DI ENZO TRENTIN
I coloni americani, che avevano appena portato a termine la loro rivoluzione contro una monarchia che li opprimeva, non avevano alcuna intenzione di sostituirla con un altro regime centralizzato e senza controlli. A quest’ultimo proposito possiamo osservare come nel caso italiano la Costituzione del 1948 non fu mai approvata dal popolo. Documento legale quindi, ma illegittimo.
Chi sostiene che il popolo italiano votò per l’Assemblea Costituente approvando contestualmente la Costituzione (non ancora stilata) è in errore. La cosiddetta ‘Costituente’ era un’assemblea REDIGENTE, non DELIBERANTE. L’approvazione, che avrebbe reso legittimo il documento ‘originario’, l’avrebbe dovuta dare il popolo in fase successiva.
Ciò non è stato, mentre – per esempio – con un referendum concluso il 28/06/2010 (il 90,7% ha sostenuto il cambiamento della costituzione e circa l’8% ha votato contro.) il Kirghizistan ha adottato una nuova costituzione che dà al parlamento più poteri e riduce quello del presidente. Il presidente del Kenya, Mwai Kibaki, ha promulgato a Nairobi la nuova Costituzione approvata con referendum il 4 agosto 2010.
Da questi e altri precedenti dobbiamo dedurre che la sovranità del popolo in Italia non esiste. Che chi (come i partiti politici che dominano il parlamento) pretende di esercitare la democrazia è in errore, quando addirittura non sia in malafede. Che il federalismo professato da tali soggetti politici è stato travisato, e che è necessario arrivare al più presto alla contrattazione di un nuovo foedus per i popoli che abitano la penisola italica.
James Madison (nel Federalist) propose che, invece della sovranità assoluta che gli Articoli della Confederazione avevano garantito ad ogni Stato degli USA, gli Stati mantenessero una “sovranità residua” in tutte quelle aree che non erano di interesse nazionale. Lo stesso processo di ratifica della Costituzione, secondo Madison, era il simbolo del concetto di federalismo piuttosto che di quello di nazionalismo. Egli disse: «L’assenso e la ratifica devono essere dati dal popolo, inteso come individui che compongono un’intera nazione…».
I sostenitori del federalismo affermano che esso è politicamente valido in virtù delle sue caratteristiche composite, vale a dire perché fonda comunità composte da entità che conservano le rispettive integrità e che quindi operano per preservare le libertà dei loro cittadini. Per di più, favorendo una diffusione costituzionale del potere, il federalismo rende possibile che «l’ambizione contrasti l’ambizione» per il bene del corpo politico e impedisce il consolidamento dell’ambizione di alcuni a detrimento della comunità intera. In breve, il federalismo è strutturato in modo tale da prevenire la tirannia senza impedire la possibilità di governare. In questo senso esso cerca di fornire un rimedio politico a mali politici. La posizione che si assume nel giudicare questo rimedio rispecchia l’idea che si ha circa l’importanza della libertà.
In effetti, il significato profondo della soluzione federale americana fu quello di escogitare un modo di eludere il problema della sovranità esclusiva degli Stati; in altre parole, di fornire una alternativa moderna per l’organizzazione della comunità politica su una base più democratica di quella dello Stato giacobino. Invece di accettare le concezioni europee del XVI secolo dello Stato sovrano, gli americani considerarono che la sovranità appartenesse al popolo. Le varie unità di governo – federali, statali o locali – potevano esercitare solo poteri delegati.
Nel nostro continente, invece, l’Unione Europea abbraccia circa 500 milioni di persone. Dei 27 Stati membri, circa un terzo sono federali o fanno uso di elementi federali nei loro sistemi politici interni. Aggiungendo la popolazione degli altri Stati del globo si scopre che più del 75% della popolazione mondiale ha esperienza di una qualche forma di accordo federale. Tuttavia l’UE non è ancora un’organizzazione federale o confederale, e meno che mai vi è esercitata la sovranità popolare.
