La pubblicistica ufficiale racconta quanto segue:“Da uno studio dell’Università della Tuscia, emergerebbe che la lotta all’evasione fa bene all’Erario. Non solo per il recupero di tasse non pagate ma anche perché gli italiani dichiarano di più. E questo nonostante la crisi. Dal 2009 al 2010 i contribuenti, al netto dei lavoratori dipendenti, sono passati da 21,2 milioni a 20, oltre un milione in meno, ma l’ammontare di reddito è cresciuto da 331,9 mln a 338. Nel 2010 i contribuenti (non dipendenti) che dichiarano oltre 100.000 euro è lo 0,86% del totale (era 0,77% nel 2009). In questa fascia, senza considerare i lavoratori dipendenti, il numero dei contribuenti è passato da 585mila in media per i periodi di imposta 2007, 2008 e 2009 agli oltre 608mila nel 2010. All’opposto si registra un calo del numero dei contribuenti che si collocano nella fascia più bassa (0-10.000 euro), passando da 9,5 milioni del 2009 a 8,2 del 2010”.
Una notizia Ansa, battuta il 19 maggio, ci mette al corrente di un’altra cosa: “Crolla il numero degli imprenditori, cresce il reddito dei contribuenti. Un calo ininterrotto quello di chi fa impresa, una categoria che negli ultimi sette anni, secondo l’Istat, si è praticamente dimezzata. Fra gli occupati con più di 15 anni, con profilo professionale che si distingue dal lavoratore in proprio, il numero di imprenditori, dal 2004 al 2011 è crollato del 42,4%. I gestori e organizzatori d’impresa che prevalentemente non partecipano al processo produttivo sono passati quindi da 402 mila a 232 mila unità. Un calo ininterrotto che ha quasi dimezzato questa categoria”. Qualche giorno fa, abbiamo pubblicato la notizia che riguardava 400 imprenditori veneti che si sono incontrati col vice-governatore carinziano, pronto a far ponti d’oro alle nostre aziende.
La “Fondazione Studi Tributari”, recensendo il libro dello storico-giurista Charles Adams, sostiene questo:
“Ripercorrendo passo passo la storia universale, Adams sostiene che il ruolo dell’imposizione fiscale non sia mai stato riconosciuto con adeguata attenzione dagli storici e che la vessazione delle tasse e il contrasto dei contribuenti all’imperio del tassatore siano l’origine della gran parte dei conflitti sociali. I tributi comportano sempre un malcontento sociale, sia quando si pagano sia quando vengono richieste. Incide sul consenso sociale del vertice politico, che anche nei regimi tirannici cerca di sfruttare i finanziamenti “patrimoniali” prima di passare ai tributi. È suggestiva l’idea che il contrasto tra contribuenti e tassatori abbia diviso Israele alla morte di re Salomone, causato il declino dell’impero romano, sia all’origine dei conflitti più importanti della storia”.
A proposito di tasse, uno studioso americano, Tibor Machan, ha ammonito: “Sì, magari ci possono anche essere dei momenti in cui la richiesta di più soldi, da conferirsi al governo, sia giustificabile, ma nel complesso, guardatevi bene alle spalle, perché lo Stato, a nulla rilevando i motivi – pretenderà e vi arrafferà sempre più soldi, in qualsiasi momento, a prescindere se di pace o di guerra, nei periodi di benessere come nella crisi, di notte e di giorno”.
Sul sito “Argentofisico.blogspot.it” c’è una lezioncina di storia – che nei programmi ministeriali non è contemplata – che recita così: “Zusmius, uno scrittore della fine del quinto secolo scherzava dicendo che “il risultato dell’esazione delle tasse erano città e campagne piene di gente che si lamentava e piangeva, e tutti… speravano nell’aiuto dei barbari”. Al punto che molti contadini dell’impero arrivarono a combattere insieme ai barbari invasori (o liberatori?) e non solo i contadini ma anche, per esempio, i minatori dei balcani che fecero una secessione per aggregarsi in massa ai visigoti nel 378. Altra gente semplicemente se ne andò dall’impero verso le regioni più a nord. Nel suo libro “Decadent Societies” lo storico Robert Adams scrisse: “Per il quinto secolo la gente era pronta ad abbandonare la civilizzazione stessa pur di scappare dal terribile carico di tasse che l’Impero imponeva”.
