DI GIOVANNI BIRINDELLI
“Salario minimo. (Quasi) tutti d’accordo”.
Tradotto: (quasi) tutti d’accordo sulla creazione di ulteriore disoccupazione involontaria.
In una situazione di libero mercato la disoccupazione può essere solo volontaria: la disoccupazione involontaria non potrebbe logicamente esistere.
Quest’ultima infatti è prodotta dall’interventismo dello Stato nel mercato del lavoro (e dai privilegi dei sindacati). In particolare, essa è il prodotto, fra le altre cose, anche (e specificamente) dell’imposizione coercitiva di “salari minimi”, cioè in alcuni casi superiori a quelli corrispondenti al libero scambio e alla libertà contrattuale.
In altre parole, la richiesta di “salario minimo” è simile al capriccio infantile di coloro che, come i bambini, vogliono avere di più indipendentemente da tutto, e in particolare dalle leggi dell’etica e dell’economia.
Leggi, queste ultime, che sono assolute e che hanno la stessa certezza della legge di gravità (anche se la loro scoperta richiede un metodo scientifico diverso):
“L’economista non assume; egli sa. Egli conclude sulla base della deduzione logica da assiomi auto-evidenti e cioè assiomi che sono logicamente o empiricamente incontrovertibili”
(di nuovo Rothbard).
Lo Stato, la democrazia e il mito popolare (da questi prodotto) di non-sensi logici quali la “giustizia sociale”, il “bene comune”, ecc. danno a questi bambini capricciosi il mezzo coercitivo con cui ottenere i loro balocchi.
Data l’assolutezza delle leggi economiche di cui sopra, nel lungo periodo (come stiamo vedendo e continueremo a vedere) questo non può che peggiorare le cose, soprattutto per le generazioni successive.
Le elezioni politiche mi fanno pensare a greggi di pecore che vanno al macello da sole, volontariamente, con occhi pieni di speranza e addirittura fiducia.
Salario minimo ed elezioni sono andati sempre d’accordo
Comunque è vero che l’interventismo produce disoccupazione involontaria. Ci sono buoni motivi per ritenere in un sistema libero la disoccupazione involontaria sarebbe marginale, residuale e soprattutto temporanea.
Io credo che in un libero mercato avremmo la più ampia occupazione possibile, ma non che non avremmo disoccupazione involontaria, questa mi appare come una affermazione irrazionale.
Nel nostro mondo di oggi non vince lo specializzato o il competitivo ma il raccomandato e il legislativamente protetto. Come il caso dei brevetti. E’ giusto richiedere flessibilità ma è proprio quella che le imprese chiedono e che i sindacati non vogliono. Se si creano gli ologopoli è perché lo vuole il maniaco della regolamentazione. Vale anche per la rete. Tale problema, in un sistema autenticamente libero, non si porrebbe in quanto ognuno sarebbe libero di specializzarsi o di essere flessibile. Quando ho visto meno pubblico, in un periodo in cui era in voga la commedia musicale, ho imparato a cantare. Senza stare a pensare di essere specialista della prosa. Col danzare sono stato un po’ meno fortunato ma questo è un altro discorso, così come è un altro discorso il fatto che anche lo spettacolo sia vincolato da problemi relativi a Società degli Autori, Vigili del Fuoco, ritenute d’acconto, sovvenzioni, censure da parte del politicamente corretto e magari a breve anche tariffe minime obbligatorie per il reclutamento di attori, cantanti, danzatori, tecnici, comparse… Ops! Dal dizionario Boldrini – Fedeli: attrici, danzatrici, cantantesse, tecniche e “comparsi”. (Perché il maschile di “comparsa” è ovviamente “comparso”. E il buon senso? Scomparso).
Probabilmente Birindelli intendeva affermare che la disoccupazione involontaria in un sistema libero è temporanea e residuale, anziani o non anziani. Non esisterebbe la disoccupazione di massa e di lunga durata, non esisterebbero la situazione greca e quella italiana (sud in particolare), non esisterebbe l’attuale sistema inibitorio in Africa. Il problema delle barriere all’ingresso persiste perché in realtà non c’è nuova offerta. E non c’è perché le legislazioni lo impediscono. L’economia è una cosa e lapolitica un’altra? Forse, oggi sicuramente sì. Ma buona politica sarebbe quella della rinuncia all’intervento. Significherebbe la fine degli stati? Certamente, per questo sarebbe buona politica e di conseguenza si fonderebbe con la scienza dell’ambiente. Cioè l’economia, quest’ultima, non l’ecologia.
