RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
DI PAOLO MARINI
A pochi mesi dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, il servizio di una rete televisiva nazionale propone l’alternativa Parigi/Visegrad.
Parigi è assunta quale simbolo, modello di europeismo, cioè di quella idea che, lungi dal depotenziare/disarticolare l’Unione Europea, ne vuole ‘ancora di più’. I cosiddetti ‘europeisti’ chiedono di regola l’armonizzazione delle legislazioni, aspirano ad una vera, definitiva unità. Nel linguaggio, prima che negli intenti, tradiscono un’ansia costruttivista che sembra esigere la rimozione di quegli elementi/fattori di distinzione e di competizione, a partire dagli ordinamenti giuridici, che precluderebbero l’accesso ad un assetto istituzionale (asseritamente) idoneo a rendere forte l’Europa nei confronti del mondo. Non comprendo come Parigi possa immaginarsi capofila di questo indirizzo, dato che la Francia mostra, anche in queste settimane, di essere più una insofferente primadonna che un affidabile sodale, ma in ogni caso tutto questo europeismo, più che a un movente politico, assomiglia ad un delirio.
Allora, si dirà, vada per la seconda. Visegrad è una cittadina vicino a Budapest in cui si è saldata un’alleanza politica tra Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Simboleggia la rinascita delle istanze nazionaliste, che si sono riaffacciate e in certi casi consolidate pure negli altri Paesi europei, anche grazie alle contraddizioni, alle disfatte dell’Unione. Ma il nazionalismo è, concretamente, una alternativa all’europeismo di cui sopra? Rispondo: no. L’Europa è stata piagata nel corso del XX° secolo, in particolare, da due conflitti divenuti mondiali (per non parlare degli altri, più circoscritti, anche successivi e recenti) che in questa febbre hanno trovato, ad un tempo, la giustificazione e il carburante per incendiarla. Ma soprattutto, lo Stato nazionale – idea e realtà che nel Vecchio Continente è vecchia di alcuni secoli – è da tempo in crisi, perché non è riuscito/non riesce a mantenere le promesse che pure ha profuso a piene mani, in particolare da quando si è ingaggiato in sempre più pesanti interventi nell’economia, diventando ‘sociale’ e pericolosamente indebitato.
Allora c’è una ragione fondamentale per cui sia ‘Parigi’ che ‘Visegrad’ sono parimenti indesiderabili. Entrambe sono espressione di autoritarismo e di centralismo, differenziandosi soprattutto per il fulcro elettivo, per il baricentro politico e istituzionale cui fanno riferimento. In entrambe le versioni la legge è egualmente strumento di coercizione e di redistribuzione; in entrambe la libertà è trasfigurata, costantemente soggiogata da altre superiori istanze. Molti regolamenti e direttive europee sono ficcanti e irragionevoli alla stregua di altrettante leggi nazionali (di quelle italiane, senza dubbio), frutto di una uniforme, perversa ideologia che sistematicamente restringe le opportunità di scelta, di iniziativa degli individui e assedia e intralcia la loro vita quotidiana. E’ autoritarismo, a prescindere dalla ricorrenza di elezioni democratiche (d’altronde, si sa, democrazia e libertà sono due signore che quasi mai vanno d’accordo) e dai risultati delle stesse, che cambiano, sì, le classi dirigenti ma non le logiche di potere/governo. Ed è centralismo, perché non v’è riconoscimento di spazio alcuno a processi di scomposizione/ricomposizione sociale/istituzionale, alle istanze di libertà che possono salire dalle comunità locali.
L’alternativa Parigi/Visegrad è, in poche parole, tanto esibita quanto illusoria: la dialettica politica esaurisce così, allo stato e in estrema sintesi, il dibattito attorno al futuro dell’Unione Europea e dell’Europa, ma il suo spazio è sempre più angusto, asfittico.
Bisogna elevare lo sguardo e superare le cortine fumogene delle contrapposte propagande, per riscoprire il valore delle tradizioni, della cultura, e insieme della sovranità degli individui e delle comunità.
Il destino fallimentare delle suesposte ricette potrebbe, in futuro, dare ossigeno alla (pur flebile, bisogna riconoscerlo) speranza che una prospettiva di libertà possa guadagnare il consenso di un numero crescente di persone e orientare verso percorsi nuovi, inediti, le energie della storia.