Con il Trattato di Lisbona [http://europa.eu/lisbon_treaty/full_text/index_it.htm], l’intera UE, è stata architettata in modo da essere incomprensibile e letteralmente illeggibile dagli esseri umani ordinari, inclusi i nostri politici. In totale si sta parlando di 329 pagine di diversi e disconnessi emendamenti apportati a 17 concordati e che vanno inseriti nel posto giusto all’interno di 2800 pagine di leggi europee.
Questo labirinto non è accidentale. Come spiega il parlamentare europeo danese Jens-Peter Bonde: «i primi ministri erano pienamente consapevoli che il Trattato non sarebbe mai stato approvato se fosse stato letto, capito e sottoposto a referendum. La loro intenzione era di farlo approvare senza sporcarsi le mani con i loro elettori.» Il nostro Giuliano Amato ribadì il concetto appieno, in una dichiarazione rilasciata durante un discorso al Centro per la Riforma Europea a Londra il 12 luglio del 2007: «Fu deciso che il documento fosse illeggibile, poiché così non sarebbe stato costituzionale (evitando in tal modo i referendum, Nda)… Fosse invece stato comprensibile, vi sarebbero state ragioni per sottoporlo a referendum, perché avrebbe significato che c’era qualcosa di nuovo (rispetto alla Costituzione bocciata nel 2005, Nda).» (fonte: www.EuObserver.com). Il sigillo a questo tradimento dei principi democratici fu messo dallo stesso Valéry Giscard D’Estaing in una dichiarazione del 27 ottobre 2007, raccolta dalla stampa europea: «Il Trattato è uguale alla Costituzione bocciata. Solo il formato è differente, per evitare i referendum.» I capi di Stato erano concordi questa volta: no al parere degli elettori, no ai referendum.
Nel modello costituzionale rispettoso della “sovranità” popolare il referendum è la regola, l’inammissibilità costituisce l’eccezione. Tutto l’opposto di quanto accade nell’UE, mentre nelle grandi democrazie contemporanee, l’appello al popolo costituisce un dato fisiologico, una normale cadenza della vita politica.
Il 2 novembre 2004, 120 milioni di statunitensi hanno rieletto Bush come loro presidente; ma nello stesso giorno hanno anche votato 163 proposte referendarie in 34 Stati. E fra i temi sul tappeto campeggiava la libertà di ricerca sugli embrioni, approvata a larga maggioranza dagli elettori della California; né più né meno di quanto hanno poi deciso il 28 novembre 2004 gli elettori svizzeri, licenziando con il 66,4% dei voti favorevoli un referendum del medesimo tenore.
Da ciò deriva che i limiti al referendum sanciti dall’art. 75 della Costituzione italiana: le leggi tributarie, quelle di amnistia, il rispetto dei trattati internazionali, come alcune bocciature della Corte Costituzionale, non sono riscontrabili altrove, e per una serie di ragioni andrebbero rivisti.
Più in generale, dal tessuto costituzionale delle democrazie più evolute si ricava un favore verso il referendum, come strumento di democrazia diretta a valenza antagonista e di controllo rispetto alle decisioni della maggioranza di governo. Per questo gli elettori hanno titolo a decidere come e più dei loro rappresentanti in Parlamento. Ma, come dicevamo, nel documento europeo NON vi è traccia della parola… REFERENDUM!
Ciò che è caratteristico, invece, di tutte le forme federali è che tratta di comunità politiche composite invece che unitarie: due o più corpi politici vengono uniti in modo tale da conservare le rispettive integrità anche mentre formano una terza comunità politica per alcuni fini. L’arte di comporre comunità politiche è quella tipica del federalismo, e lo studio di comunità composite non è semplicemente un legittimo campo d’indagine della scienza politica, ma sta assumendo importanza crescente. Almeno dall’epoca del Federalist l’idea della repubblica composita è stata legata alla nuova scienza della politica, alla quale ha dato la prima espressione pratica.