“la disoccupazione involontaria in un sistema libero è temporanea e residuale”
Non credo, nel nostro mondo di oggi, iperspecializzato e ipercompetitivo, vince solo chi arriva primo. Pensiamo alle gare per i brevetti, o al minare del bitcoin… Gli altri potevano anche risparmiarsi la fatica di correre. A saperlo prima!
I vasti spazi aperti e le molteplici opportunita’ ci sono solo quando, in un mondo vergine, succede qualcosa di completamente nuovo che colonizza un nuovo ambito di possibilita’ (pensate alla rete e alla sua imminente regolamentazione, ma anche all’industrializzazione del nostro paese occorsa nell’ultimo secolo). Dopo un po’, i giochi sono fatti, la varieta’ diminuisce, gli oligopoli si irrigidiscono, e per sopravvivere non resta che specializzarsi sempre di piu’, perdendo in flessibilita’ e possibilita’, fino alla successiva grande crisi e crollo, o cambio di paradigma, dopodiche’ si ricomincia daccapo. L’intera storia vita sulla terra e’ andata cosi’, e lo spazio dell’uomo, sia nella materia che nello spirito, si evolve allo stesso modo.
Chi lamenta la condizione di disoccupato si duole di non trovare il lavoro che almeno apparentemente sta cercando. Spesso non è evidente il fatto che se non c’è offerta non c’è lavoro, a prescindere dalla solerzia con la quale lo si ricerchi. Punto.
Meglio orientarsi a creare o scoprire nuova offerta. Ma questa attitudine non è di tutti. Qui non ci sono però barriere all’ingresso (come mai?).
Certo contro la retorica del diritto al lavoro ben poco si può argomentare a livello di teoria economica. Questa carota politica fa marciare gli asini di tutta la terra. Cosi sia.
Un ordinamento giuridico però non crea lavoro se non per l’apparato che lo gestisce.
L’apparato di governo si sostiene a carico di chi produce estraendo risorse che avrebbero più utile destinazione nella creazione di ricchezza per la realizzazione della quale si richiede appunto lavoro ed occupazione.
Lo stato è per se una fonte di distruzione di energie destinabili alla produzione concreta.
Ciò che lo stato pare di fatto restituire al mercato con l’organizzazione ed il governo è pernicioso perché genera incentivi che drogano il mercato con “posti di lavoro” fasulli (cosiddetti pubblici ma pure privati).
Con garanzie fuori contesto esso inquina la volontà contrattuale di chi (operaio o imprenditore) si gioca tutti i giorni il favore di un cliente per ottenere una remunerazione dei propri sforzi sia per l’oggi ed in prospettiva dinamica per il futuro, sempre in concorrenza con innumerevoli altri.
Lo stato rovina la struttura dei prezzi e del lavoro 2 volte:
a) quando preleva imposte tasse e contributi;
b) quando eroga prestazioni di servizi o in denaro.
Stratifica inoltre negli anni le distorsioni provocate da interventi che non raggiungono alcun obbiettivo con conseguenti riparazioni degli effetti indesiderati attraverso ulteriori inconcludenti provvedimenti.
Già! La realtà e le sue dinamiche prospettiche hanno le infinite variabili che da nessuna formula matematica o da nessun illuminato buon senso possano essere riassunte e distillate in una norma giuridica sicuramente efficace.
Ma i politici, si sa, son esseri superiori ed hanno i super poteri propiziati dal consenso di molti crociatori per diritto costituzionale; unti dallo spirito di servizio per mandato degli elettori.
La disoccupazione frizionale o ancor meglio crematistica (altrimenti erroneamente confusa con quella detta involontaria) ESISTE. In un libero mercato – genuinamente libero – questa è uno stato temporaneo di inoccupazione che dipende dall’avveramento o la cessazione di fatti, noti, di natura contrattuale volontaria oppure di accidenti non dipendenti dalla volontà di alcuna delle parti.
