Di recente sul sito del Movimento Libertario è apparso un articolo di Marcello Gardani che afferma che poiché “le leggi sono fatte dallo stato”, che è gestito dai parassiti, allora non si possono “usare le leggi per distruggere i parassiti” e quindi “è giocoforza pensare alla rivoluzione” nel senso di “lotta armata contro lo Stato”. Gardani arriva a ipotizzare perfino l’omicidio e anzi l’omicidio sistematizzato (una strategia che si basi non sul “colpire il cuore dello Stato” ma nel “colpire i piedi dello Stato … uccidendo la base che supporta lo Stato”).
Rothbard scriveva: “Queste sono due questioni totalmente separate: la questione di quale sia il nostro obiettivo ideale, e quella della strategia e della tattica per arrivare al nostro obiettivo partendo dal sistema attuale”. Della prima questione (quale sia il nostro obiettivo ideale) nell’articolo di Gardani si vedono alcune immagini vaghe e frammentate ma quella questione sostanzialmente viene lasciata nel buio (per esempio non si capisce se egli sia a favore di uno Stato minimo – e nel caso di quale tipo – o se invece come Rothbard sia a favore dell’assenza di Stato – e nel caso perché). La seconda questione, invece, è molto chiara e precisa ma la strategia che viene proposta è non solo o non tanto fallimentare quanto non è quello che dice di essere. Gardani presenta questa strategia come un modo per conseguire una “rivoluzione” quando invece essa è un modo (forse il migliore) per mantenere le cose come stanno se non peggio, per ricominciare daccapo a fare gli stessi errori che hanno portato allo Stato criminale che abbiamo oggi.
E’ vero che ci vuole una rivoluzione, ma una rivoluzione di pensiero, non una rivoluzione armata. Occorre cambiare la nostra idea che la legge sia il provvedimento particolare espressione della volontà di chi detiene il potere politico e riconoscere invece (non solo leggendo i libri di Hayek e Leoni, ma anche guardandoci dentro e facendoci domande che siamo stati indottrinati a non farci) che invece la legge è quel principio generale e astratto che, esattamente come le regole della lingua italiana, è emerso spontaneamente e gradualmente attraverso un processo millenario di selezione culturale di usi e convenzioni di successo. Occorre abbandonare l’idea contemporanea che la legge sia uno strumento di potere e ritornare invece all’idea originaria che vedeva la legge come un limite al potere. Occorre passare dall’idea che il compito del legislatore è “fare” le leggi (per cui uno Scilipoti, un Bersani o un Grillo qualsiasi vanno bene) a quella che il suo compito è quello di difenderle e custodirle e che tutto ciò che deve essere “fatto” (e cioè deciso, anche collettivamente mediante processi democratici) non è legge e deve stare sotto la legge. Occorre passare dall’idea che il parlamento o il ‘popolo’ è sovrano all’idea che ad essere sovrana è la Legge e cioè capire che “possiamo avere o un parlamento libero o un popolo libero, non tutti e due insieme” (Friedrich A. von Hayek). Occorre passare dall’idea che la democrazia consista nella regola della maggioranza rappresentativa all’idea che essa consista nell’applicazione minima possibile di questa regola e comunque nella netta distinzione e separazione fra leggi (principi generali) e misure (provvedimenti particolari): se la maggioranza decide a favore del saccheggio di alcune minoranze, ciò non basta per rendere il saccheggio legittimo. Occorre passare dall’idea che la democrazia sia un obiettivo a quella che sia un mezzo, uno dei tanti (il più costoso ma forse, almeno per certi versi, anche il meno rischioso: l’obiettivo è quello della difesa della sovranità della legge intesa come principio, indipendente quindi dalla volontà della maggioranza, e di conseguenza della libertà).
In sintesi occorre passare dall’idea che sia la legge a orbitare attorno all’autorità legislativa (che sia l’autorità a produrre la legge) all’idea che sia l’autorità legislativa a orbitare attorno alla legge (che sia la legge a produrre l’autorità, “non nel senso che l’autorità legislativa viene costituita in base alla legge ma nel senso che essa richiede obbedienza perché (e fino a quando) applica una legge che si presume esista indipendentemente da essa” – Friedrich A. von Hayek).
