti con questi discorsi perché quasi tutti gli italiani sono molto ferrati su questi argomenti. Piuttosto è il caso di considerare l’effetto perverso sull’economia reale che tali comportamenti e azioni hanno sulla competitività di un paese. Non servirebbe ribadirlo ma tutti sanno che:

se i parassiti, magari per effetto di leggi, sottraggono sempre più risorse a chi lavora e produce,

se le leggi in vigore creano sempre più difficoltà e costi alle imprese,

se la corruzione e il malaffare estendono sempre di più le loro maglie sull’economia che produce,

se non vi è una politica del governo della nazione che favorisce chi crea ricchezza vera ma il contrario

se come governo della nazione si assumono vincoli e si stipulano patti senza valutare bene quali saranno le conseguenze nel tempo,

la competitività di un paese, se c’era prima, viene con il tempo persa.

made ITALIA: ormai è chiaro. Ha perso la sua competitività. (Guest Post, da Leggere Assolutamente)Una volta che questa competitività viene persa ce ne vuole poi per riconquistarla. Attuare comportamenti e politiche che seguano percorsi inversi a quelli sopra descritti e che ci hanno fatto perdere la nostra competitività, è un’impresa impossibile nel nostro paese in tempi ragionevolmente brevi, come sarebbe necessario. Eeeh già, le altre nazioni non stanno certo a guardare che l’Italia con comodo provveda a rinnovarsi seguendo percorsi nuovi e virtuosi, di cui magari non è neppure capace. In qualsiasi nazione, perfino in Cina, si parla in modo quasi ossessivo che il paese deve fare ogni sforzo per innovarsi, per aumentare la propria competitività.

Per fare ciò si pianificano interventi, si investono capitali enormi perché disponibili, mentre da noi si parla, si parla ma quando si arriva a come e dove trovare i soldi si scopre la dura verità: soldi non ce ne sono.

Con il vincolo del pareggio di bilancio, mamma stato più che a dare deve pensare a come sottrarre ancora più soldi a chi lavora. Chi, per sua fortuna o bravura, di soldi ne ha non è disponibile a perderli facendo investimenti in Italia. Addirittura chi li ha a suo tempo fatti se ne va via o chiude perché non ce la fa più. E allora?

CONCLUSIONE

italia ITALIA: ormai è chiaro. Ha perso la sua competitività. (Guest Post, da Leggere Assolutamente)Più che dibattere senza costrutto e accusarsi tutti l’un l’altro per ciò che non è stato fatto negli anni o decenni trascorsi e a proporre improbabili ricette a favore di qualche sparuta categoria o peggio ancora clientela, bisogna amaramente ma consapevolmente ammettere che l’ITALIA ha fallito nel suo proposito di diventare un paese virtuoso. come ci era stato prospettato al momento dell’entrata nell’EURO.

Purtroppo l’ITALIA, a questo punto e con la classe politica e dirigente che si ritrova, non ce la può fare più a competere all’interno di un sistema economico finanziario con regole tedesche. Insomma l’ITALIA dovrebbe pensare a come poter uscire dall’EURO con i minori danni possibili per sé e per gli altri, se vuole avere una ragionevole speranza di uscire dal lunghissimo tunnel in cui è entrata e riprendere, dopo un breve calvario, la strada della crescita. L’alternativa, nella situazione attuale, è quella che abbiamo iniziato a sperimentare, ovvero:

Declino inarrestabile del sistema produttivo manifatturiero italiano

Aumento della disoccupazione e crescita del paese da sognare per lungo tempo

Impoverimento continuo delle famiglie, della classe media e poi anche degli altri

Collasso del welfare attuale perché insostenibile

 

*Link all’originale: http://www.rischiocalcolato.it/2012/09/italia-ormai-e-chiaro-ha-perso-la-sua-competitivita-guest-post-da-leggere-assolutamente.html

 

 