Una delle caratteristiche del federalismo è data dalla sua aspirazione e dal suo fine, che sono quelli di generare e preservare simultaneamente sia l’unità che la diversità. Questa ambiguità si rispecchia proprio nella confusione sull’uso del termine. La gente usa i termini «federalismo», «federalista» e «federalizzare» per descrivere sia il processo di unificazione politica che la conservazione della diffusione del potere politico. Più di una discussione sul federalismo si è arenata perché le parti equivocavano il senso nel quale il termine veniva usato.
Le divisioni territoriali di potere possono essere usate anche per proteggere minoranze e comunità minoritarie, concedendo loro maggiore autonomia entro le proprie giurisdizioni politiche. La Jugoslavia costituiva un esempio di convivenza di nazionalità diverse resa possibile dall’uso del federalismo. L’India ha usato strumenti federali per soddisfare le aspirazioni delle minoranze linguistiche. La Nigeria ha diviso i suoi tre Stati originari in ben diciannove, per dare a ciascun importante gruppo tribale un centro di potere, impedendo allo stesso tempo che uno di essi raggiungesse una posizione dominante, e ha usato la suddivisione in governi locali all’interno degli Stati per salvaguardare le tribù più piccole. Il Canada, la Svizzera, la Cecoslovacchia offrono, o hanno offerto, in passato, altri esempi di questo tipo, ciascuno alla sua maniera. Altri casi significativi si possono trovare sul piano locale in ciascuna comunità politica federale.
La capitale di ciascuno di essi fu fatta diventare un punto focale per lo sviluppo regionale, in modo che, invece di concentrare le risorse della nazione nella capitale, come è stato fin troppo spesso il caso nei paesi che si trovano in questa situazione, il governo federale è impegnato a diffondere quelle risorse tra più centri. L’esperienza nigeriana mette in evidenza uno dei reali benefici del federalismo nei paesi in via di sviluppo, vale a dire la maggiore possibilità, almeno potenziale, di diffondere lo sviluppo al di là della regione della capitale, evitando così il classico fenomeno di confinare il cosiddetto sviluppo nazionale a una sola metropoli, spesso a scapito del resto del paese.
I veri sistemi federali manifestano il proprio attaccamento al federalismo secondo modalità culturali, oltreché costituzionali e strutturali. Insomma, l’idea che la società sia costituita da una serie di patti e contratti correlati tra loro, che permettono alle parti di unirsi per fini comuni pur conservando le rispettive integrità, è profondamente impressa nelle culture nazionali dei sistemi autenticamente federali. Sotto questo profilo il federalismo implica un atteggiamento e un modo di comportarsi nelle relazioni sociali, oltre che politiche, che porta a interazioni umane fondate sulla cooperazione negoziata, sulla condivisione tra le parti e sul coordinamento, piuttosto che sulla relazione gerarchica tra superiore e subordinato. La Svizzera è un classico esempio di comunità politica federale fino al midollo, giacché la sua popolazione «pensa in modo federale», quasi si trattasse di una seconda natura.
I principi e gli assetti federali sono diventati tanto diffusi proprio perché si attagliano al sentire moderno. Essendo accordi sostanzialmente pattizi, essi si adattano a una civiltà governata da relazioni contrattuali; siccome incoraggiano negoziato e trattativa, sono eminentemente adatti a una cultura volta a massimizzare la libertà individuale e l’uguaglianza tra le parti contraenti.
Sotto questo aspetto, il federalismo è analogo ad altri grandi concetti come «democrazia», che ha molte zone d’ombra e una varietà di applicazioni altrettanto ampia. Infatti, quello che è caratteristico di un grande principio politico è sia la semplicità essenziale nella sua formulazione di base che la ricchezza del tessuto intrecciato su quella semplice trama.
