Con il presente intervento intendo difendere l’opinione che le norme giuridiche possano essere considerate beni di consumo in concorrenza sul mercato, soggette alle scelte dei consumatori sulla base delle loro preferenze.
Del resto, già oggi, come notarono alcuni sociologi del diritto del passato (si pensi a Toennies), pur in regime di monopolio normativo statuale, le persone non utilizzano tutte le norme giuridiche vigenti, ma solo quelle con cui hanno a che fare in ragione della loro collocazione economica e sociale. Per cui un imprenditore industriale utilizzerà determinate norme, un agricoltore altre, e così via.
In questa sede vorrei però allargare il discorso e generalizzarlo, in modo da poter dire che, in un regime che non sia di monopolio normativo e della forza, le norme divengono beni soggetti alla legge della domanda e offerta come qualunque altro bene.
Le norme, del resto, non sono che enunciati linguistici, sia pure supportate da apparati organizzatori volti alla loro implementazione, sicché non è poi così strano sostenere che ognuno possa scegliersi gli enunciati linguistici che preferisce, nonché affidarsi ad apparati di implementazione a loro volta preferiti.
Alla nostra opinione potrebbe opporsi che le norme sono beni indivisibili, comuni, di tal che sarebbe preclusa nei loro confronti una scelta individuale, potendosi ipotizzare solo scelte collettive. Ma si tratta di un fraintendimento.
Consideriamo infatti che, a ben vedere, non solo le opere cosiddette pubbliche o collettive, ma anche i beni individuali affidati agli scambi privati, costituiscono beni “collettivi”, se non altro collettivi a due, ossia tra gli scambisti. Qualunque bene, del resto, nasce per essere diffuso tra il pubblico, e a ogni offerta corrisponde una domanda, che rende il bene indivisibile tra le parti.
Sosteneva Bruno Leoni che un ordinamento giuridico funziona come un mercato, che premia le pretese normali e penalizza quelle speciali, ossia quelle non premiate dal mercato stesso (furti, rapine, omicidi, etc.).
A nostro modo di vedere, la posizione di Leoni può essere radicalizzata con l’affermazione che non solo l’ordinamento giuridico funziona come un mercato, ma è il mercato tutto a costituire l’ordinamento giuridico, dato che a ogni scambio di beni corrisponde il ricorso a un istituto giuridico, in genere a un contratto, per cui il mercato è interamente giuridificato.
Ne deriva che le norme sono i beni di consumo di questo mercato giuridico, per cui qualunque ricorso a una norma giuridica consiste in una proposta rivolta ad altri a utilizzare lo stesso istituto, raggiungendo il punto di incontro culmine nello scambio.
Ma c’è di più. Molte nostre azioni non sono subordinate al consenso degli altri, se non tacito, nel senso che noi, in molti campi, agiamo liberamente e non ci aspettiamo che altri intervenga per impedircelo (sarebbe una pretesa speciale, direbbe Leoni). Quindi agiamo e utilizziamo, mentre agiamo, una qualche norma che ci autorizza all’azione, norma permissiva, scritta o non scritta che sia, che noi utilizziamo sulla base della nostra preferenza, senza dover rendere conto a nessuno.
Ora, se tutto ciò avviene in regime statuale di monopolio normativo, a fortori varrebbe in un contesto libertario, nel quale ognuno potesse acquistare “diritto”, e non solo protezione, da agenzie in concorrenza, le quali offrissero sul mercato il proprio panel di norme giuridiche, da confrontarsi con quello degli altri, nella prospettiva di raggiungere, in caso di contrasto, il consenso a un meta-livello superiore, che garantisca l’accordo tra i diversi sistemi giuridici in concorrenza.
Va da sé, poi, che tali contrasti saranno ridotti al minimo se i sistemi giuridici proposti dalle diverse agenzie saranno il più possibile informati a principi comuni di carattere liberale, nel senso di esaltare i momenti permissivi rispetto a quelli di proibizione. Ma proibire condotte agli altri, oltre a essere poco intelligente, è anche attività inutilmente costosa, sicché possiamo concludere con una nota di ottimismo, e cioè che il mercato premierà i sistemi giuridici liberali a discapito di quelli proibizionistici e autoritari.
Molto interessante questo articolo (e lo dico da giurista nutrito al petto della “matrigna” del positivismo giuridico); per ulteriori riferimenti, per chi fosse interessato, suggerisco, oltre a Leoni, Gustave de Molinari, The Production of Security e un bellissimo volume collettaneo chiamato “Anarchy and the Law”. Senza citare, perché è ovvio, l’immortale Rothbard (L’etica della libertà, For a New Liberty – Libertarian Manifesto). La sicurezza e la produzione di sistemi normativi potrebbero essere un servizio fornito dal libero mercato e non hanno alcun bisogno della mano inefficiente dello Stato. I milioni di cause pendenti in Italia sono la prova più eloquente del misero fallimento della produzione pubblica delle norme e della sicurezza.
IL MOTIVO E’ SEMPRE LO STESSO.IL LAVORATORE PRIVATO DEVE MANTENERE LO STATALE,ESSI D EVONO CONTINUAMENTE INVENTARE LEGGI PER INCASSARE SOLDI,QUINDI DEVONO ESSERE AUTOREVOLI NEL FAR PAGARE LA GENTE. SONO INTOCCABILI,E INGIUDICABILI,QUASI SACRI come le vacche Indiane,DICIAMO SEMPLICEMENTE CHE NOI LAVORATORI PRIVATI DOBBIAMO MANTENERE GLI STATALI.CHI NON PAGA VERRA’PUNITO!!!
Molto bello e molto ìnteressante. Articoli di questa fatta contribuiscono ad affinare il pensiero libertario mirando soprattutto alla “pars costruens”. Tutti dovremmo impegnarci a dare il nostro contributo con la mente e col cuore, senza dar troppo peso agli sberleffi dei nostri avversari, ed accettando invece le critiche di tutti coloro che vogliono partecipare urbanamente a dibattito, pur da posizioni diverse dalle nostre.
Ti ringrazio per le belle parole