Il “lazzarone cronico” compie l’atto volontario di rifiuto del lavoro per fini che esulano dalla sfera dell’indagine di rilevanza economica.
Il “cagionevole di salute” non potendo garantire la continuità necessaria della prestazione (per una triste situazione di salute) non può contrarre con la stessa pretesa del sano. Spesso anche i sani non sono macchine indistruttibili ed è altrettanto frequente la prossimità alle situazioni di un amico o parente con abilità ridotte per i più diversi motivi. La valutazione pratica di queste situazioni permette di attivarci diversamente anche a livello imprenditoriale. Nota una classe di eventi, ad esempio, è possibile assicurarsi contro ogni tipo di sciagura senza il bisogno di qualcuno ci imponga contribuzioni affini più alla predazione che a finalità previdenziali. In un mercato libero esistono altre istituzioni già note e sperimentate con successo ed esisterebbero tutti gli incentivi ad agire in tal senso con responsabilità e con carattere volontario.
Come è noto non è possibile assicurare eventi che rispondono ad una probabilità di caso mentre è possibile e matematizzabile una riserva matematica per assicurare eventi di classe.
E’ assicurabile ogni evento che non subisca la discrezionalità di azione o l’ingerenza della volontà dell’assicurato e dell’assicuratore per ovvi e banali motivi.
Il disoccupato di lungo periodo se non si adattasse, secondo le proprie inclinazioni ed abilità a quanto è richiesto dal mercato, sarebbe costretto a vivere della solidarietà spontanea del prossimo.
Di solito a quest’ultima affermazione partono istintivamente le invettive del neurone sindacalizzato che illustra le civilissime conquiste della classe lavoratrice del dopoguerra.
Però quel che in realtà non si vuole osservare è che ogni vantaggio conquistato viene sempre ad essere conseguito a spese di qualcun altro, basta chiedere ad ogni lavoratore autonomo o a quei microimprenditori (situazione molto concreta e reale) che pur lavorando senza posa non possono godere di equivalenti vantaggi o garanzie.
Il disoccupato subisce sempre e comunque le condizioni del mercato. In un mercato ove chi lavora si riserva privilegi ed impone distorsioni (per una buona causa) irrigidendo il mercato del lavoro chi subisce è sempre il disoccupato stesso, a rotazione se si vuole, ma rotazione sempre più lenta che porta al conseguente grippaggio finale.
Se l’uomo non conoscesse solidarietà e compassione non avrebbe costruito istituzioni come la famiglia, il denaro, il diritto, le città, il linguaggio, le mutue, la religione e molto altro. Non servono fenomeni da baraccone che dicano o peggio impongano regole auree per perseguire il risultato della piena occupazione. Direi che costoro sono tutti criminali in concorso perché che pensano di poter risolvere dirigisticamente quel che in apparenza presentano un semplice problema di ottimizzazione di risorse diffuse altrui.
Ancorché possa sembrare sub-ottimale non provare a razionalizzare all’ingrosso le risorse in funzione di una finalità teoricamente di buon senso, ciò che non è evidente e si rifugge nel momento della assunzione di una responsabilità politica è che ci sono cose si affrontano con l’arroganza cognitiva tale da non consentire la comprensione dell’impossibilità materiale di esito. Un qualsiasi esito. Certe cose gli uomini non le possono (ancora) fare. Nonostante ogni apparente buona intenzione. Pensare che qualcuno le possa fare è, salvo prova contraria, un atto di superbia assoluto che porta conseguenti inutili sofferenze. Prova contraria, non idee, speranze o fondato consenso.
Al di la’ delle questioni prettamente ideologiche e/o politiche, resta il fatto che, dal punto di vista dell’organizzazione “materiale”, negli ultimi decenni c’e’ stata un’impennata verticale della necessita’ di specializzazione per una propria qualche utilita’ e spendibilita’ nel mercato del lavoro. Ma in un mondo iperspecializzato e organizzato in cui sono necessari vari decenni di scuola, istruzione e apprendistato solo per padroneggiare una competenza, come si pensa che possa essere possibile l’elasticita’ generalizzata nell’offerta di lavoro, rimanendo l’arco di una vita media inferiore a quello di un secolo?