Il federalismo si propone di ottenere un qualche grado di integrazione politica basata sulla combinazione di autogoverno e di partecipazione al governo. Sebbene la sua forma possa essere utilizzata in altre circostanze, essa è appropriata solo quando e dove si cerchi realmente di realizzare questo tipo di integrazione politica. L’integrazione politica su base federale richiede un particolare insieme di relazioni, a partire dalla relazione tra le due facce della politica, il potere e la giustizia. Da una parte, la politica affronta l’organizzazione del potere, ovvero, per usare le parole di Howard Laswell, di «chi ottiene che cosa, quando e come». La politica, tuttavia, si occupa simultaneamente del perseguimento della giustizia, cioè dell’edificazione e del mantenimento della «buona comunità», comunque essa sia definita. Tutta la vita politica non è altro che un’interazione di questi due aspetti: l’organizzazione e la distribuzione del potere sono informate a un concetto particolare di giustizia, mentre la ricerca della giustizia è plasmata (e limitata) dalla realtà del potere.
Di solito si ritiene che il nocciolo minimo di federalismo sia quello relativo alla distribuzione e alla condivisione del potere. Ma anche in questa forma limitata esiste l’implicito impegno a una concezione di giustizia che sostiene, tra le altre cose, che la distribuzione del potere è necessaria e desiderabile. D’altro canto, il federalismo nel senso più ampio, viene presentato come una forma di giustizia che accentua la libertà e la partecipazione dei cittadini al governo, ma che è inevitabilmente collegata alla realtà politica, perché deve sempre affrontare il problema della distribuzione del potere. Uno degli attributi primari del federalismo è che esso non può, per sua stessa natura, trascurare la particolare importanza che va attribuita al potere o alla giustizia, ma deve considerare entrambe le cose in relazione l’una all’altra, obbligando così la popolazione a comprendere la dura realtà della vita politica senza mai perdere di vista la propria aspirazione a una società giusta.
Non è sbagliato ritenere che uno dei propositi del federalismo è proprio la realizzazione di questo collegamento del reale con l’ideale, ovvero dei dettagli prosaici di chi fa cosa e ottiene cosa, nella pratica di ogni giorno, con le aspirazioni messianiche alla giustizia. Questa impresa, che potremmo considerare la dimensione pedagogica del federalismo, consiste nel richiedere all’uomo di tenere sempre in mente, nelle proprie relazioni, sia il messianico che il prosaico, senza mai permettere che la ricerca dello stato ideale lo conduca a ignorare le dure realtà della politica, e senza permettere mai che l’attenzione al pragmatismo gli fornisca una scusa per ignorare le considerazioni di giustizia. L’enfasi del federalismo su struttura e processo, sulla necessità di organizzare costituzionalmente l’esercizio del potere e quindi di non venir meno ai requisiti costituzionali, fornisce sia al governante che ai governati nelle comunità politiche federali un dibattito permanente sull’arte del governo, nel quale tutti devono continuamente porsi le domande: È possibile? È giusto? È buono? Strumenti tanto diversi come i giudizi della Corte Suprema federale americana e il processo referendario svizzero rappresentano continui fori per discutere la filosofia e la pratica di governo, con considerazioni sul «possibile», sul «giusto» e sul «buono» che muovono dai diversi punti di vista presenti in ciascuna società civile. In breve, fornendo una continua serie di problemi costituzionali che richiedono l’attenzione da parte del pubblico, il federalismo genera un referendum permanente sui principi ultimi. I vantaggi di questo seminario di educazione civica non possono essere trascurati e gli assetti istituzionali federali potrebbero essere giustificati anche solo da questa ragione.
Considerando quindi i due aspetti della politica, il federalismo porta al centro dell’attenzione il tema della distribuzione del potere. Il Federalist pone la questione in questo modo: «In una singola repubblica tutto il potere ceduto dal popolo viene sottoposto all’amministrazione di un solo governo; la tutela contro le usurpazioni avviene mediante una divisione del governo in settori distinti e separati. Nella repubblica composita d’America, il potere ceduto dal popolo viene in primo luogo diviso tra due governi distinti, dopodiché la porzione assegnata a ciascuno di essi viene ancora separata tra dipartimenti distinti. Da ciò nasce una doppia sicurezza per i diritti del popolo. I diversi governi si controlleranno a vicenda e allo stesso tempo ciascuno di essi sarà controllato da se stesso.»