Una rivoluzone armata cambierebbe tipo di Stato totalitario ma non cambierebbe il fatto che lo Stato è totalitario (si veda il passaggio dal Fascismo all’Italia repubblicana, ad esempio). La rivoluzione armata è facile (è una questione di organizzazione) ma oltre a violare gli stessi principi nel nome dei quali essa viene fatta, non sfiora minimamente la madre di tutti i problemi: l’idea di legge, il sistema di riferimento (non si può andare più a ritroso di così nella ricerca dell’origine dei miliardi di problemi morali e concreti che ci assillano oggi: dalla crisi economica a quella dell’euro, dalla casta alla corruzione eccetera).
Per quanto l’idea di legge intesa come principio generale e astratto sia dentro ciascuno di noi, essa è seppellita talmente in fondo (anche grazie alla gabbia culturale nella quale lo Stato totalitario riesce a tenere i suoi sudditi, a spese loro tra l’altro) che oggi non siamo in grado di riconoscerla e diamo per scontato che la legge possa essere “fatta”, che il processo che sta alla base della sua formazione sia analogo a quello che ha prodotto la decisione di un consiglio di amministrazione invece che analogo a quello che ha prodotto le regole della lingua italiana. Essendo stati spesso aiutati (anche e soprattutto dallo Stato stesso, chissà perché) a non mettere in discussione l’idea di legge e a non perderci in “chiacchiere filosofiche” noi adesso diamo per scontata una particolare idea filosofica di legge, quella in base alla quale lo stato moderno può compiere i suoi crimini, quella secondo la quale è la legge a orbitare attorno alla volontà di chi detiene il potere e non viceversa.
Se per assurdo oggi potessimo cominciare daccapo, con l’idea di legge che diamo per scontata noi ritorneremmo necessariamente al punto in cui siamo oggi.
Se si vuole la libertà, colpire lo Stato ai piedi è una strategia sbagliata tanto quanto lo sarebbe (lo è stata) il colpirlo al cuore. Il punto è che lo Stato non va ‘colpito’, va ‘contaminato’, nel senso che occorre che chi può aiuti le persone a disseppellire l’idea originaria di legge che esse hanno seppellita dentro di loro (chi ci prova sarà accusato di ogni cosa, e sarà solo, ma alla fine forse in alcuni casi un seme, anzi un batterio, riesce a passare). Deliri filosofeggianti di un’anima bella? No. Le rivoluzioni di pensiero sono avvenute così: “le rivoluzioni di pensiero che danno forma all’essenza di un’epoca storica non sono diffuse mediante libri di testo – esse si diffondono come epidemie, mediante contaminazione da parte di agenti invisibili e innocenti portatori-sani, attraverso le più diverse forme di contatto, o semplicemente respirando la stessa aria” (Arthur Koestler – faccio notare che queste parole furono scritte quando non c’era Internet).
La rivoluzione di pensiero (il passaggio dall’idea di legge che diamo per scontata oggi all’idea di legge come principio astratto) nel tempo ci mette sulla strada della libertà, la rivoluzione armata ci toglie anche la speranza di poter un giorno iniziare quel cammino.
“Non può essere ripetuto più spesso: niente è più fertile di cose meravigliose che l’arte di essere liberi, ma niente è più difficile dell’imparare l’arte della libertà. La stessa cosa non vale per il dispotismo. Il dispotismo spesso si presenta come il riparatore di tutti i mali sofferti, il supporto dei principi di giustizia, il difensore degli oppressi, e il fondatore dell’ordine. Le persone sono fatte addormentare dalla temporanea prosperità che il dispotismo produce, e quando si svegliano sono a pezzi. Ma la libertà generalmente nasce col tempo tempestoso, crescendo con difficoltà in mezzo alle discordie civili, e solo quando è già vecchia uno riesce a vedere i benefici che ha prodotto” (Alexis de Tocqueville).
La libertà ha i suoi tempi, possiamo lavorare per accorciarli oppure per allungarli. La strategia che propone Gardani è un modo per allungarli.
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Accordo su quanto scrive lo stimatissimo Giovanni Birindelli. Ma le idee restano e le cartelle di Nequitaglia volano.
Quindi che si fa nel frattempo ? Il sistema del consenso basato sulle elezioni e la maggioranza (!!!!) è stato appositamente costruito e continuamente viene rafforzato per sottrarsi alle spinte centrifughe e a qualsiasi cambiamento per vie ideali. Un dato per tutti :
su base nazionale l’area dell’astensione alle ultime amministrative è passata dal 26,26 % al 33,13% (cioè +,6,87 % che equivale a un aumento di circa 1/4 di punto, altro che Grillo) . Punte nella rossa Toscana del + 9,78 % in cui l’astensione è passata dal 29,42 al 39,20,alla rossissima Emilia Romagna passata dal 24,52 %al 35,52 % (+ 10,9 %) !!!! passando per la Lombardia passata dal 27,48 % al 36,38 % (+ 8,9 %).
