5) “A” è diverso da “non-A”
Un altro dei “principi di ragionevolezza” in base a cui il Green Pass “opera … un bilanciamento fra beni giuridici ben orientato dal punto di vista costituzionale” sarebbe il “principio di responsabilità”, il quale stabilirebbe che “chi si è posto in una posizione di rischio che avrebbe potuto evitare senza difficoltà, può essere, in una certa misura, meno tutelato di chi quella stessa posizione di rischio non ha potuto evitare”.
Ora, il principio di responsabilità, a differenza dei precedenti “principi”, esiste: nel senso che è un principio logicamente e coerentemente difendibile. Tuttavia, non è il “principio” espresso nell’articolo (che trasuda contraddizione e arbitrarietà da tutti i pori). Il principio di responsabilità, più semplicemente, stabilisce che ogni persona adulta e capace di intendere e di volere (cioè di agire) è interamente responsabile delle sue scelte e delle sue azioni. Più in generale, della sua vita. Senza se e senza ma.
Questo principio è perfettamente compatibile con quello di non aggressione (che, come vedremo oltre, è quello su cui si basa la libertà non arbitrariamente definita). Il principio di responsabilità, infatti, implica che l’unico diritto (naturale) che le persone hanno è quello di non essere aggredite (diritto negativo); e che nessun “diritto” in senso positivo è giustificato. In particolare, indipendentemente da quello che stabiliscono i comandi dell’autorità (il “diritto” positivo), il principio di responsabilità stabilisce che esse non hanno alcun diritto naturale al denaro degli altri. Mai, in nessun caso: né per avere un tenore di vita “accettabile” (p. es. il “reddito di cittadinanza”); né per avere particolari servizi “pubblici” (incluse le strade, i tribunali e i servizi di sicurezza: tutti beni che tra l’altro possono tranquillamente essere offerti, e molto meglio, dal libero mercato); né per curarsi. Le persone in difficoltà possono ricevere solidarietà, ma questo come abbiamo visto è tutto un altro discorso, che non ha nulla a che vedere col diritto. Il principio di responsabilità è questo: non quell’arbitrario “bilanciamento” fra “maggiore” e “minore” tutela statale a seconda del rischio a cui ci si è esposti (tutela che, in qualsiasi misura, quando è fornita ad alcuni col ricorso alla coercizione su altri, viola sempre e comunque, come fa l’essenza stessa dello stato, la legge naturale della libertà).
Se Tizio usa gli ultimi soldi che rimangono nel mese per assicurarsi contro la malattia e gli infortuni rinunciando a un abbonamento all’opera, mentre Caio usa quei soldi per l’abbonamento all’opera rinunciando all’assicurazione, prendere i soldi a Tizio con la forza per curare Caio è illegittimo, sempre e comunque, in qualsiasi misura.
Gli autori dell’articolo non solo confondono il principio di responsabilità (qualcosa di semplice e, in quanto principio, di logicamente coerente) con un accrocco arbitrario e contraddittorio, ma poi lo rinnegano: prima difendono il “principio di responsabilità” e poi sostengono che comunque chi non si è vaccinato, così come chi si è esposto a dei rischi e poi gli va male, deve comunque essere tutelato col ricorso alla coercizione su altri: “In quest’ottica qualcuno addirittura ipotizza di escludere dalle cure chi abbia rinunciato alla prevenzione. Non condividiamo una simile soluzione, almeno oggi in cui non esiste una scarsità di risorse tali da imporre scelte drammatiche. Accettare questa impostazione significa porsi su una china pericolosa e in contrasto con l’idea della salute come diritto assoluto, di cui si gode indipendente dalle scelte di vita. All’estremo, infatti, seguendo questa “strada” gli ospedali potrebbero “respingere” chi ha avuto una condotta di vita poco sana, oppure a chi si è messo in pericolo o a chi ha attentato alla propria vita. E noi preferiamo vivere in un Paese che si prende cura di fumatori obesi, appassionati di sport estremi e aspiranti suicidi”. Insomma l’acqua è bagnata, ma allo stesso tempo è anche asciutta.