Il federalismo cerca di prendere la gente per quella che è – «spine e tutto il resto», per usare la felice espressione di Abraham Lincoln – muovendo dal presupposto che l’umanità abbia sia la capacità di reggersi da sé, di autogovernarsi, sia le debolezze che rendono potenzialmente pericoloso ogni esercizio del potere. Quindi il primo compito del federalismo è quello di contemperare queste due potenti forze, creando istituzioni e processi che rendano possibile al popolo esercitare al massimo grado e perfino di accrescere la propria capacità di autogoverno. Allo stesso tempo, il federalismo si sforza di prevenire gli abusi del potere causati da deficienze intrinseche nella natura umana e, dovunque sia possibile, tenta di volgere le caratteristiche negative della natura umana verso fini positivi.
Sebbene esistano teorie federali che presuppongono la bontà o l’illimitata perfettibilità della natura umana, tutti i sistemi federali riusciti muovono dal riconoscimento della duplice inclinazione dell’uomo verso il bene e verso il male, e hanno operato per porvi rimedio. Il loro successo come sistemi politici è attribuibile in non piccola misura a questa visione realistica sia dei limiti che delle potenzialità dell’uomo, considerato come animale politico. Quindi è dall’esperienza dei sistemi federali che si deve trarre un’adeguata comprensione dei fini del federalismo. Anche coloro che vedono nel federalismo la possibilità di ricostruire tutte le relazioni umane sulla base di assetti pattizi piuttosto che gerarchici devono considerare come obiettivo principale del federalismo quello di adattarsi al carattere dinamico e ambivalente degli uomini.
Il federalismo si differenzia dal pluralismo semplice perché fonda il suo tentativo di occuparsi della realtà della natura umana su di una solida struttura costituzionale e non lascia un compito tanto vitale al caso, cioè alla possibile esistenza di fenomeni culturali o sociali che, nell’ambiente giusto, si manifestino come pluralismo politico. L’obiezione che si può muovere su basi federaliste al pluralismo politico è che, qualunque forma esso assuma, in concreto potrà forse essere una salvaguardia per la libertà, ma non ci si può basare sul semplice pluralismo, a meno che non sia sostenuto da istituzioni adeguate dal punto di vista costituzionale.
Prendiamo, ad esempio, la confederazione e la federazione. Le federazioni sono comunità composte sia da comunità politiche che da individui e salvaguardano le libertà di entrambi. La federazione americana si è dimostrata più attenta alle libertà degli individui che a quelle delle società costitutive, cosa che si è fatta ancora più evidente al succedersi delle generazioni. Le confederazioni, d’altro canto, sono principalmente comunità di comunità politiche, fondate sulla libertà delle unità di cui sono costituite. La protezione della libertà individuale è invece compito delle società che compongono la confederazione; il grado di tutela sarà dipendente dal modo in cui queste libertà vengono definite. Le società che costituiscono le confederazioni devono continuamente conformarsi alle norme minime di libertà individuale per conservare il carattere repubblicano.
