“Bisogna ammettere che la spesa pubblica, in generale, non ha buona stampa… Della spesa pubblica abbiamo bisogno come del pane. Abbiamo bisogno di avere un’istruzione decente, abbiamo bisogno di cure mediche, abbiamo bisogno di buone strade, abbiamo bisogno di semafori e della polizia… Se guardiamo al totale della spesa pubblica, è vero: in Italia questa percentuale l’anno scorso sfiorava la metà del Pil, più che la media dei Paesi dell’euro. Nella situazione italiana, però, bisogna distinguere. C’è anche una spesa che serve per pagare gli interessi sul debito pubblico.” (F. Galimberti)
In una delle (presunte tali) lezioncine impartite alla domenica ai (presunti tali) giovani lettori del Sole 24 Ore, Fabrizio Galimberti si occupa di spesa pubblica, proprio nel momento in cui il governo ha presentato il decreto sulla spending review. Galimberti nota, mi pare con più di una punta di rammarico, che “la spesa pubblica, in generale, non ha buona stampa”. Il che, purtroppo, non è affatto vero. La presunta cattiva stampa consiste per lo più nella constatazione che nella spesa pubblica ci sono molti sprechi, ma sulla stampa mainstream a me non è mai capitato di leggere una critica della la spesa pubblica in quanto tale, perché una critica del genere presupporrebbe da parte di chi la fa di prendere posizione contro la presenza stessa dello Stato. E nessuno di coloro che trovano spazio nei principali mezzi di informazione italiani si spinge a ritenere auspicabile l’azzeramento delle funzioni statali (e delle amministrazioni pubbliche in generale).
La spending review gode quindi di un appoggio di massima da parte dell’informazione essenzialmente per due motivi: 1) per l’appoggio che viene dato al governo in carica; 2) perché finora non si sono ipotizzati tagli drastici alla spesa (gli unici che, a mio parere, potrebbero aiutare a sistemare il bilancio pubblico). Peraltro, perfino il presidente della Confindustria, qualche giorno fa, ha apertamente detto che si deve evitare la “macelleria sociale”. Va bene che era ospite della Cgil, ma per ora del macello non si vede neppure l’ombra (stiamo parlando di un taglio nella migliore delle ipotesi di circa 1.5 punti di Pil in tre anni). L’unica vera macelleria è quella praticata mediante la tassazione.
Galimberti sostiene che “della spesa pubblica abbiamo bisogno come del pane”, elencando poi una serie di servizi (istruzione, sanità, strade, polizia), e conclude che il vero problema dell’Italia è tutto ereditato dal passato, perché non avremmo una spesa pubblica elevata se non fosse per gli interessi sul debito accumulato e le pensioni che prima delle riforme iniziate circa vent’anni fa erano, volendo usare un eufemismo, eccessivamente generose.
Prima di entrare brevemente nel merito della spesa pubblica in generale, verrebbe da chiedere a Galimberti da dove vengono i problemi di debito pubblico e del sistema pensionistico (e di welfare in generale), se non da un eccesso di spesa pubblica ampiamente giustificata dai keynesiani quando si trattava di riconoscere pensioni a persone poco più che adolescenti e accumulare deficit annui per lo scopo dichiarato di sostenere la crescita economica coprendoli con l’emissione di titoli di Stato.
Venendo alle spese che, par di capire, secondo Galimberti devono essere sostenute dalla collettività, le giustificazioni sono sempre state un mix tra lo scientifico e il solidaristico. Dapprima si è tentato di sostenere che solo lo Stato ha le capacità o la volontà di fornire certi servizi, anche perché composto da persone dotate di migliori conoscenze rispetto ai privati. Con ciò si è ipotizzata una sorta di onniscienza che, però, non si è mai manifestata. Tuttavia, quando i conti hanno iniziato a non tornare, il pendolo si è sbilanciato decisamente a favore delle giustificazioni di tipo solidaristico, istituendo diritti in capo a ogni individuo che diventavano per i suoi simili delle più o meno consistenti compressioni dei diritti di proprietà.
