E’ da tempo in atto un dibattito nell’ambito del Tea-party di David Mazzerelli e Giacomo Zucco, in cui mi sono trovato coinvolto in prima persona, sulla natura del rapporto tra tale movimento ed i partiti rappresentati in Parlamento, con una particolare attenzione per il Pdl, il quale sembra rappresentare una sorta di interlocutore privilegiato per questo giovane movimento che si batte per meno Stato e meno tasse.
Proprio partecipando, per la prima volta, ad un evento nella mia regione, l’Umbria, ho cominciato a rendermi conto di una certa contiguità con il partito di Alfano e Berlusconi, di cui non si riescono a scorgere distintamente né i confini né il grado di autonomia del Tea-party rispetto al Pdl, che a mio avviso dovrebbe essere totale. In quel frangente, a Bettona per la cronaca, rimasi molto colpito nel trovarmi di fronte ad alcuni esponenti del Pdl, tra cui il parlamentare Lehner, che blateravano tesi giustificazioniste circa l’operato del loro fallimentare governo, sostenendo per sopramercato teorie inflazionistiche – della serie stampiamo euro ad libitum – per uscire dalla crisi. Ebbene, mi aspettavo che a questi “ospiti” pidiellini, tutti rigorosamente con il distintivo Tea-party in mostra, gli esponenti del movimento presenti, Mazzerelli in testa, rispondessero a tono, distinguendosi anche sul piano dei contenuti liberali rispetto a chi, pur avendo promesso una rivoluzione, ha governato ancor peggio dei tanto paventati comunisti. Invece nulla, a parte qualche sparata demagogica – tipo, facciamo lo sciopero fiscale – espressa dal coordinatore regionale Fressoia. Ma in quell’occasione è mancata, cosa che cercai immediatamente di far rilevare ai membri del Tea-party, una chiara e netta differenziazione politica nei confronti del Pdl. In poche parole, un osservatore neutrale che si fosse avvicinato in quel momento, avrebbe fatto fatica a comprendere la natura del rapporto tra questi due soggetti, col rischio di accreditare ai primi il ruolo di subalterni del cosiddetto Popolo delle libertà.
D’altro canto, come ho appreso in seguito, i due soggetti sono interessanti da una certa, per così dire, osmosi politica e organizzativa, caratterizzata essenzialmente dalla presenza di parecchi dirigenti e militanti che svolgono un doppio ruolo. Tant’è che proprio su una indentica questione si è aperta un’ulteriore e molto acceso dibattito sulla rete. In sostanza, si è appreso che la Coordinatrice del Tea-party dell’Emilia Romagna è anche in corsa per il Pdl alla poltrona di sindaco a Parma. Il problema, a mio avviso inevitabile, è che questa signora, pur dichiarando fedeltà ai pricipi ultra-liberali del Tea-party, ha impostato la sua campagna elettorale, con tanto di messaggi virtuali assolutamente inequivocaboli, su una piattaforma tipica di chi, per acchiappare consensi, promette mari e monti. Il classico “Votantonio, Vontantonio”, molto poco liberale sul piano politico, ma ritenuto da molti assai efficace per farsi eleggere. E ciò, non dipende dalla qualità della persona coinvolta, bensì dalla natura contraddittoria del citato doppio ruolo che crea quasi automaticamente questa insanabile ambiguità. Infatti, appare molto difficile portare avanti una battaglia culturale finalizzata ad una sostanziale riduzione del perimetro pubblico e, contemporaneamente, partecipare in modo diretto all’attività di qualunque partito ampiamente rappresentato a tutti i livelli istituzionale e, per questo, da sempre coinvolto nel meccanismo strutturale di una democrazia che si basa su un crescente deficit-spendig.
Da questo punto di vista non ci possono essere mezze misure: o si sta fuori, pur dialogando con tutti senza pregiudiziali, o si sta dentro. A mio avviso, recitare due parti in commedia o tenere un piede in due staffe non porta a nulla di concreto, offrendo all’esterno una immagine di ambiguità e di commistione che alla lunga porterebbe il Tea-party in un vicolo cieco. Soprattutto in considerazione dell’ampio discredito che sta accompagnando il Pdl, testimoniato dalla caduta libera nei sondaggi, risulta molto rischioso procedere a braccetto con quest’ultimo, anziché cercare una salutare differenziazione, pur nell’ambito di qualche forma di intesa politico-programmatica sul campo. Intesa politico-programmatica che, tuttavia, non dovrebbe mai essere stabilita a priori, magari basandosi su una presunta identità di valori che la prassi governativa del Pdl continua ancor oggi a smentire a tutti i livelli. Essa invece dovrebbe invece scaturire da una serie di autonome iniziative del Tea- party che chiamino a raccolta chiunque, senza alcuna preclusione. Ma la trasversalità che questo movimento sostiene di voler perseguire in modo prioritario non può funzionare se un buon numero dei suoi dirigenti si trovano ad avere un doppio incarico. Forse ciò potrebbe essere dovuto ad una malintesa ricerca di visibilità, ritenuta più rapida ed efficace imbarcando qualche soggetto appartenente all’era partitica, magari di accertata fede liberale. Ma questa forma di entrismo non ha mai funzionato. In realtà si finisce troppo spesso, ahimè, per rimetterci nello scambio con la politica di professione; poiché la tentazione di utilizzare la massa critica di un qualunque movimento per crearsi spazio all’interno del proprio partito è una tecnica vecchia come il cucco e non saranno certamente impegni e giuramenti a scongiurarla.
Per questo motivo, da vecchio osservatore, continuo a consigliare ai miei amici del Tea-party di rimarcare in modo netto e chiaro le differenze tra loro e il Pdl, soprattutto sul piano organizzativo interno, onde evitare sul nascere ogni ambiguità. L’intera area liberale di questo disgraziato Paese ne guadagnerebbe.
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Ovviamente, questo sito è aperto alle risposte che i responsabili dei Tea-party vorranno dare alla interessante riflessione di Claudio Romiti
C’è chi questo distacco l’ha fatto da tempo e ha fondato, proprio per i motivi esposti nell’articolo, il gruppo Fcbk TEA PARTY FEDERAZIONE LIBERISTA, questo:
http://www.facebook.com/profile.php?id=100003383524564&ref=tn_tnmn#!/groups/104254476309818/
autenticamente indipendente e antiregime.
Di fatto, i tea party in Italia sono quindi due, piaccia o non piaccia ai signori del Tea Party Italia.
Bisogna seguire l’esempio di Dante esule, abbandonare la “compagnia malvagia e scempia” e far parte per sé stessi.Meglio quatro gatti con la coscienza pulita che uno stuolo di pecore compromesse fino al collo.