La salute come “diritto assoluto” esiste, di nuovo, solo nel mondo delle favole dei socialisti: un mondo in cui si può dire allo stesso tempo tutto e il contrario di tutto, senza alcun vincolo di logica o di attinenza alla realtà; in cui esistono giuristi che pontificano sui limiti legali da mettere all’azione umana senza avere mai riflettuto sulla struttura dell’azione umana. Nel mondo reale, quello dove “A” e “non-A” sono due cose diverse e in cui la logica fa parte del pensiero, la salute come “diritto assoluto” non può esistere perché sarebbe un “diritto” di alcuni alla proprietà di altri; e questo “diritto”, in quanto diritto ad aggredire altri, sarebbe logicamente incompatibile con qualsiasi idea di libertà che sia non arbitraria e fedele al principio di uguaglianza davanti alla legge (principio in base al quale nessuno, tantomeno lo stato, può compiere azioni, come tassare, che se compiesse la persona comune sarebbero considerate dei crimini). Il principio di non aggressione è infatti l’unica regola di giusto comportamento che è logicamente compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge e che, in questo senso, è naturale.
Non è quindi solo chi non si è vaccinato che non dovrebbe avere diritto alle cure a spese di altri (cioè alla “salute pubblica”). Nessuno dovrebbe averlo perché questo “diritto”, in quanto “diritto” positivo, è un sopruso: una violazione della libertà. Questo naturalmente non significa che “gli ospedali potrebbero ‘respingere’ chi ha avuto una condotta di vita poco sana” ma semplicemente che, nei limiti in cui vale il principio di responsabilità, ognuno dovrebbe curarsi (o assicurarsi contro malattia e infortuni) a sue spese, non a spese di altri. In una società libera, gli ospedali, essendo solo privati, avrebbero ogni incentivo ad accogliere chi ha avuto una condotta di vita poco sana, e cioè i suoi clienti.
Il totalitarismo non è un sistema in cui c’è un dittatore che fa cose orribili. È un sistema in cui la “legge”, essendo la decisione arbitraria dell’autorità invece che un principio logico (lo strumento di potere coercitivo arbitrario invece che il limite non arbitrario a qualunque potere coercitivo) consente all’autorità (dittatore o maggioranza parlamentare che sia) di agire nell’“interesse collettivo”, cioè di imporre agli altri la propria personale visione del mondo e di considerarla come “diritto assoluto”. Un sistema in cui “fumatori obesi, appassionati di sport estremi e aspiranti suicidi”, così come chiunque altro, possono essere curati col denaro estorto ad altri è un paese dove essi possono essere anche rinchiusi nei campi di concentramento, perché l’idea astratta di legge che consente di fare una cosa o l’altra (il positivismo giuridico) è la stessa. Una società libera è una in cui la proprietà delle persone non può essere violata in nome di quello che “noi preferiamo”, qualsiasi cosa sia e indipendentemente dal fatto che il “noi” si riferisca alla maggioranza.
6) Non c’è niente di più permanente di una limitazione temporanea della libertà introdotta con la scusa di una situazione di emergenza
Il “principio di ragionevolezza” a cui gli autori sembrano dare più peso è quello in base a cui “situazioni emergenziali possono giustificare una maggiore compressione, per il tempo strettamente necessario, di alcuni diritti fondamentali”.