Ogni volta che l’esercizio di un diritto da parte di Tizio comporta per Caio, Sempronio e tutti gli altri, di astenersi dal compiere un atto che determinerebbe l’inizio di una aggressione alla proprietà di Tizio, risulta chiaro che si tratta di un diritto che può effettivamente valere erga omnes.
Ma l’introduzione di diritti in capo a Tizio che comportino da parte di Caio, Sempronio o altri, il dovere di fare o dare qualcosa (tipicamente dare denaro, mediante imposizione fiscale), rende inevitabile che l’esercizio del diritto da parte di Tizio determini la violazione della proprietà di Caio, Sempronio o altri.
Ciò viene supportato da un mal concepito concetto di egualitarismo e giustificato dal fatto che l’istituzione di tali diritti avviene da parte di governi e parlamenti democraticamente eletti. Il che da un punto di vista etico a me pare insufficiente, perché se davvero deve esistere un principio di uguaglianza dei diritti individuali, allora tali diritti devono poter essere esercitati da tutti, senza che ciò comporti la compressione di uguali diritti altrui.
Ciò presuppone, però, il riconoscimento del fatto che gli uomini sono tutti diversi uno dall’altro, che l’unico diritto che hanno, nascendo, è il diritto alla proprietà di se stessi e dei beni che creano o acquisiscono mediante scambi volontari con altri esseri umani, e che compito della legge non è annullare o anche solo ridurre le tali differenze, bensì garantire il rispetto dei diritti di proprietà.
La solidarietà, quindi, non deve essere imposta dallo Stato, altrimenti si finisce per trattare le persone in modo diverso per tentare di renderle uguali. Né è inevitabile che debba essere lo Stato a esercitare in monopolio la funzione di tutela dei diritti di proprietà.
Istruzione, sanità, viabilità e sicurezza non sono servizi che se non li offrisse lo Stato non esisterebbero, né, credo, debba essere sposata a cuor leggero la tesi secondo la quale se non li offrisse lo Stato mediante la redistribuzione sarebbero inaccessibili ai più. Basta pensare a ciò che è successo nei settori in cui gli Stati hanno semplicemente smesso di esercitare un monopolio per legge, ad esempio la telefonia o i trasporti aerei.
Oggi un arretramento dello Stato non solo è auspicabile (almeno dal mio punto di vista), ma è perfino inevitabile, se si vuole tentare di sistemare i conti pubblici alleviando un carico fiscale sempre più opprimente.
L’Italia non ha bisogno di spesa pubblica come del pane, ha bisogno che le risorse non siano sottratte massicciamente a chi le produce a prescindere da come poi vengono spese dallo Stato. Altrimenti si rischia che a forza di sostenere che abbiamo bisogno di spesa pubblica come del pane, finirà per non essercene a sufficienza, di pane.
@ Lorenzo – “LO STATO HA STRETTO UN’ALLEANZA CON GLI IMPRENDITORI E CON IL POPOLO DELLE PARTITA IVA PER AIUTARLI AD EVADERE LE TASSE”.
Non capisco se c’è dell’ironia in una frase riportata o se è il pensiero è tutto tuo.
E’ di una tale assurdità che non posso crederci.
x antonio
quello ke dici non ha il minimo senso.
Tu non mantiene poveri morti di fame siciliani.
Ma io sono costretto da te a mantenere parassiti che non vogliono lavorare.
L’eserrcito a difesa dei confini è l’ultima cosa da togliere dello stato, sennò un altro stato ci conquista e stiamo da capo a dodici.
li avete COSTRETTI a fare i parassiti, quando 150 anni fa avete RUBATO le casse delle banche del sud e pure i macchinari delle fabbriche. e decimato la popolazione.
poi mi venite a parlare di “proprietà diritto naturale” e di “non aggressione”.
inoltre io li mantengo e tu no, che le tasse non solo non le paghi, ma l’iva che incassi dai clienti te la fotti pure.
senza gli F35 ci invadono? che paura! chi? MALTA???
bella la tabella sopra… i NUMERI sono tutto, i concetti senza numeri sono demagogia…
ad esempio la demagogia dei vostri “parassiti”.
gli sprechi devono essere eliminati, ma sarebbe da iniziare da dove sono maggiori.
ad esempio, gli F35 costano il QUADRUPLO dell’intera cifra della tabella sopra e i soldi vanno all’estero, e francamente farmi parassitare il quadruplo dalla lockheed per massacrare persone mi fa rodere il culo molto più che mantenere migliaia di morti di fame siciliani (150 anni fa parassitati da voi nordisti).
ma voi protestate mooooooooooooooooooolto di più contro i “parassiti” siciliani… forse perchè in fondo gli azionisti della lockheed sono della vostra stessa classe sociale…
Lorenzo, i dipendenti pubblici non versano tasse, sono solo e semplici percettori di tasse.