Quindi, le maggioranze finte che si formeranno saranno basate su circa il 65 % degli aventi diritto. Cioè per fare un sindaco basta avere il 32,5 % del consenso degli effettvamente aventi diritto, ti dicono che tu rappresenti tutti !!
Birindelli, come rispondiamo alla questione ?
“Withholding of payment of taxes is one of the quickest methods of overthrowing a government.” – Mahatma Gandhi
(cosi se ci beccano possiamo dichiararci prigionieri politici) ;-)
temo che per beccarci ci mettono un istante e ci possiamo poi dichiarare solo prigionieri.
Caro Trunfio (mi permetto di darti del tu perché in uno scambio email precedente ci siamo dati del tu spontaneamente), grazie per il tuo commento e per la tua domanda. In questo articolo non volevo affatto dire che la strategia si deve ridurre alle idee, ma che si deve basare sulle idee, e più precisamente sull’idea di legge, sul sistema di riferimento. Non è una sottigliezza: le idee possono essere l’elemento fondamentale di strategie complesse ed estremamente pratiche. Detta in altro modo, io vedo la strategia come una struttura a strati: se dobbiamo attraversare l’oceano per andare in America la scelta strategica del primo ordine è quella se usare la barca, l’aereo o il sottomarino; se scegliamo di andarci in barca, la scelta strategica del secondo ordine è che tipo di barca usare; una volta scelta quale barca usare, la scelta strategica del terzo ordine è come costruirla nel modo più efficace; e così via. A monte di tutto questo c’è l’obiettivo: la destinazione. In questo articolo io mi sono limitato a criticare la scelta strategica del primo ordine di andarci con l’aereo (la violenza) e a sottolineare il fatto che la destinazione non era chiara.
Tu giustamente mi dici: “concordo che l’aereo (la violenza) è la scelta strategica del primo ordine sbagliata. Ma, visto che il sottomarino (il voto alle elezioni) è una scelta strategica del primo ordine inaffidabile in quanto le elezioni politiche sono la farsa mediante la quale a una esigua minoranza viene dato il potere di governare e di decidere su tutto, che si fa?”. Ti risponderò in un articolo che scriverò e proporrò la settimana prossima in cui illustrerò le linee essenziali di una mia proposta strategica. Ti anticipo però che questa proposta strategica si basa sulle idee: non nel senso che si riduce alle idee ma nel senso che il primo strato (il mezzo con cui raggiungere l’altra parte) sono le idee. Su questo primo strato si poggiano secondi e terzi strati estremamente pratici e concreti che non hanno nulla a che vedere con le idee ma che hanno la funzione di servirle, di formare insieme ad esse una strategia coerente nei mezzi e negli obiettivi.
Prima di chiudere due rapide osservazioni. Prima osservazione: i metodi di Equitalia sono criminali nel senso che violano principi di giustizia che sono ritenuti tali perfino da chi la sguinzaglia (il governo o la maggioranza che lo sostiene infatti non permetterebbero mai che un creditore privato potesse ricorrere agli stessi metodi). Tuttavia, proprio per questo, il problema non è Equitalia: il problema è il fatto che di fronte a un’agenzia governativa che viola principi generali e astratti (la Legge) non c’è nessuno a cui appellarsi in quanto non c’è nessuno che difende la Legge. In un sistema come quello attuale, in cui la ‘legge’ è considerata la decisione dell’autorità (la stessa autorità che sguinzaglia Equitalia) e quindi in cui non c’è distinzione fra Legge e misure, il potere politico (quello che arma Equitalia) non è limitato dal potere legislativo (quello che dovrebbe difendere la Legge e quindi i principi generali e astratti che nessuno, men che meno un’agenzia governativa, deve poter violare) e quindi il cittadino è lasciato solo: non può appellarsi a nessuno. Ecco, partendo dalla distinzione fra Leggi e misure (e cioè dalle idee) noi possiamo costruire una strategia pratica (applicabile a partire da ora, cioè dalle prossime elezioni) perché il cittadino abbia qualcuno a cui appellarsi; una strategia pratica per non umiliare, isolare o disperdere quel capitale immenso che è l’essere perbene delle persone, come viene fatto oggi dallo Stato criminale, ma per valorizzarlo e aggregarlo, e per creare l’inizio di un circolo virtuoso che forse un giorno potrebbe avere risultati sorprendenti.