Innanzitutto, chiariamo subito una cosa: i “diritti fondamentali” non esistono. La logica consente di identificare un unico diritto compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge: il principio di non aggressione. Qualunque altra regola di giusto comportamento individuale (cioè la cui violazione si ritiene giustificare il ricorso alla coercizione fisica) viola il principio di uguaglianza davanti alla legge, o ne implica la violazione. Questo non perché lo dico io, ma perché è una deduzione logica, quindi indipendentemente verificabile. Ora, quelli che di solito vengono etichettati come “diritti fondamentali” in alcuni casi sono casi particolari del diritto naturale a non essere aggrediti (p. es. la libertà di espressione, la libertà di movimento, la libertà religiosa, ecc.); in altri casi sono un’esplicita violazione di quell’unico diritto naturale (p. es. il “diritto alla salute”, il “diritto alla casa”, il “diritto al lavoro”, ecc.); e generalmente escludono accuratamente altri aspetti dello stesso diritto naturale a non essere aggrediti (p. es. l’inviolabilità della proprietà privata di tipo strettamente economico). Quindi, per evitare confusioni, non parliamo di “diritti fondamentali” ma di libertà, intesa come la sovranità del principio di non aggressione (e cioè come rule of law – sovranità della legge – dove la “legge” è quella non arbitraria perché compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge e non la decisione arbitraria del potere politico).
Chiarito questo, di solito non c’è niente di più permanente di una maggiore “compressione” di alcuni aspetti della libertà introdotta con la scusa di una situazione di emergenza. Negli anni ’70, con la scusa dell’emergenza del terrorismo rosso, lo stato limitò la libertà di movimento introducendo degli obblighi di dichiarazione alle autorità di polizia in caso di visite di ospiti. Questi obblighi sono in vigore tutt’ora. Gran parte delle limitazioni della libertà di movimento introdotte dopo l’11 settembre sono ancora in vigore. Per non parlare dello stato di sorveglianza, introdotto in occidente per ragioni di emergenza e di sicurezza e che non solo non è mai sparito ma non ha fatto altro che espandersi a ritmo esponenziale, anche dopo lo sputtanamento da parte di Edward Snowden. E che dire dei quantitative easing e delle espansioni monetarie straordinarie perfino per le banche centrali, espansioni che, sulla base di una teoria economica radicalmente sbagliata, furono introdotte dopo la crisi del 2008 per motivi di emergenza e che non solo vanno ancora a pieni motori ma che sono in continua accelerazione? E le famose accise per terremoti di decenni fa ancora in vigore? La lista è infinita.
Il fatto che non c’è niente di più permanente di una maggiore “compressione” di alcuni aspetti della libertà introdotta con la scusa di una situazione di emergenza non è puramente empirico ma una necessità logica, aprioristica. Il giuspositivismo (l’idea che la “legge” sia la decisione arbitraria dell’autorità invece che il principio logico indipendente dalla volontà e dalle decisioni di chiunque e in particolare dell’autorità) rende il potere coercitivo dello stato sull’individuo, oltre che arbitrario, illimitato. Un potere arbitrario e illimitato ha la naturale tendenza a espandersi: sarebbe irrazionale supporre il contrario. Il fatto che nel lungo periodo i debiti “pubblici”, l’imposizione fiscale, la quantità di denaro fiat di stato, la quantità di “leggi” e leggine regolamentative siano tutti vertiginosamente aumentati è la manifestazione empirica di questo fatto logico. Spesso (è il caso della crisi economica prodotta dal lockdown; delle crisi cicliche prodotte da espansione artificiale del denaro e del credito; della povertà relativa prodotta dall’interventismo statale; ecc.) questa espansione dello stato è giustificata dall’esigenza di porre rimedio ai mali prodotti dallo stato stesso, come se un male potesse essere guarito con dosi maggiori dello stesso veleno che lo ha prodotto. L’emergenza è un’ottima occasione per stato di espandersi in quanto riduce il costo politico dell’acquisizione di poteri e dell’imposizione di limiti “straordinari” alla libertà che poi, in tutto o in parte, sono destinati a rimanere.
D’altro canto, è proprio nell’emergenza che si vede la necessità della libertà. La libertà non serve solo quando le cose vanno bene: serve anche, e soprattutto, quando le cose vanno male. Non solo perché la libertà è un dovere ma anche perché, se è possibile risollevare la situazione, solo la libertà può farlo. Non per un credo religioso, ma perché solo la libertà consente l’uso di una conoscenza, di un coraggio e di una creatività che sono dispersi fra milioni di persone e non disponibili ad alcuna mente direttrice, e che solo la libertà può nutrire.