Ovvio peraltro che in tale condizione chi ha una specialita’ e una competenza fara’ di tutto per “bloccare” la situazione in modo tale da poter continuare a “spendere” la propria specialita’, altrimenti e’ tagliato fuori e puo’ solo vivere di elemosina e redistribuzione.
A cercare di bloccare sono come ben sappiamo in primis i burocrati, ma poi seguono a ruota tutti gli altri, produttori di beni di consumo compresi (pensiamo alle “rottamazioni” continue da essi richieste per costringere i consumatori a consumare i loro prodotti gia’ inflazionati, riproposti con marginali modifiche).
Quello che voglio suggerire comunque, e’ che in una societa’ ipercomplessa necessariamente organizzata come una macchina come la nostra, forse la liberta’ come la intendono gli anarco/libertari non e’ semplicemente possibile a prescindere. E guardate che l’ipercomplessita’ ultraspecializzata del nostro mondo di oggi non solo e’ partita in tempi storicamente recentissimi, ma sta anche aumentando in modo esponenziale, e non solo come la mazza da hockey del riscaldamento globale…
Ci muoviamo in un terreno inesplorato, dove tutte le vecchie interpretazioni sono inadeguate, tranne forse, paradossalmente, alcuni aspetti di quelle degli economisti del XIX secolo, che poterono vedere il primo per loro evidente cambiamento in atto, quello macroscopico dalla agricoltura di autosufficienza e autoproduttiva, all’industria iperspecializzata. Noi che siamo gia’ dentro questo mondo e non abbiamo mai visto altro, non possiamo avere la stessa ampiezza di vedute, siamo come i pesci in un acquario.
Ogni fattore produttivo flessibile e aspecifico come il fattore lavoro in economia tendenzialmente viene remunerato al “valore attuale della sua produttività marginale”.
Ciò significa che: dato che ogni soggetto ha una produttività marginale distinta dagli altri, ed inoltre variabile col tempo, chi può offrire meno produttività di quella richiesta dalle condizioni di mercato rimane escluso a priori dalla competizione per un impiego. A priori significa che non c’è possibilità alcuna di rimediare quell’impiego specifico. Scartati, fuori, kaput, tre lauree non servono a nulla per quell’impiego li.
Oltre questo valore soglia che è piuttosto selettivo ma auto-adattante in ogni situazione sia per i piani bassi che per i piani alti, porne uno fisso e fesso, rigido e minimo nel punto proprio dove si contorcono i più deboli, i meno produttivi, i più svantaggiati, o i solo parzialmente impiegabili, significa che da quei soggetti in giù (il fondo nessuno lo conosce) sono destinati ad essere impiegati illegalmente per legge.
Normare un minimale salariale a tappo sui lavori e lavoretti non coperti dalle cure della matrona sindacale come una livella nazionale è come decretare che tutti in Italia devono portare le mutande di taglia almeno small di marca “LaTriplice” o small di marca “Repubblica” perché è meglio small che nessuna mutanda.
Il salario minimo è una clausola abusiva di un eventuale contratto di lavoro se questa rappresentasse un minimale imposto per legge coercitivamente.
Una legge che imponga un salario minimo si dieci euro l’ora imporrebbe un minimale contributivo equivalente mensile che va dai 1600 ai 1760 euro mensili, o giù di li. Ciò è un aborto giuridico che fa strame della volontà delle parti contraenti.
Il terrore di subire le conseguenze nel contravvenire a tale (illegittimo) illecito indurrà molte imprese e soprattutto molte persone ad adeguarsi, visto che tale norma colpirebbe soprattutto gli sprovvisti di copertura (altra gabbia) di contratti di lavoro sindacali. Una volta controllati questi datori di lavoro attraverso voucher o altro e grazie al controllo puntuale dei movimenti finanziari, anche i privati che commissionassero servizi potrebbero essere pizzicati come evasori contributivi da una parte e taglieggiati da lavoratori che potrebbero dire di non essere stati pagati o pagati il dovuto qualora pagati per contanti.