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  • paolo manzelli

    . Di : PAOLO MANZELLI

    Il tipo di mondo in cui viviamo sembra essere caratterizzato da una situazione di caos sociale complessa causata da criteri di “competivita’ economica e finanziaria anziche di collaborazione e di sostenibilita sociale ,ambientale ed economica. (1)
    La crisi contemporanea pertanto degenera in una situazione di caos senza fine da cui non sembra possibile uscire da una continua minaccia di tipo ambientale sociale dove la crisi perenne sembra l’ unica soluzione di un futuro comune.
    La parola greca “krisis” indica il momento che separa una maniera di essere e di pensare da un’altra qualitativamente differente. Ippocrate individua la krisis come il momento cruciale in cui la lotta per la vita si decide e una malattia può evolvere verso la guarigione o verso la morte.
    Putroppo la «crisi» attuale ancora non trova alcuna strategia di cambiamento paradigmatico capace di superare i criteri di competivita’ economica e finanziaria che sono divenuti lo strumento primario per “cronicizzare” i gravi squilibri sociali che stanno conducendo al collasso il vecchio ed ormai obsoleto sistema di produzione industriale . (2)
    Resta evidente che la competizione spinta al parossismo a livello economico non corrisponde un miglioramento né quantitativo né qualitativo dello sviluppo contemporaneo.
    La speranza futura è che questo “caos della comptitivita’”, come in una reazione di trasformazione chimica si possa mutare nella più grande chance di sviluppo e di crescita alternativa.
    Nelle reazioni chimiche infatti la transizione dal caos ad un nuovo ordine molecolare, necessita della azione di un catalizzatore che genera e diffonde la informazione capace di ri-orientare il processo di degradazione e di disordine verso una diversa soluzione di equilibrio molecolare generalmente a minore dispendio di energia . (3)
    Se prendiamo la trasformazione chimica come modello, comprediamo come anziche’ tentare di ri-acquistare competitivita’ dello sviluppo industriale, dovremo concepire come la azione di degrado e quindi di perdita competivita’ possa essere catalizzata da una nuova dimensione della informazione sulle opportunita di cambiamento dello sviluppo, fondata sulla collaborazione aperta con sistemi internazionali nei quali si attuano sperimentazioni suscettibili di mettere in discussione l’attuale struttura dei consumi e/o della produzione e/o del ricorso ad alternative fonti di energia quali basi di rinnovamento dello sviluppo della economia circolare, le quali che sono la premessa di una innovazione sociale nella nuova dimensione dello sviluppo della “Living Economy”. (4)
    Il successo competitivo recentemente è stato sempre piu correlato alla innovazione ed al cambiamento tecnologico. Ma anche il ricorso alla innovazione tecnologica, ormai e’ al limite di divenire un addizionale problema che acuisce la crisi d’ impresa determinando uno stato di squilibrio tra Piccole e Medie Imprese (PMI), incapaci di seguire il ritmo e le performances della innovazione tecnologica e le grandi industrie nazionali e/o multinazionali.
    La competitivita’ estesa al settore della innovazione tecnologica pertanto sta rischiando di compromettere definitivamente anche le capacità di sopravvivenza del sistema aziendale della PMI che ha spesso una dimensione locale della produzione. Cio induce un impoverimento delle popolazioni ed alla mancanza di opportunita di lavoro, cosi che il sistema economico-commerciale tende a sviluppare ed incentivare la “economia del lusso” indirizzata a coloro che possono spendere ma che di conseguenza diventano sempre di meno.(5)
    In definitiva si tratta oggi di riconoscere che la competivita’ intesa come sistema finalizzato alla creazione di valore dell’impresa sta diventando un fattore di crisi d’azienda, cio’ , nella maggioranza di situazioni in cui l’impresa non riesce a raggiungere l’ obiettivo mantenere ed accrescere una continua innovazione tecnologica sostenibile solo ricorrendo ad alti valori aggiunti spendibili nella “economia del lusso”, mentre gran parte delle PMI sono costrette al fallimento.
    Il modello economico della “economia del lusso” che ha accentuato la disuguaglianza economica e sociale , è stato la causa recente di una progressiva instabilità strutturale della economia mondiale nel mentre la finanza internazionale trova consistenti guadagni sulla concorrenza tra il valore delle monete, esacerbando gli squilibri economici planetari che oggi generano pericolosi scenari di violenza e di guerra permanente, popolati da eserciti, di terroristi, in pressante attività di distruzione.(6)