Seconda osservazione: l’astensionismo io non lo vedo come un problema, ma come una cosa positiva e anzi come una risorsa. Il sistema è totalitario e il fatto che molte persone non ci partecipino è positivo: vuol dire che c’è speranza che una strategia basata sull’idea originaria di Legge possa trovare il consenso necessario. Il problema non è che una minoranza decide per tutti, in quanto la Legge intesa come principio è indipendente dalle decisioni di chicchessia tanto quanto lo sono le regole della lingua italiana (si torna sempre all’idea di legge): se a rubare è una minoranza o una maggioranza è indifferente sul piano di principio (sempre furto rimane); e anzi laddove a rubare è una maggioranza la minoranza è in una situazione psicologica peggiore in quanto ha meno speranze che un giorno la Legge verrà rispettata e si sente maggiormente isolata. Il problema è che le decisioni collettive si estendono anche alla legge e che non sono limitate dalla Legge. E’ qui che secondo me dobbiamo lavorare. Un caro saluto e grazie ancora, Giovanni
PS. Equitalia non è il problema anche nel senso che le tasse che riscuote sono impposte a monte: il problema è che il potere di chi le impone non è limitato dalla Legge e quindi è illimitato. Limitiamo quel potere e vedrai che la musica di Equitalia cambia, non solo nei metodi ma anche nei contenuti.
Ciao Giovanni e grazie per i chiarimenti, condivisi come sai. Anche io credo l’astensionismo sia il vero terrore dei partiti e il miglior seme di speranza per la libertà. Usando un esempio aeronautico, spero che noi si decida una strategia operativa, che a differenza dell’aereo (forse pensavi a un caccia bombardiere) paragonato da te alla violenza, possa essere uno shuttle che senza mezzi bellicosi, ma in poco tempo possa conseguire l’obiettivo. Il tempo è scaduto Giovanni, e qualunque strategia se non sarà veloce come un lampo, sarà inutile, perchè sarà anticipata dalla violenza vera e senza precedenti di qualcuno e di qualcosa, che in Italia da già i primi veri segni di una guerra civile. I politici non aspettano altro che la violenza per giustificare il rafforzamento del loro potere e l’adozione delle solite misure anti di qui, e anti di là. A presto (nel frattempo ho comprato e sto leggendo i libri che mi avevi proposto). Antonino
I sostenitori della libertà devono rivendicare a gran voce che esistono dei diritti naturali intangibili e pre -politici, che nessun Leviatano redistributore può arrogarsi di conculcare o di svilire, in nome di quei feticci che lo stesso, di volta in volta, pretestuosamente individua per legittimare la sua azione predatoria: che si chiamino “utilità sociale”, “giustizia redistributiva”, “interesse collettivo” o “bene comune”. Proprio perché la preservazione di questi diritti, innati e congeniti, riflette non solo il rispetto per la sacralità e l’irripetibilità del concetto di esistenza individuale, ma ridefinisce altresì i naturali ambiti di pertinenza di ciò che un filosofo, David Kelley, ha icasticamente definito come “prospettiva imprenditoriale sulla vita”: ovverossia, il “senso di proprietà di se stessi, la convinzione che la vita di ciascuno è sua, e non qualcosa di cui deve rispondere a qualche potere superiore”.
La lotta contro il Moloch statale, le sue pretese assurde, i suoi scriteriati progetti, i suoi voleri smodati e disfunzionali – che si concretizzano in una spesa pubblica dissennata, fuori controllo e folle e che riscontrano nell’inefficienza e nello spreco la propria ragione di esistenza e di crescita, generando consequenzialmente una pressione fiscale sempre più insostenibile – deve essere combattuta in nome e per conto di principi sacri ed inviolabili.
Vi deve essere la ferma e consapevole condanna che lo Stato, con il suo intervento sistemico e sistematico, sta innanzitutto varcando dei limiti che non possono naturalmente competergli, in quanto e per quanto ciò atrofizza la nostra prospettiva imprenditoriale della vita, e svilisce, per dirla con l’economista Huerta de Soto, la “capacità creativa che… permette [ad ogni essere umano] di apprezzare e scoprire le opportunità di “guadagno” che sorgono intorno a lui… [e] serve proprio per creare e scoprire nuovi fini e nuovi mezzi”.
