“La via dell’Europa non è quella di stampare moneta con la Bce ma è quella di fare gli Eurobond.” (G. Tremonti)
Da quando non è più ministro dell’Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti esterna con una frequenza molto minore il proprio pensiero. Proprio per questo le sue dichiarazioni attraggono la mia attenzione molto più di qualche mese fa.
Come spesso gli è capitato in questi anni, a partire da quando escogitò la Robin Hood tax, Tremonti se la prende con le banche che invece di fare credito a famiglie e imprese “fanno la bisca”. Sul famoso credit crunch di cui tanto si parla credo sia bene fare chiarezza. Il calo del credito è un fenomeno manifestatosi da dicembre 2011, quando l’Italia era già in crisi da almeno tre anni e non si tratta solo di un calo dell’offerta, bensì anche di un calo della domanda. Fino ad allora la crescita del credito era molto superiore a quella del Pil nominale e più alta rispetto a quanto avveniva in sistemi bancari di Paesi europei messi meno peggio dell’Italia.
Indubbiamente le critiche alle banche in merito a come fanno credito non sono prive di fondamento, ma non di rado in questi anni a lamentarsi sono state o imprese sostanzialmente insolventi, a cui fare credito avrebbe significato perdere denaro (e il denaro delle banche non è mai proprio, se non in minima parte); oppure imprenditori che chiedevano altro credito, ma non erano disposti a investire un solo euro dei propri, pur avendone parecchi a disposizione. Come dire: i miei soldi io li investo altrove (magari depositandoli nelle stesse banche a tassi di interesse superiori a quelli ai quali sarei disposto a prenderli a prestito), ma le banche devono prestarmeli.
Questo, lo ripeto, senza voler difendere tutte le banche, ma solo per puntualizzare che la verità non è solo quella spacciata sul nuovo dorso “Impresa & Territori” del Sole 24 Ore, che, come il suo editore, a parole esalta le Pmi, ma solo a parole.
Tornando a Tremonti, credo sia del tutto condivisibile l’idea che stampando moneta non si risolvano i problemi, ma non penso che “la via dell’Europa” sia “quella di fare gli Eurobond”. Anche perché gli Eurobond dovrebbero comunque essere sottoscritti da qualcuno, e siccome non farebbero altro che sostituire debito con altro debito in un sistema già ingolfato di debiti, alla fine il denaro verrebbe sempre dalla stessa fonte: la stampante della Bce.
Quella stessa stampante il cui uso (giustamente) Tremonti stigmatizza.
Quelle di Tremonti sono barzellette involontarie. Vi ricordate il suo elogio di Rathenau? Le sue proposte mercantilistiche e priotezionistiche? Le sue invocazioni di QUOTAS (sic!)contro l’invasione (sic!)delle merci cinesi? L’ultima trovata, comunicata al pubblico tramite lettera comparsa in gran risalto sul “Corriere”, è il suggerimento di trasmettere, su un canale RAI, solo film in lingua inglese sottotitolati in italiano, per insegnare a noi poveri ignorantoni la lingua di Albione. Bravo! Ci offre una ragione in più per cambiar canale e non pagare il canone. Se gli italiani non sanno l’inglese vuol dire che la scuola è bacata:riformiamola! Ma un bel film americano io me lo voglio godere nella lingua di Dante. E’ risaputo che i doppiatori italiani sono i migliori del mondo. Vogliamo perdere anche questa eccellenza? So che i cinefili fondamentalisti mi daranno torto. Ma vi sembra logico che a scuola oggi si pretenda di “tradurre” Boccaccio nell’italiano dei nostri tempi, perchè quello del Trecento risulta troppo difficile alle nuove generazioni,, e poi ci si costringa a far penitenza quando vogliamo rilassarci a casa nostra? Da quando si canta Wagner in tedesco nei nostri teatri sono spariti i nostri cantanti wagneriani, un tempo illustri e apprezzati (lo stesso Wagner era d’accordo che i testi delle sue opere fossero tradotti in versione ritmica). Vogliamo che capiti uno sfacelo del genere anche nell mondo del cinema, con la sparizione dei doppiatori? E’ economicamente conveniente? Ma vai a nasconderti, Tremonti!
gli Eurobons sono solo un gioco di specchi, come tutta la EU
una somma di debolezza fanno una grande debolezza, non una forza