    In conclusione il sistema competitivo fino ad oggi incontrastato causa di un conformismo politico e sociale in sostegno ad una concezione del progresso lineare dello sviluppo industriale , stupidamente considerato senza limiti, ha ormai trovato in se stesso il suo punto di rottura dimostrando che nel lungo termine il sistema competitivo non è piu’ socialmente sostenibile.
    L’esigenza di un’alternativa economica e sociale di innovazione culturale e scientifica è quindi entrata a pieno nell’agenda delle priorità di cambiamento. (7)
    Il caos economico e sociale e’ pertanto prodotto da un sistema che ormai accresce a dismisura squilibri economici e della produttivita’ dell’ impresa, generato dalla crisi strutturale del sistema competitivo dove la maggiorparte delle aziende non riescano piu’ a conseguire e mantenere la loro sostenbilita’ cosi che come conseguenza si delinea progressivamente ma irreversibilente la perdita della stessa legittimazione sociale dell’impresa in funzione della organizzazione sociale del lavoro. (8).
    Per rigenerare la crescita d’impresa e lo sviluppo economico e sociale contemporaneo è pertanto decisivo l’ individuare gli aspetti culturali del cambiamento resi necessari dalle sfide della crisi strutturale della nostra epoca. Cio’ in quanto per la comprensione e la riorganizzazione e l’ indirizzo delle dinamiche della crisi strutturale che stiamo vivendo non bastano piu’ le categorie concettuali della vecchia impostazione meccanica della scienza e neppure gli indirizzi derivati da una lettura tradizionale dello sviluppo economico.
    Pertanto i modelli di azione e di organizzazione del management risolutivi del caos , per una trasformazione della crisi in un ordine sociale nuovo (NEW SOCIAL KOSMOS ) vanno ripensati in profondità, al fine di re-inventare la strategie di impresa del futuro come collaborazione imprese ed istituzioni, pubbliche e private. (9)
    La natura delle sfide che viviamo ha una dimensione globale , richiede le risposte locali, che per essere efficaci devono tenere presente gli scenari collaborativi organizzati di ampi network multi-attoriali e trans-disciplinari che sappiano condividere soluzioni d’insieme come : la riduzione della emissione di CO2 causata prevalentemente dalla combustione di combustibili fossili, la capacita di sviluppare una economia circolare basata sul creare sostenibilita’ dello sviluppo azzerando il rilascio di rifiuti nell’ ambiente ed infine migliorare la coesione sociale e culturale, favorendo ed incentivando ogni forma di condivisione economica e sociale per migliorare ovunque la collaborazione finalizzata ad ottimizzare una nuova dimensione del benessere basata su la qualita della vita eco-ed equo-sostenibile.
    Infine EGOCREANET (ONG c/o Incuvbtore della Universita di Firenze) si propone di costruire una Alleanza sociale transdisciplinare e multi-attoriale per vitalizzare lo sviluppo cooperativo della vita locale in una collaborazione internazionale , capace nel suo insieme di auto-organizzarsi per superare la crisi economica, sociale e ambientale contemporanea. Cio diverra possibile creando una comunita in rete di imprese e gruppi di ricerca e movimenti dell’ arte moderna per dare sviluppo alla innovazione culturale socialmente responsabile che diventi la base del nuovo paradigma di sviluppo denominato LIVING ECONOMY. Tale visione di sviluppo futuro promossa da Egocreanet è fondata sullo stimolare ed animare la creativita’ collettiva in una dimensione mondiale di valorizzazione della diversita’ culturale, al fine di attivare una profonda transizione scientifica e culturale indirizzata verso la nuova prospettiva di LIVING ECONOMY orientata a delineare le strategie cognitive per un futuro sostenibile proprio in quanto privo di competitivita’ tra i popoli e rispettoso dell’ ambiente e della sua evoluzione naturale. (10)
    La Alleanza per lo sviluppo della LIVING ECONOMY ‘ un programma di “open social innovation “ in divenire, che potrà arricchirsi in futuro di altre idee e proposte creative da quanti vorranno aderire a questa formidabile alleanza con elevata coscienza nel realizzare UN NUOVO COSMO DELLA CREATIVITA’ ECOLOGICA ED UMANA . Paolo Manzelli – 14/08/2015 FIRENZE

