In Anti & Politica, Economia

DI GIOVANNI BIRINDELLI

Caro Aurelio,
condivido gli ideali che stanno alla base di questo tuo post ma non ne condivido l’approccio strategico.
Sul piano pratico, quello del libertarismo non è un problema di statica, ma di dinamica. Non è un problema di “punti di equilibrio” (o di “end-states”) ma di processo.
Come le stelle fisse, apparentemente irraggiungibili, il libertarismo dimostra in modo scientifico la direzione di marcia: quale è il Nord. Anche se avessimo la certezza che quelle stelle sono irraggiungibili, questo fatto sarebbe abbastanza irrilevante: non è che il Nord smette di essere il Nord se le stelle che lo indicano non possono essere raggiunte. Finché non venissero raggiunte, la funzione di quelle stelle è indicare una direzione di marcia per poter avanzare concretamente, ciascuno secondo le proprie possibilità e preferenze, in quella direzione, scoprendo via via le strategie che si ritengono più efficaci.
Quelle stelle sembrano irraggiungibili solo se si ragiona secondo gli schemi collettivisti, cioè se le si vogliono raggiungere “tutte insieme, allo stesso momento (subito), per tutti”. In realtà, “a pezzi”, una per una e piano piano, esse possono essere raggiunte: pensiamo a bitcoin, forse la più grande e la più lontana di quelle stelle che oggi abbiamo raggiunto: la difesa pacifica del principio di non aggressione nel campo del denaro. Ma anche una qualsiasi transazione a nero è una piccola (e vicina) stella raggiunta.
Quando si accetta lo stato, magari “minimo”, e si dice che “va bene”, allora si accettano i suoi privilegi (anche se in misura inizialmente contenuta) e quindi il suo intero paradigma. Ed è quel paradigma che porta lo stato necessariamente a diventare massimo. In una prospettiva dinamica, che è sempre quella dei processi sociali ed economici, lo “stato minimo” non esiste.
Accettare lo stato (di qualsiasi dimensione) significa rinunciare alla libertà, allo stesso modo in cui accettare un tumore significa accettare la morte. Significa privare quelle stelle della loro funzione primaria: offuscarle, perdere di vista in Nord.
Si possono fare passi avanti nella direzione della libertà solo difendendola nel modo più puro ed estremo. Questa difesa può essere fatta nonostante lo stato e quindi in una situazione in cui c’è lo stato (vedi bitcoin), allo stesso modo in cui si può lottare contro un tumore in presenza di quel tumore. Tuttavia, a mio parere, quando accettiamo lo stato, quando diciamo che il tumore “va bene”, allora non possiamo che allontanarci in modo sempre più accelerato dalla libertà.

DI AURELIO MUSTACCIOLI

Caro Giovanni Birindelli apprezzo moltissimo il tuo commento (che allego di seguito perché merita più ampia lettura) e per la stima che ho nei tuoi confronti mi permetto una breve risposta per chiarire il mio pensiero.

Io mi considero anarco-capitalista perchè credo che l’anarco-capitalismo sia un costrutto teorico coerente che assicura benessere, sviluppo e pace sociale e quindi il punto di arrivo del liberale che ragiona con la sua testa, privilegia il pensiero razionale e non accetta compromessi.
Tale costrutto non prevede lo stato, perché lo stato viola alcuni dei pilastri alla sua base.
Penso però anche, come Rothbard, che per mezzo della ragione possa essere stabilita un’etica obiettiva, e pertanto che il costrutto anarco capitalista debba affondare la sua legittimità su un’etica della libertà, edificata su valori non negoziabili.
Per usare la tua metafora, senza quei valori, c’è la stella polare ma non c’è la volontà di andare a nord.

Credo pertanto che la diatriba intellettuale tra anarco-capitalisti fautori di una società senza stato e miniarchici che “teorizzano” uno stato minimo, non sia corretta. Se sei libertario, non puoi teorizzare uno stato minimo. Aborro pertanto qualsiasi impersonificazione dello stato e assoluzione del suo operato in quanto garante del “bene comune”. Lo stato non siamo “noi”, sono “loro” e “loro” non sono nostri amici.

Quando rifletto sul fatto che non esistano società anarco-capitaliste, nè siano esistite nella storia, prendo atto della difficoltà di raggiungere tale assetto sociale che tuttavia porterebbe enormi benefici alla società stessa.
Usando la metafora, forse un po’ forzata, del punto di equilibrio, non volevo dire che gli assetti sociali ed economici sono statici, al contrario convengo con te che sono dinamici (molto bello a tal proposito il libro “La teoria dell’efficienza dinamica” di Huerta de Soto), tuttavia alcuni assetti, nel loro divenire, sono più probabili di altri.
L’assetto sociale che prevede lo stato è più probabile di un assetto che non lo prevede. E’ un fatto. Anche il numero degli stati nel mondo ha una sua maggiore o minore probabilità di realizzarsi, nè tantissimi, nè uno solo (chi ha voluto nella storia conquistare il mondo, prima o poi è stato fermato, e grossi stati sono collassati in unità più piccole, ma mai in nessuna unità). Che lo stato, specie se grande, sia pericoloso, risulta poi evidente anche dalla modalità in cui i conflitti tra stati spesso vengono risolti; quanto maggiori sono le dimensioni dello stato, tanto maggiori saranno gli esiti nefasti in caso di conflitti armati tra stati. E la storia del 900 ha dimostrato che tali esiti nefasti non sono un disincentivo sufficiente alla loro realizzazione.

Per queste ragioni, come te, non sono tra chi teorizza la bontà dello stato minimo. Perchè è vero che se si ammette lo stato, esso inevitabilmente si espanderà.
E sono totalmente allineato con te quando dici che si può curare il cancro pur avendolo. E noi, aimè l’abbiamo.
Penso però con pragmatismo che, nella malattia, lo stato limitato è meglio dello stato senza limiti. E lo stato piccolo è meglio dello stato grande.

Quanto alla strategia per “andare a nord”, cosa che abbiamo constatato non essere facile (si devia infatti spesso verso est e verso ovest), qui sì che c’è ancora molto da dire.

La tecnologia sicuramente può essere una soluzione, nel momento in cui consente la realizzazione di un sistema di incentivi coerenti con l’obiettivo che si vuole raggiungere.
Ma anche il miglior sistema di incentivi fallisce se non c’è condivisione sul valore dei fini, nel nostro caso se la libertà nella sua essenza non è più percepita come un bene desiderabile.

 

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Showing 2 comments
  • vetrioloblog

    La forza dello scellerato ideale del socialismo è consistita proprio nel far credere che il paradiso in terra si raggiunge con la totale negazione della proprietà privata: cioè con lo Stato al 100/100%, non con lo Stato al 70% o all’80%. Allo stesso modo la forza dell’ideale anarco-libertario consiste proprio nel convincere razionalmente gli individui che il paradiso in terra si raggiunge con la totale negazione dello Stato, non con lo “Stato minimo”. Altra cosa è la strategia. Mettiamola così: lo Stato è come una persona che pesa un quintale e mezzo, che per raggiungere il peso forma di 75 Kg non può smettere di alimentarsi di punto in bianco fino ad arrivare al peso forma, altrimenti muore.

  • Max

    Azz, per la serie “siate realisti, chiedete l’impossibile”. (cit.)

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