DI EUGENIO CAPOZZI
Il lockdown generale è già stato deciso da tempo. Tutte le oscillazioni di queste settimane sono soltanto gioco del poliziotto buono e cattivo, tattica per imporre la decisione gradualmente, testando volta a volta le reazioni.
Il progetto è chiaro. Non ha niente a che vedere con la situazione sanitaria, che è sotto controllo (salvo le solite inefficienze di certe regioni) e che vede una pressione sugli ospedali inferiore a quella che si verifica abitualmente ogni anno per le epidemie stagionali di influenza. Morti e terapie intensive sono evidentemente in gran parte anziani ammalati di altro, spesso già ricoverati – i dati emergono su scala locale anche se il governo si guarda bene dal chiarirlo a livello nazionale. Se si volesse affrontare seriamente la protezione delle fasce di cittadini a rischio (chiarissimamente individuabili per via statistica) basterebbe monitorare gli anziani con patologie specifiche attraverso medicina di base e Usca, somministrare loro terapie ormai note ai primi sospetti di virus, fornire servizi per evitare loro il più possibile di uscire di casa, e raccomandare ai loro familiari di adottare con loro il più rigoroso distanziamento.
Ma chiaramente di questo a chi governa non importa nulla. Il progetto già pianificato dalla primavera è un altro, e tutto politico: un esperimento di ri-disciplinamento autoritario delle società funzionale ad un modello economico ben preciso.
È un progetto non solo italiano ma europeo, che parte dall’asse franco-tedesco e da Bruxelles, e di cui il governo italiano è solo uno tra gli esecutori. Non bisogna essere complottisti per individuarlo: esso è già palese nella torsione paternalista, eticizzante delle istituzioni Ue di cui Ursula von der Leyen è la garante.
L’obiettivo di queste classi politiche è enfatizzare a dismisura il virus per distruggere quel che resta della piccola e media impresa, del terziario autonomo, degli spazi di formazione, socialità e cultura “fisici”, e sostituirli con consumi, intrattenimento, didattica, socialità integralmente digitalizzati, completamente inglobati dalle grandi corporations hi tech globali.
La narrazione terroristica del Covid e i lockdown sono lo strumento per rimpiazzare del tutto la socializzazione con i social, le comunità di scuola e università con la didattica su piattaforma, l’amore e il sesso con il dating virtuale, i ristoranti e i bar con il food delivery, i cinema e i teatri con Netflix, lo shopping con Amazon, i concerti con le dirette a distanza, lo sport con il “workout” casalingo gestito da app, il lavoro con sussidi statali di semi-indigenza, il culto religioso comunitario con una spiritualità solitaria senza nessun rilievo sociale. E, soprattutto, per eliminare ogni forma di associazione culturale, circolo, movimento civico e politico libero, non controllabile, trasformando la società civile in una pluralità di individui isolati che si limitano ad essere followers dei leader politici, in un quotidiano reality show, “profilati” e sottoposti al continuo martellamento delle news unanimi di regime selezionate per loro dai social media depurandole di quelle che loro chiamano fake news, cioè di ogni fonte che non sia approvata dal complesso politico-mediatico mainstream.
L’accelerazione di questa trasformazione permetterebbe, per le élites europee, la saldatura tra il mega-tecno-capitalismo d’oltreoceano, lo statalismo burocratico Ue a economia sussidiata e il modello di mercato autoritario cinese.
L’unico ostacolo che può ancora frapporsi tra il progetto e la sua attuazione è la reazione, la resistenza, la mobilitazione delle società civili europee, dei ceti e delle fasce sociali che si è deciso di sacrificare. Dalla loro capacità di ribellione, dalla loro capacità di coordinarsi, dando vita a un blocco sociale e politico coerente in sostituzione di una rappresentanza politica ormai inesistente, dipende se l’esperimento tecno-autoritario riuscirà o sarà dichiarato fallito, o quanto meno dilazionato.
* docente di Storia contemporanea, archeologia e storia dell’arte all’Università Federico II di Napoli.
Nazidada è assolutamente stupendo, sublime e io me ne approprio e lo userò per definire me stesso
sprotuberandolo e spapagnandolo in ogni dove. Il caro Colla – essendo per il diritto di copia libera – non se ne avrà a male.
