di ALESSIO PIANA
La già degradata situazione generale della scuola pubblica italiana, compresi i licei, peggiorerà ancora finché la scuola resterà inclusiva, e non selettiva in base al merito, cioè finché continuerà a mandare avanti tutti sempre e comunque a dispetto del comportamento indisciplinato degli studenti, la loro mediocrità, la mancanza di interesse, il fancazzismo, la pretesa – ormai acquisita come diritto – di essere assistiti, aiutati, facilitati, di ricevere voti regalati e pezzi di carta fasulli.
Il sistema non incoraggia gli studenti motivati e capaci, che spesso imitano i peggiori e smettono di impegnarsi. Risultato: un gregge di ragazzi svogliati, parcheggiati per cinque anni in un ambiente artificialmente protetto (le scuole superiori), che poi iniziano a prendere schiaffoni quando escono là fuori nel mondo reale, alla ricerca di un lavoro, o per superare le selezioni presso le università a numero chiuso, le accademie militari e via dicendo. Le stesse facoltà universitarie stanno progressivamente abbassando il livello richiesto per consentire al maggior numero possibile di iscritti di raggiungere quell’altro pezzo di carta chiamato laurea. Dopodiché, una volta laureati, molti si dovranno adattare a fare lavori precari in nero e sottopagati, che non rientrano nel settore dei loro studi e che sono di scarso prestigio, inferiore rispetto alla laurea presa. Ma ai giovani sembra normale che sarà così, sono già rassegnati, e ciascuno spera di salvarsi per conto suo, in qualche modo (io speriamo che me la cavo). In pochi si interrogano sulle cause di questi fenomeni socio-economici.
Eliminando il valore legale dei titoli di studio, i pezzi di carta resterebbero soltanto pezzi di carta senza importanza, e il vero valore diventerebbe la reale preparazione acquisita dallo studente. Gli studenti si autoselezionerebbero spontaneamente in base alla motivazione e al merito. Scuole pubbliche e private in leale (non come adesso…) concorrenza tra loro innalzerebbero la qualità dell’istruzione (e abbasserebbero i prezzi, come avviene in tutti i mercati liberi). Lo Stato dovrebbe ridurre drasticamente l’eccessiva tassazione estorta ai cittadini, che è assassina per commercianti, imprenditori e per tutti i lavoratori, così rilancerebbe l’economia e l’occupazione (molti giovani andrebbero a lavorare, e studierebbe soltanto chi vuole studiare, e ha le capacità). A causa della minore tassazione, lo Stato sarebbe costretto a ridurre la spesa pubblica e affidare l’erogazione di molti servizi che oggi fornisce in monopolio, ad attori economici privati in un regime di libero mercato, con conseguente innalzamento della qualità e abbassamento dei prezzi.
Magari tra cent’anni questi sani princìpi socio-economici verranno riconosciuti e applicati, e la gente finalmente si renderà conto che vivere da sudditi sotto il controllo e l’arbitrio dello Stato non è libertà, ma una forma di schiavitù.
L’istruzione dei propri figli è una cosa seria. Non la si può certo affidare a una mandria di burocrati e di raccomandati senza arte nè parte, in strutture a metà fra la caserma e la galera.
Ma anche qui, la salvezza è individuale e la libertà presuppone la responsabilità di prendere delle scelte ponderate, ragionate e quindi assolutamente controcorrente, cosa che purtroppo in tanti, troppi genitori non hanno il coraggio di fare.
L’homeschooling, ma anche il più radicale unschooling, sono due strade difficili e in qualche maniera solitarie, che solo i più coerenti e fermi hanno la forza di scegliere.
Agli altri posso solo augurare che i propri figli finiscano nelle mani di qualche insegnante innocuo o almeno non troppo dannoso, e in classi di alunni senza i picchi di delinquenza e di cattiveria che, ahimè, tanti di noi hanno dovuto conoscere nelle scuole
Il primo capoverso è l’esatta descrizione delle scuole originate attorno al 1968.
La scuola italiana è disorientata.
Un guazzabuglio pedagogico senza prospettiva altra che il solito “tirammo a campà”.
Eppure basterebbe molto poco.
Basterebbe tornare all’approccio pre-sessantottino.
Naturalmente le materie e gli indirizzi risentono del trascorrere del tempo.
Ma l’approccio, la disciplina, i voti e le medie conseguenti, le bocciature senza tanti distinguo o scuse, non può essere che quello dei tempi passati.
Solo così si premia l’impegno e si riconosce il merito.
@Nextein E’ troppo tardi ormai, la scuola pubblica ha perso ogni minima legittimità, ne è l’esempio il trattamento riservato a molti colleghi del prof. Piana dagli studenti negli istituti tecnici e professionali, beato lui che può insegnare in un liceo. La scuola pubblica è un mostro che va abbattuto, non c’è altra soluzione, mi auguro che la Chiesa Cattolica possa tornare ad interessarsi all’educazione, quantomeno a quella primaria, inoltre potrebbe rappresentare un buon business per i privati, con l’integrazione dell’homeschooling.
Bisogna partire dal presupposto, che non tutti siano portati allo studio ed al lavoro intellettuale. Ho conosciuto professori stimolati e stimolanti, così come tanti altri, troppi imbecilli, incapaci a stabilire la pur minima empatia con gli studenti, oltre che semi analfabeti nonostante la laurea. Anche questo è un problema della scuola di massa.
Va detto comunque che studenti validi ce ne sono molti, motivati nello studio, bravi nei risultati scolastici e corretti nel comportamento. Al liceo dove insegno direi che sono la maggior parte. Viene il rammarico di non riuscire a seguirli nel modo migliore, per la presenza in classe di altri, magari pochi, che con il loro comportamento ti rendono difficile lavorare, e ti assorbono tempo ed energie per cercare di recuperarli, anche contro la loro volontà di impegnarsi. La scuola spende anche molti soldi per fare i corsi di recupero.
Molti insegnanti sono favorevoli all’attuale scuola inclusiva in quanto istituzione che offre un servizio per combattere il disagio sociale, per il recupero umano e culturale di ragazzi difficili provenienti spesso da situazioni familiari problematiche.