Mi permetto di far notare che dall’elenco mancano: Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia. Se avessero inserito anche queste regioni noteremmo che dove maggiori sono i trasferimenti maggiore è lo spreco.
Chiarisco che non sostengo assolutamente la versione di Tinti, figuriamoci.
Però da un lato c’è chi sostiene che la pressione fiscale sulle imprese è del 60-70% (e io per adesso credo a questa versione), dall’altra c’è Tinti che sostiene che il 97% è a carico di dipendenti e pensionati.
Possibile che la matematica sia un’opinione?
Certo che la matematica è un’opinione, specie se si è in cattiva fede.
Penso che Bruno Tinti abbia i paraocchi dell’ideologia.
Sarei curioso di avere le sue statistiche da magistrato, ma dubito che abbiano raggruppato i dati per professione degli imputati.
Ho come il sospetto che l’esimio abbia considerato ladri e rapinatori più degni rispetto a imprenditori e professionisti.
visto che piccoli e medi imprenditori, commercianti, esercenti, artigiani e agricoltori dichiarano mediamente 6000 di reddito annuale, tinti ha ragione. non capisco perchè ce l’avete con un fenomeno che non vi riguarda, ovvero le tasse.
IL 97% DELLE TASSE SONO PAGATE DAI LAVORATORI DIPENDENTI E DAI PENSIONATI.
LO STATO HA STRETTO UN’ALLEANZA CON GLI IMPRENDITORI E CON IL POPOLO DELLE PARTITA IVA PER AIUTARLI AD EVADERE LE TASSE. SONO DEI LADRI CHE VIVONO SULLE SPALLE DEI LAVORATORI DIPENDENTI (ANCHE PUBBLICI) E DEI PENSIONATI.
Fonte: Bruno Tinti in “La rivoluzione delle tasse”.
Galimberti ha bisogno come il pane della spesa pubblica.
Altrimenti resta senza lavoro. E senza pane.
Quando si dice che la spesa pubblica servirebbe,tra l’altro, a garantire la sicurezza dei cittadini grazie ai corpi di polizia,. mi viene da sganasciarmi dalle risate. Abbiamo sei o sette polizie, mettendo nel mazzo anche le cosiddette polizie locali, dal livello mentale generalmente subumano. Calcolando molto all’ingrosso(sarei contento se qualcuno mi contestasse il dato) abbiamo un agente di pubblica sicurezza ogni circa 200 persone. Togliamo i bambini, i vecchi decrepiti, gli incapaci, rimane un certo numero di persone fra cui la percentuale di delinquenti (intendo i delinquenti veri, quelli pericolosi, non i trasgressori generici, perché tutti, in un modo o nell’altro, trasgressori generici siamo, in presenza di leggi criminogene) è sicutramente una minoranza. Eppure, a dispetto di un denominatore così basso, la criminalità dilaga. Perché? Sarà un caso, ma i miei due alunni più ciucci, in quarant’anni di carriera scolastica, sono andati a fare il carabiniere. Attraverso quali criteri avviene il rerclutamento? Quando. molti anni fa, a Milano rubarono il portafoglio a mia moglie, non appena ce ne accorgemmo durante il viaggio di ritorno in provincia di Como, ci recammo imediatamente a denunciare il fatto alla più vicina caserma dei carabinieri. Era ormai mezzogiorno: Alla nostra richiesta ci sentimmo riospondere, da un agente piuttosto seccato, presentatosi con grembiule da cuoco:”Signori, a quest’ora i carabinieri mangiano!” Sì, ma i ladri rubano! E io dovrei pagare le tasse per mantenere questa gente?