    BIBLIO ON LINE :
    (1) – http://www.repubblica.it/ambiente/2015/08/13/news/oggi_e_l_overshoot_day_scatta_il_debito_ecologico-120857571/
    (2)- http://www.caosmanagement.it/182-l-imminente-rischio-di-collasso-della-societo-industriale
    (3)- http://www.psychomedia.it/pm/science/nonlin/manzelli.htm
    (4)- https://dabpensiero.wordpress.com/2015/08/12/strategie-di-cambiamento-culturale-e-scientifico-per-favorire-la-crescita-della-living-economy/
    (5)- http://vglobale.it/opinioni/10751-leconomia-del-lusso-e-ad-una-svolta.html
    (6)- “Il Caos Prossimo Venturo”: http://www.neripozza.it/collane_dett.php?id_coll=3&id_lib=388
    (7)- https://dabpensiero.wordpress.com/2015/05/17/economia-circolare-ed-innovazione-frugale-per-eliminare-gli-sprechi-di-cibo/
    (8)- http://www.econ.uniurb.it/materiale/8424_crisi%20aziendale.pdf
    (9) http://www.caosmanagement.it/n64/art64_02.html
    (10) – http://www.edscuola.it/archivio/lre/INTRODUZIONE_BIOVITALISMO.pdf; https://www.facebook.com/hariohmshantihi

  • Riccardo

    Nessuno si illuda che la Cina continuerà ad espandersi all’infinito. Chi è stato lì sa bene quante e quali siano le spinte centrifughe delle varie regioni rispetto al governo centrale. Se queste spinte centrifughe non hanno ancora prodotto l’esplosione della Nazione è perchè un governo fortemente statalista e Pechinocentrico ne ha fino ad oggi impedito la frantumazione. Ma non si creda che i cinesi, attratti dal miraggio della ricchezza possano continuare a sopportare una situazione del genere ancora a lungo. D’altro canto c’è anche da dire che il mondo non può più continuare a sviluppare ricchezza con la semplice formula lavora – produci – consuma. Nè si può pensare che le Nazioni ricche possano combattere la concorrenza cinese con la semplice innovazione. Ormai sono degli innovatori anche lì. Ed a prezzi molto più contenuti. E’ tempo di capire che occore un cambiamento radicale dei metodi di produzione e delle prospettive di sviluppo. In sostanza, serve un mondo più ‘umano’, dove il lavoro non sia una forma di schiavitù, volta a battere i concorrenti, ma un’opportunità per vivere meglio. Il crollo del sistema ‘Nazione’ è causato dal fatto che in un sistema economico globalizzato, è venuta a mancare la percezione del bene comune su scala appunto, nazionale. Quanto all’Italia, ma veramente qualcuno pensava che in una realtà socioeconomica come la nostra, dove l’imprenditore è da decenni considerato un evasore fiscale o addirittura un ‘nemico del popolo’ si poteva finire bene? Dove se vuoi aprire una semplice pizzeria devi subire le angherie di una burocrazia Kafkiana e sopportare un sistema fiscale basato sulle ‘indagini di settore’? Da cinquant’anni si è fatta la lotta alla ricchezza nel nome dell’equità sociale e della solidarietà predicando: “Povero è bello…”. Adesso che siamo tutti poveri o giù di lì, dovremmo essere contenti. O quantomeno dovrebbero essere contenti quelli che consideravano buono e bravo chi lo era e cattivo chi non lo era. Ognuno si sceglie da se il proprio destino.