Il problema latino è che nel paragone con Potere Operaio è tutto da cambiare, non qualcosa. Sarebbe come dire che siccome un giorno i libertari potrebbero trovare i fondi per agire come avrebbe agito Gramsci, dovrebbero rinunciare a usarli per evitare l’accusa di essere comunisti. Siamo contro la violenza ma non contro la legittima difesa. Quindi i toni accesi dell’articolista non possono essere minimamente paragonati a quelli di Potere Operaio se non, appunto, per il fatto di essere “accesi”. E giustamente a mio avviso. Non ci si può trincerare dietro l’espressione latina per giustificare una similitudine inesistente altrimenti tutti sono uguali a tutti solo perché esprimono le loro convinzioni con… convinzione. Colla è conservatore nel linguaggio ma si guarda bene dal pretendere che anche gli altri lo siano, al massimo glielo può chiedere ma non li giudica “nazidada” o “nazimoderati”. Né mi sembra corretto chiamare “nazilinguaggio” quello che tende a essere volutamente didascalico. Come non è nazionalista quello dei sostenitori dell’Accademia della Crusca o quello di chi preferisce espressioni più votate alla chiarezza e alla comprensione che all’orwelliana neolingua. Anche perché la lingua non è necessariamente identificabile con l’idea di nazione. Il “qui si vede” è una spiacevole caduta autoreferenziale ma non ce la prendiamo più di tanto.A noi libertari ci battono in tanti “su tutta la linea”, solo che quella della neolingua non è una linea libertaria. Più che duri e puri, a molti di noi piace la coerenza. Ad altri, forse un po’ meno ma che vogliamo farci? Si vive ciascuno a suo modo.
Vabbè, lasciamo i troll al loro triste destino.
Venendo a noi, come e quando la iniziamo a organizzare questa resistenza?
Sembra proprio che “mutatis mutandis” l’abbia scritto per nulla: dovrebbe rendere vano l’incipit del caro Colla. Di ossimori sensati e creativi poi ce ne sono a caterve, ad es. “italiani pecore anarchiche” di Gervaso, ma dimentico sempre che il caro Colla è MOLTO POCO LIBERTARIO in fatto di linguaggio, tendendo invece ad incarnare molto bene il prototipo del Grammar Nazi (come del resto il caro Don Juen che saluto, appena scriverà qualcosa di meno noioso del solito Papa Imbroglio torno a fargli visita). E qui si vede che io, che sono un quasi dada almeno in fatto di espressione, a voi libertari duri, puri e odiosamente filo cruschensi, vi batto su tutta la linea.
E non dimenticate mai cosa c’è scritto sotto il campanile di Coazze.
Potere Operaio non ha mai difeso la piccola e media impresa né ha mai contestato i sussidi statali o favorito individualismi e privatizzazioni. Il termine “nazilibertario” è un ossimoro come lo sarebbe “repubblicanmonarchico”. Il libertario non può essere nazionalista e un nazionalista non sarà mai libertario. Né ha senso scrivere che una civiltà nazisteggi perché tutto ciò che nazisteggia è antitetico alla civiltà. In stile Potere Operaio ci sono solo i provvedimenti governativi, il nostro in particolare dove siedono gli eredi di quel movimento di ricchi annoiati dove di operaio vero non ce n’era neanche uno. Né poteva essere diversamente dal momento che gli statalisti hanno applicato in pieno la lezione di Gramsci e hanno occupato tutto l’occupabile con la politica del carciofo. Grazie anche a chi doveva opporsi (e poteva perché gli strumenti ce li aveva) e ha rinunciato a opporsi. Piuttosto bisognerebbe chiedere al professor Capozzi quali potrebbero essere gli strumenti per dare vita a un blocco sociale e politico in grado di sostituire quello attuale. Non mi pare ci siano ma se mi sbaglio sono estremamente contento.
Mutatis mutandis pare di leggere un tazebao di Potere Operaio anni 70. Quando la realtà si scontra con l’ideologia, beh, tanto peggio per la realtà. Tra nazigovernativi, nazicomunisti, nazilibertari, nazi qua, nazi là, nazisteggia tutta la civiltà.
Se veramente l’unico ostacolo è quello descritto nel paragrafo finale, vuol dire che non c’è via d’uscita. La capacità di ribellione dei ceti citati, semplicemente non esiste.