Scriveva Frederick Douglas: “Educare una persona significa renderla inadatta ad essere uno schiavo”.Signor Mario Monti la invito prendere atto di quel sta accadendo. Veda di evitare lamenti e inni all’unità degli italiani – insieme al suo sodale, l’imperatore Giorgio Napolitano – quando per le strade i “nuovi barbari” vessati dalle sue gabelle, dalla burocrazia infame e dai corifei dello statalismo piagnone verranno a cercarla per farle passare cinque minuti di paura. Perchè succederà…
*Link all’originale: http://www.lindipendenza.com/tasse-imprenditori-fuga/
Un grazie di cuore a Giuseppe…….per quanto ha scritto e……per la precisazione geografica…..io sono del Centro
del nostro paese e sono orgogliosamente libertario come Lei.
Un saluto affettuoso a Tutti
Carlo Maggi
Penso che Riccardo abbia toccato il punto cruciale della questione; vorrei aggiungere qualche mia considerazione
Consideriamo una situazione tipo. Un neo-diplomato di scuola secondaria superiore deve decidere cosa fare nella vita. Può scegliere di andare all’ Università per inseguire le sue legittime ambizioni; se non gli va più di studiare può iniziare a imparare una professione, magari in linea con il suo titolo di studio: parrucchiere, tecnico informatico, cuoco, etc.
In alternativa può scegliere l’ impiego statale: si presenta a uno o più concorsi, dopo essersi fatto raccomandare (altrimenti è inutile presentarsi) e con un po’ di fortuna da quel momento può vivere da parassita a spese della collettività. Questo discorso l’ho fatto a un mio amico statale, con cui naturalmente ho litigato. Lui mi ha detto che potevo fare anch’ io la stessa sua scelta, al che ho risposto che non mi interessava per due motivi: Primo, perche volevo andare all’ Università (infatti mi sono laureato e ho preso anche il Dottorato di Ricerca). Secondo, perché non sono un parassita. Il mio “amico” mi ha chiesto allora cos’ è che non mi stava bene, visto che avevo seguito la mia strada; la mia risposta è stata che non mi stava bene il fatto che lo Stato, per garantire lo stipendio fisso a lui, doveva togliere i soldi a me.
Il tipo di cui parlo “lavora”, in Polizia Penitenziaria, e per sua stessa ammissione è un lavoro che odia, e quindi non può svolgerlo bene. Inoltre, usufruendo delle molte licenze studio e di vario altro tipo che l’ amministrazione statale offre ai suoi protetti (impensabili nel privato) e studiando per sé durante le ore di servizio è riuscito a laurearsi a spese della collettività (mentre io ho dovuto fare sacrifici per andare all’ Università). Non solo, ma ha anche ottenuto tre anni di aspettativa pagata per fare un Dottorato di Ricerca, uno di quei Dottorati per cui l’ Università non offre nessuna borsa di studio, quindi nessuno vuol fare, a meno che, come nel suo caso, non continui nel frattempo a percepire lo stipendio dal Ministero di Grazia. Quindi lo Stato in questi anni ha pagato questo tipo perché si facesse i suoi affari privati.
Questo è solo un esempio fra tantissimi casi che conosco personalmente, e che naturalmente conoscete anche voi.
Alla luce di tutto questo il Presidente Napolitano e il premier Monti, nella loro penosa retorica, dicono che bisogna evitare i conflitti sociali: io dico invece che bisogna allargare questa frattura sociale fra i privati, che lavorano (quando il lavoro lo trovano) e rischiano, e questi statali parassiti di merda. E’ assolutamente necessario un conflitto sociale, combattuto non con le armi ma con la denuncia; questi parassiti vanno isolati come lebbrosi.
Bisogna spingere con tutte le forze perché questa vergogna del posto fisso cessi di esistere. Altrimenti spero che l’ Italia precipiti come la Grecia, pur di avere la soddisfazione di vedere licenziati i dipendenti statali parassiti.
P.S. Sono uno del Sud, perchè non si pensi che i libertari ci siano solo al Nord e che al Sud siamo tutti statalisti.
Va da se che l’aumento del gettito fiscale non implica necessariamente una crescita dell’economia e quindi del PIL. Come spiegato in maniera usaustiva sul testo citato di Adams, ad una maggior imposizione fiscale corrisponde nel 99% dei casi, un decremento dell’attività produttiva e quindi alla lunga un depauperamento della ricchezza della Nazione. I soldi rubati al cittadino vengono utilizzati per mantenere attività assolutamente improduttive. Senza contare il lato ‘etico’ della faccenda. I guadagni del privato sono frutto dell’ingegno, della costanza, della fatica e del rischio. Lo Stato non può permettersi di rapinare chi ha rischiato in proprio per mantenere una pletora di nullafacenti a stipendio garantito.