Solo la libertà (logicamente definita) può dare senso alla battaglia, anche quando venisse persa. Un conto è perdere sapendo di averlo fatto rispettando la libertà: a testa alta. Un conto è perdere avendo rubato e oppresso gli altri. Solo chi sta dalla parte della libertà logicamente definita, senza se e senza ma, vince anche quando perde.
Problemi strutturali
L’articolo in questione non è sbagliato solo nei punti evidenziati. È sbagliato alla base: nel metodo e nella struttura di pensiero, che si reggono sul pregiudizio invece che sul processo logico.
Il punto non è se il Green Pass è o meno costituzionale. Anche la progressività fiscale è costituzionale. Anche le imposte sono costituzionali. Anche il denaro di stato è costituzionale. Questo tuttavia non li rende meno incompatibili con la libertà logicamente definita.
La costituzione non è la legge della libertà: essa non è altro che una “legge” positiva, la più alta in grado, risultato di un compromesso politico fatto in un determinato momento, che ha la funzione di rendere difficile (ma non impossibile) cambiare alcune impostazioni di base: generalmente dei privilegi a favore di questo o quel gruppo e a scapito di questo o quel gruppo.
Soprattutto, come l’articolo in questione, la costituzione è tutto e il contrario di tutto. “A” e “non-A”. Difende il principio di uguaglianza davanti alla legge ma concede allo stato la facoltà di compiere azioni (come l’imposizione fiscale) che se compiesse chiunque altro sarebbero considerate dei crimini. Addirittura istituisce la progressività fiscale, la quale è stata inserita in costituzione proprio perché viola in modo lampante il principio di uguaglianza davanti alla legge (e quindi per metterla a riparo da azioni legali basate su questo fatto).
La costituzione (che è “fatta”, e quindi arbitraria, come qualunque altra “legge” positiva) non ha la funzione di difendere i suoi “principi” (una piccolissima parte dei quali sono tali e non privilegi), ma quella di violarli legalmente. Quando una maggioranza parlamentare approvò il “Lodo Alfano” (una “legge” che sostanzialmente dava una sorta di immunità per le “alte cariche dello stato”) la corte costituzionale dichiarò quella “legge” incostituzionale perché violava l’articolo 3 della costituzione, e cioè il principio di uguaglianza davanti alla legge. Tuttavia, nel bocciare la legge, la corte non stabilì che essa non poteva essere approvata, ma che, per essere approvata, doveva esserlo “come legge costituzionale”. Ora, cosa c’è di più fondamentale per una qualsiasi idea di libertà dell’uguaglianza davanti alla legge? Non erano forse le “leggi” razziali ignobili in primo luogo proprio perché violavano l’uguaglianza davanti alla legge? La corte costituzionale di fatto ha stabilito che violare l’uguaglianza davanti alla legge (garantita contraddittoriamente dall’articolo 3 della costituzione) va bene, basta che sia fatto per “legge costituzionale”: cioè con un provvedimento che abbia lo stesso rango dell’articolo 3 della costituzione in cui viene stabilito il principio di uguaglianza davanti alla legge.
Gli attuali governanti europei hanno stabilito che la “legge” ungherese che vieta di mostrare a minori contenuti omosessuali viola il principio di uguaglianza davanti alla legge. Il problema della “legge” ungherese non è che vieta di mostrare a minori contenuti omosessuali ma il fatto che permette allo stato di fare una cosa che potrebbe legittimamente scegliere (o meno) di fare solo un genitore (e probabilmente non fino ai 18 anni). Ma anche se la legge ungherese violasse il principio di uguaglianza davanti alla legge nel modo ritenuto dai politically correct europei, mi chiedo, con quale faccia? Con quale faccia osate accusare uno stato di violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge quando voi la violate sistematicamente ogni giorno (dall’imposizione fiscale alla progressività fiscale, dal denaro di stato alla riserva frazionaria; ecc. ecc.) e quando avete costituzioni disegnate per legalizzare e istituzionalizzare questa violazione? Quando la sopravvivenza stessa del vostro stato e spesso del vostro reddito dipendono dalla violazione sistematica e costituzionale del principio di uguaglianza davanti alla legge?
