All’indomani del previsto avvicendamento alla Moncloa il dubbio legittimo tra gli osservatori delle complesse vicende politiche spagnole verte su quale dei dossiers aperti peserà maggiormente nell’agenda del neo-premier conservatore Mariano Rajoy.
Sicuramente, la situazione complessiva dell’economia di Madrid è, a dir poco, catastrofica: la disoccupazione è tornata oltre il 20%, cancellando in pochi mesi una crescita che sembrava inarrestabile, il deficit veleggia oltre il 9% del pil ed anche il debito pubblico è tutt’altro che sotto controllo. Aggiungiamo la fragilità endemica del locale sistema creditizio e avremo sott’occhio le principali cause del deprezzamento vertiginoso dei titoli di stato del paese, tanto rapido che già è scattata la procedura di standby nei riguardi di un salvataggio europeo, ammesso sia possibile, viste le dimensioni ingenti che dovrebbe avere il salvagente.
Nel pieno della tempesta, quindi, il nuovo esecutivo dovrà confrontarsi con i diktat di Bruxelles che imporranno una serie di misure rigorose sullo stile greco o italiano. Si arriverebbe ad una sorta di commissariamento, forse un po’ meno oneroso di quello imposto ai colleghi(latini) di sventura, Grecia, Italia ed il confinante Portogallo. Facile immaginare i brividi che passeranno per la schiena dei nuovi governanti alle prese con il proverbiale gioco del cerino e tutt’altro che entusiasti di dover subire interamente l’ondata di impopolarità in arrivo.
Nulla di lontanamente paragonabile al tanto strombazzato movimento degli “indignados”, ma un’opposizione talmente radicale da minare le basi stesse dello stato unitario. Certamente non saranno i socialisti, alle prese con il risultato elettorale più catastrofico dall’avvento della democrazia parlamentare, a costituire una minaccia per il PP, né tantomeno i loro cugini comunisti dell’ Izquerda Unida, seppur reduci da una buona performance.
L’attenzione di tutti, invece, sarà rivolta alla dialettica tra centro e periferia, foriera di crescenti tensioni.
Proprio questa sarà la seconda sfida che Rajoy ed i suoi dovranno necessariamente superare per garantirsi non solamente una sopravvivenza politica, ma anche per passare alla storia come i salvatori dell’unità nazionale. Purtuttavia gli scricchiolii, nella compagine territoriale si avvertono sempre più distinti ed il compito potrebbe rivelarsi assai difficile. D’altronde regioni abituate ad una larga autonomia ed assai gelose del proprio retaggio identitario non accetteranno passivamente i tagli e le altre ricette draconiane imposte a Madrid dai cerberi continentali. Di sicuro non la Catalogna dove i nazionalisti di Convergencia i Uniò sono riusciti a diventare il primo partito a spese dei socialisti e gli indipendentisti storici dell’Esquerra Republicana Catalana appaiono tutt’altro che in disarmo anche se in recupero da un periodo travagliato.
Come altrettanto certo sarà difficile incontrare remissività tra gli orgogliosi baschi che, a differenza dei colleghi catalani, hanno anche imboccato in passato la via senza uscita del terrorismo pur di vincere una causa giusta. Ma stavolta, fortunatamente, l’attacco è stato sferrato con altre armi meno letali, per gli uomini, perlomeno.
Le urne hanno, infatti, ingigantito l’opzione indipendentista e la coalizione Amaiur è diventata la formazione più rappresentativa della comunidad con ben 6 deputati contro i 5 moderati del Partido Nacional Vasco. Se poi passiamo a sommare i voti conquistati dai due partiti baschi arriviamo al 51%. Cosa questo significherebbe nel caso di una convergenza di intenti è facile immaginare. Per ora i primi segnali che giungono dal centro sono poco rassicuranti: nessun dialogo con gli abertzales e freddezza verso gli altri. Ma le sorti del Regno non si giocheranno unicamente sulle questioni dello statuto catalano e delle rivendicazioni basche visto che altri focolai rischiano di accendersi. Ad iniziare dalla Comunitat Valenciana che riesce a portare per la prima volta la propria voce alle Cortes e lo fa con uno dei leaders del nazionalismo locale deciso a farsi rispettare dal nuovo padrone.
Nelle Asturie Alvarez Cascos, già ras popolare, raccoglie i consensi sufficienti a far eleggere un proprio rappresentante sotto l’etichetta del Foro Asturiano: ufficialmente proclama di voler solamente difendere la specificità della sua terra d’elezione, ma gli ex colleghi di partito diffidano del personaggio. Per il resto si confermano la Coaliciòn Canaria nell’omonimo arcipelago e il Bloque Nacional Gallego in Galizia, pronti anch’essi, almeno a sentirne le prime dichiarazioni, a pungolare l’Esecutivo. Laddove la corsa al diritto di tribuna non è riuscita( Baleari, Andalusia, Cantabria), i regionalisti mantengono o accrescono la loro consistenza numerica. Gli spazi di manovra, come si vede, sono alquanto angusti ed il timoniere dovrà fare uso di tutte le risorse del proprio talento per mantenere a galla la nave. Ma la proverbiale abilità dei grandi navigatori iberici questa volta potrebbe non bastare.
Gli stati nazionali stanno per esplodere.
E questo perché si è voluto esagerare nel contrapporre la “sacralità delle istituzioni” al rispetto per l’osso sacro dei contribuenti.
bella questa