DI ALESSANDRO FUSILLO
Anche gli avvocati hanno le loro leggende. Piccoli racconti tramandati di generazione in generazione di legulei che cementano la solidarietà di una categoria spesso bistrattata da clienti e magistrati ed alla quale va la simpatia dell’autore. Simpatia pelosa, si badi, perché egli appartiene alla famigerata genia degli azzeccagarbugli, dei paglietta, dei mozzorecchi come sovente i patroni vengono chiamati con disprezzo. E d’altro canto Dick the butcher suggeriva in Enrico VI di uccidere tutti gli avvocati come misura per il miglioramento delle condizioni del paese. E chissà che non avesse ragione.
Uno dei processi che sono rimasti indelebili nella memoria degli avvocati del foro di Roma è il celebre processo per lo scandalo della Banca Romana. All’epoca, si potrebbe notare, i banchieri che stampavano banconote fuori controllo finivano sotto processo penale, non venivano elogiati ed elevati sugli scudi come salvatori della patria. Altri tempi, altra morale. Si racconta che il difensore dell’imputato Tanlongo, il presidente, appunto, della Banca Romana reo di aver stampato denaro per favorire amici e politici di spicco, avesse dato avvio alla sua arringa dicendo: “Mio padre mi raccomandava sempre: studia figliuolo, altrimenti diventerai procuratore del Re”. L’irriverenza del difensore fece non poco scandalo ma funge pur sempre da richiamo alla necessità che chiunque si occupi di questioni legali ponga il dovere di studiare in cima ai suoi doveri. Non a caso, dico sempre, il luogo dove lavoriamo si chiama studio legale.
Deve essere per puro caso che questo aneddoto sia riaffiorato alla mia memoria quando ho letto le notizie di stampa concernenti il sequestro preventivo penale di un ristorante che aveva tenuto aperto nonostante i divieti del traballante governo italico.
È da sapere che il sequestro preventivo penale è disposto dal Pubblico Ministero quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso, ovvero agevolare la commissione di altri reati. Ora, che un ristorante possa essere ritenuto “cosa pertinente al reato” nell’ambito di un procedimento per epidemia colposa è fatto che lascia interdetto l’azzeccagarbugli di cui dicevamo.
Infatti, secondo la Corte di Cassazione l’epidemia intesa come reato deve estrinsecarsi secondo una precisa modalità di realizzazione, ossia mediante la propagazione volontaria o colpevole di germi patogeni di cui l’agente sia in possesso. D’altro canto, chiunque abbia compulsato un codice penale commentato sa bene che, ad esempio, il soggetto sieropositivo che, conscio di esserlo, abbia avuto rapporti sessuali con molte persone, contagiandole, è stato poi assolto dall’imputazione di epidemia. Non conosco i fatti di causa e, quindi, come si dice, sospendo il giudizio, ma ho l’impressione che sia quanto meno improbabile che un gestore di ristorante avesse delle provette contenenti germi patogeni o virus e che le abbia diffuse volontariamente o per disattenzione causando una nuova epidemia, come se non bastassero già i danni fatti dal Covid, ormai divenuto endemico dopo un anno di inutili sforzi del governo per contenerlo. Anche l’endemia, si potrebbe chiosare, esula dal concetto penalistico di epidemia che è riferito ad una malattia nuova.
Insomma, la fretta spesso è nemica del bene ed è sempre nemica dell’approfondimento che le questioni giuridiche meritano ed esigono da chi è chiamato a maneggiare le norme. E l’ansia di infliggere una punizione esemplare a chi riteneva di esercitare il diritto al lavoro sul quale la nostra repubblica era fondata quando era ancora democratica rischia di ritorcersi contro i solerti esecutori di ordini illegittimi.