Così John Adams diede corpo alle sue opinioni nella Costituzione del Massachusetts, che fu ratificata dal popolo di quello stato nel 1780 per restarne la legge fondamentale fino ai giorni nostri: «Il fine dell’istituzione, del mantenimento e dell’amministrazione del governo è quello di assicurare l’esistenza del corpo politico, di proteggerlo e di fornire agli individui che lo compongono il potere di godere dei propri diritti naturali e dei doni della vita nella sicurezza e nella tranquillità. E quando questi grandi obiettivi non siano conseguiti, il popolo ha diritto di alterare il governo e di prendere le misure necessarie alla propria sicurezza, prosperità e felicità. Il corpo politico è formato dall’associazione volontaria di individui. È un patto sociale, per mezzo del quale l’intero popolo si accorda con ciascun cittadino e ciascun cittadino con l’intero popolo, secondo il quale tutto dev’essere governato da alcune leggi per il bene comune. È dovere del popolo, pertanto, nello stipulare una Costituzione di governo, prevedere un modo equo per fare le leggi, nonché per la loro imparziale interpretazione e la loro fedele esecuzione; cosicché ogni uomo possa sempre trovare sicurezza in esse. Noi, pertanto, popolo del Massachusetts, riconoscendo con cuore grato la bontà del Grande Legislatore dell’universo nel concederci, nella sua infinita provvidenza, una opportunità di entrare, deliberatamente e pacificamente, senza frode, violenza o inganno, in un originale, esplicito e solenne patto con gli altri; e di formare una nuova costituzione di governo civile, per noi stessi e per la posterità; e devotamente implorando la Sua direzione in un progetto tanto importante, ci accordiamo per stipulare la seguente dichiarazione dei diritti, e struttura di governo come Costituzione della repubblica del Massachusetts.»
La libertà naturale è illimitata, è la libertà dello stato di natura, intesa in termini hobbesiani o lockiani. In ultima analisi, è proprio la libertà che porta all’anarchia, o alla guerra di tutti contro tutti. Secondo i principi federali, la migliore forma di libertà è quella federale, cioè la libertà di agire secondo i termini del patto (foedus) da cui nasce il corpo politico.
Tutte le comunità politiche giuste sono fondate sulla base di un accordo solenne tra i costituenti; tale accordo è un patto perché si basa su di una sensibilità e una morale condivise da tutti ed è legittimo in quanto incarna i principi fondamentali di libertà e uguaglianza. Ogni diverso comportamento è, in effetti, una violazione del patto e una manifestazione di anarchia e come tale deve essere ostacolato e chi lo pone in essere va punito tramite gli istituti appropriati o il governo.
È giunto dunque il momento che i popoli sovrani che risiedono nella penisola italiana si dotino di un nuovo foedus che li renda sovrani in casa propria. Successivamente si potrà dar mano ad una nuova UE basata sui popoli anziché sugli Stati. Infatti, commentando la fondamentale saggezza dei Federalist Papers, il famoso storico della politica Clinton Rossiter ha concluso: «II messaggio dei Federalist è il seguente: non c’è felicità senza libertà, non c’è libertà senza autogoverno, non c’è autogoverno senza costituzionalismo, non c’è costituzionalismo senza senso morale – e non c’è nessuno di questi beni senza ordine e stabilità.»
“In ultima analisi, è proprio la libertà che porta all’anarchia, o alla guerra di tutti contro tutti.”
Cos’è sta roba??????? Semmai l’anarchia è assenza di coercizione, nonchè prerogativa essenziale per la garanzia del diritti naturali dell’uomo e della non-aggressione! IL monopolio statale della forza, al contrario, rappresenta un’aggressione infame ai diritti e porta all’hobbesiano bellum omnium contra omnes!!!!! Salvo, naturalmente, che non sia il caso di un contratto di cooperazione fra cittadini libero e spontaneo. Ma non mi pare il caso degli attuali Stati Uniti. E’ vero che, almeno nelle intenzioni, USA sono nati come patria della Libertà (vedi “Coinceived in Liberty” di Rothbard), ma ora non lo sono proprio proprio più!
National Defense Authorization Act: addio habeus corpus per gli americani ritenuti “terroristi”.
http://goo.gl/XSIY1
“La libertà naturale è illimitata, è la libertà dello stato di natura, intesa in termini hobbesiani o lockiani. In ultima analisi, è proprio la libertà che porta all’anarchia, o alla guerra di tutti contro tutti.”
petitio principii! Stento a credere che ci siano ancora persone che immaginano gli Stati Uniti un simbolo della libertà.
A me paiono tanto un simbolo di imperialismo e di dirigismo economico. Sono finiti i bei tempi del Libertarianism con la L maiuscola, dell’isolazionismo e della Libertà totale….