Lo Stato Leviatano che decide quali fini siano degni di essere perseguiti e, di rimando, che monopolizza i mezzi necessari a raggiungere quei fini, determina in primis l’annientamento di quella che Rothbard definiva un’esistenza piena e pienamente umana. “Ogni uomo” affermava il filosofo americano “deve avere la libertà, deve avere la possibilità di formare, mettere alla prova, ed esperire le proprie scelte, affinché possa concretizzarsi lo sviluppo delle proprie inclinazioni e della propria personalità. In breve, egli deve essere libero per potersi realizzare e potersi definire pienamente umano”.
Opporsi allo Stato Leviatano, rivendicando argomenti di natura etica, significa allora prendere consapevolezza che ogni suo intervento è prima di tutto immorale, in quanto tende ad aggredire la nostra più ampia libertà di scelta, e a dismettere risorse, capacità ed energie che, declinandosi come specifiche manifestazioni dei diritti di libertà e di proprietà, avremmo potuto impiegare in ben altre strategie cooperative: nel creare, produrre, comprare, vendere, scambiare, scartare beni e servizi senza vincoli di sorta e come meglio ci avrebbe aggradato e soddisfatto, in termini di profitto materiale e psicologico, nel rispetto delle libertà individuali e in accordo alle reciproche esigibilità.
Prendendo a prestito le parole di Gianfranco Miglio,”… l’investitura politica, con il passare del tempo, è diventata soprattutto, e primariamente, ‘mandato a tassare’: cioè licenza che i cittadini (inconsapevoli) accordano ai governanti di manipolare i loro redditi, e dunque una ricchezza ‘privata’, la quale, se accumulata nel rispetto della legge, dovrebbe essere invece intangibile. È evidente infatti che su quanto una persona guadagna – vivendo in mezzo ai suoi concittadini, scambiando le sue prestazioni con loro e osservando le regole giuridiche del ‘mercato’- né i concittadini stessi né i detentori del potere possono vantare alcuna pretesa, fondata sul diritto naturale”.
Bell’articolo davvero, una boccata d’aria fresca dopo tanti deliri. L’unica Legge è dentro di noi, è la Legge morale, quella che fonda il principio di non aggressione e il dirittio di proprietà sulla persona e sui beni legittimamente(non legalmente!) acquisiti. Nessuno, all’infuori del legittimo proprietario, può disporre di questi beni, neppure per i più nobili scopi umanitari, perché la beneficenza può nascere solo da un atto spontaneo di amore, non di coercizione. E quanto alla rivoluzione violenta, nulla mi sembra più lontano dai principi autrenticamente libertari. Se vogliamo usare gli stessi mezzi(nella maggior parte dei casi rivelatisi fallimentari) dei nostri avversari ci screditiamo e andiamo incontro a un sicuro insuccesso. Qualcuno mi accuserà di irenismo cristiano. Per me è un titolo d’onore:sì, cristiano senza Chiese,mi sta benissimo. Cristo ha sostituito il formalismo legalitario degli scribi e dei farisei con la legfge dell’amore…
Ben detto!!
Condivido pienamente. La vera rivoluzione di massa va fatta con le idee, i pensieri, le proposte… non con la violenza, quella alimenta solo altra violenza e basta. E sarebbe inutile… fatica sprecata. Se io devo istruire le menti ignoranti e bacate dei sinistri, sindacati associazioni lavorative, parassiti, centristi, destristi ecc ecc…. non è che se li picchio, gli uccido allora cambiano idea… no gli parlo una volta sola e gli spiego perchè hanno torto. Se poi non capiscono caxxi loro, ma senza usare violenza. Se no poi gli stessi personaggi usano ciò come scusa per dire che non abbiamo nulla da dire se non usare violenza… come già succede tra l’altro. E poi si sa no?? Morto un papa se ne fa un’altro, quelli poi diventano martiri ed eroi. Invece per noi non lo sono giusto?? Sono esseri immondi e viscidi, bene e come tali dobbiamo trattarli, si ma a parole e pensieri però, non a violenza. Insomma la forza e la rivoluzione del pensiero, sono importanti in una società, una qualsiasi società moderna e liberale che si rispetti. Saluti.