  • Antonino Trunfio

    Sono con Domenico, e concordo con lui sul post di Gaolin. Non credo conosca da vicino l’industria e la produttività, nè conosca da vicino i suoi veri protagonisti : gli imprenditori italiani. Io li frequento da 27 anni, in giro per l’Italia tutta, e frequento industrie piccole, medie e grandi di questo paese disastrato che è l’Italia, dove si sono connessi a ventosa lo Statalismo-Assistenzialismo-Pianificazione Economica Centralizzata-Finanziamenti-Sussidi-Cassa Integrazione con la quota zero del livello di cultura industriale, economico e finanziario dell’imprenditoria italiana (l’esempio più recente sono le dichiarazioni di Marchionne a Monti di ieri sabato, 22 settembre). Il risultato di questo cancerogeno coagulo, è quello che abbiamo sotto gli occhi tutti: capannoni abbandonati, striscioni ingiallitidi “vendesi-affitasi” sui capannoni abbandonati, aree industriali storiche e non, dove alla meglio oggi ci sono centri commerciali e multisala. Tranquilli : non è ancora finita. Il peggio deve ancora arrivare. Per la cronaca, nel frattempo sono dovuto ritornare all’estero per lavorare. Proprio per quello che ho scritto sopra.

  • Domenico

    Non mi piace molto questo articolo.
    Fa leva sul fatto che l’Italia debba investire in sviluppo, accusa il vincolo di bilancio, dice che si deve uscire dall’euro e parla di sistema economico-finanziario con regole tedesche (un po’ come i peggiori complottisti da signoraggio sostenitori della moneta sovrana).
    L’Italia, intesa come Stato, non deve investire in nulla! Si deve solo preoccupare di pareggiare sto cavolo di bilancio e ridurre spesa pubblica e tassazione come mai nessun paese abbia mai fatto nella storia dell’umanità!
    Per uscire dalla crisi non si tratta di rilanciare i consumi, ma stimolare il RISPARMIO!
    Fare in modo che si inizi ad allocare le risorse sui beni capitali e non di consumo, si legga Huerta de Soto questo Gaolin.
    Per avere ciò non c’è bisogno di alcun investimento statale, è ciò che avviene in modo naturale in ogni economia libera, dove i contratti di lavoro sono derelolamentati (di modo che la manodopera si trasferisca facilmente dai centri commerciali alla produzione di beni capitali, più utili nelle crisi), dove fare aprire un’azienda è facile come spedire una lettera, dove la tassazione è onesta e dove la proprietà privata è rispettata.
    I soldi in un paese del genere arrivano da soli, arrivano dall’estero da parte di tanta gente pronta ad investirci.
    La proposta del blogger Libertyfighter sul sito di USEMLAB è un miliardo di volte più vicina alla soluzione di qualto lo sia questo articolo.
    Mi spiace ma non mi piace affatto quanto scritto. L’autore, questo Gaolin, secondo me ha molto da studiare, apprezzo di lui solo lo spirito e ne condivido la visione altamente negativa del futuro per il nostro paese. Ma la Cina avrà anche lei le proprie grane un domani.

  • massimoconleballepiene

    con buona pace di tutti i keynesiani

  • massimoconleballepiene

    non esistono pasti gratis, le cose te le devi guadagnare, punto e basta, chi ti insegna il contrario o è in malafede o è un incapace

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