La questione non è se il Green Pass è costituzionale o meno. Non è nemmeno il fatto che sia compatibile con la libertà o meno (chiaramente non lo è). La questione è se il potere di imporlo (che è lo stesso potere di tassare o di regolamentare) è compatibile con la libertà o meno.
Per rispondere, è necessario prima chiarire, anche se brevemente, cosa si intende per libertà. Ciascuno ha le sue idee su cosa sia la libertà, ed è bene che sia così. Tuttavia, non tutte le idee di libertà hanno la stessa dignità, per la stessa ragione per cui le teorie secondo cui la terra è piatta non hanno pari dignità di quelle secondo cui essa è un ellissoide. Queste ultime infatti hanno maggiore dignità delle prime perché, a differenza di quelle, sono scientifiche. Quello che permette di stabilire se una teoria è falsa o scientifica è in ultima analisi il fatto che non sia arbitraria: che in nessun caso ricorra o richieda arbitrarietà. Se una teoria non è arbitraria (oppure se riconosce l’arbitrarietà come fattore di per sé invalidante dell’intera teoria, che può essere modificata eliminando l’arbitrarietà o semplicemente abbandonata) allora la teoria ha valore scientifico. Se invece una teoria è arbitraria allora essa non ha valore scientifico: è semplicemente falsa. Per esempio, se una teoria si regge sul “perché lo dico io” (dove l’“io” in questione potrebbe essere anche l’opinione della maggioranza) questo basta a classificare la teoria come falsa. Se invece la teoria è il risultato di un rigoroso processo analitico logicamente coerente in tutte le sue parti, allora la teoria può avere valore scientifico.
Quello che conferisce non-arbitrarietà a una teoria è il metodo scientifico. Che questo sia induttivo (come spesso avviene nelle scienze naturali) o deduttivo (come sempre avviene nelle scienze sociali), il risultato è sempre scoperto, mai deciso, o creduto, o sostenuto politicamente (p. es. a maggioranza). In questo senso è non arbitrario.
Le teorie scientifiche di libertà sono quindi solo quelle che, indipendentemente dai sentimenti, dalle opinioni, dalle visioni del mondo, dai desideri e dai “noi preferiamo” di chiunque, seguono coerentemente il processo logico deduttivo.
Questo processo, che piaccia o no, porta a identificare un’unica regola di giusto comportamento che è compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge. Questa regola è il principio di non aggressione. Si capisce quindi perché, come abbiamo accennato sopra, nei limiti in cui essa deve essere compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge (e se non lo è non lo è totalmente, non ci sono vie di mezzo) la libertà può essere logicamente (scientificamente) definita solo come la sovranità del principio di non aggressione.
Non solo qualunque politica dello stato, ma lo stato stesso e la sua costituzione sono di conseguenza incompatibili con (e costituiscono una violazione della) libertà scientificamente definita. Quindi lo è anche, e soprattutto, il potere di imporre il “Green Pass”, o di tassare, che rispetti la costituzione o meno.
L’articolo di Melzi d’Eril e Vigevani spiega perché “il Green pass è costituzionale e può limitare alcune libertà” ma non una riga è spesa per chiarire cosa intendono per “libertà”. Forse questa è una delle ragioni per cui volano così leggeri sulle loro contraddizioni e sulle loro assurdità. Se non sei vincolato dal pensiero razionale (logico), puoi dire quello che ti pare, anche che la Terra è piatta. L’aspetto interessante, dal punto di vista clinico, è che la quasi totalità delle persone ti crede.
C’è pure il meraviglioso mondo di quelli che non si sono accorti che senza vaccini OBBLIGATORI non si entra nella scuola OBBLIGATORIA.
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Se poi l’olocausto fosse stato legale (anzichè perpetrato di straforo, senza ordini scritti e con linguaggio camuffato) tutti i vari negazionisti non sarebbero proprio esistititi (perchè semplicemente non avrebbero saputo dove attaccarsi, se non al tram).