Un trappolone insomma a fini di gettito e conseguente distruzione di creatività imprenditoriale che ne risulterebbe letteralmente strozzata in culla.
Il salario minimo è poi una fesseria economica, roba da far saltare la laurea a chi ce l’avesse in economia per manifesta imbecillità, se lo sostenesse come soluzione regolatoria.
Ma l’economia è una cosa e la politica un’altra. Pace amen.
“dovrà trovare nuove formule di offerta idonee alle sue possibilità e capacità” se non le trova resta involontariamente disoccupato..
io comprendo bene l’uso del termine logico applicato alla disoccupazione solo volontaria. Qualsiasi esempio si prenda, un giovane che può spostarsi nel mondo, un anziano che invece non può farlo, e si consideri il lavoro come la merce di uno scambio volontario, troverà qualcuno disposto ad offrirlo a qualcuno disposto a pagarlo perchè ne ha bisogno. Quando una delle due parti si ostinasse a poter vendere il proprio lavoro, o qualcuno a volerlo pagare quello che gli pare, lo scambio non avviene. Ciascuna delle due parti sarà obbligata personalmente a correggere ed adeguare i propri comportamenti, le proprie aspettative, adattare quello che offre o quello che pagherebbe, alla situazione. Nel caso di un anziano che non può viaggiare o non ha più la prontezza giovanille, dovrà trovare nuove formule di offerta idonee alle sue possibilità e capacità, nel caso di chi offre una retribuzione o un compenso, dovrà innalzare quello che offre per trovare qualcuno disposto. Tutto, solo e sempre nella volontarietà e nel rispetto assoluto del principio di non aggressione. La prosperità e la crescita derivanti da un ordine spontaneo degli scambi, delle interazioni tra individui, famiglie e imprese, sarebbero certamente reali e concrete, e per milioni (in italia) e miliardi (nel mondo) di persone povere o indigenti, ci sarebbero molte più posibbilità di superare la condizione nella quale sono stati cacciati (italia) o da sempre confinati (paesi africani ad esempio).
E’ un vero piacere rileggerti.
Bentornato, in tanti ti vogliamo bene e ci sei mancato molto.
“In una situazione di libero mercato la disoccupazione può essere solo volontaria”
Non sono molto convinto che non esisterebbe disoccupazione involontaria in un libero mercato… soprattutto mi sfugge perchè “non potrebbe logicamente esistere”.
Penso al lavoro come a una merce (il lavoro che viene venduto è una merce, non la persona che lo vende in quanto tale, tanto per precisare). Ecco, esistono merci che restano invendute. Esistono merci che restano invendute anche se, teoricamente, a un prezzo abbastanza basso, avrebbero un compratore da qualche parte.
Il più banale caso di disoccupazione involontaria potrebbe essere quello delle persone anziane, che pur volendo ancora lavorare, non sono più in grado di farlo, o almeno non in modo tale da soddisfare le richieste di chi ne potrebbe acquistare il lavoro. Anche perchè mentre da giovane uno può spostarsi in tutto il mondo per lavorare, andando là dove il mercato gli suggerisce di andare, attraverso il meccanismo dei prezzi, da anziano spesso non può farlo. Per questo e per altri motivi, pe runa persona anziana l’incontro con chi potrebbe acquistare il suo lavoro non è più così facile.
Anche perche’ la “bolla di tutto” in cui siamo racchiusi oggi non e’ solo di mezzi finanziari, e’ anche di prodotti materiali, e qualsiasi societa’ ha una capacita’ limitata di assorbire in modo utile nuove merci e materiali.
Tant’e’ che non e’ un mistero che oggi si consuma per non inceppare il meccanismo produttivo, piu’ che produrre per il consumo. Buona parte delle leggi e norme che vengono sfornate a getto continuo hanno tale obiettivo, sebbene non sempre dichiarato esplicitamente (anzi nel caso dell’ecologismo tanto di moda oggi, si dichiara ipocritamente il contrario): aumentare i consumi e il movimento di merci e rifiuti in qualsiasi modo possibile.