di REDAZIONE
otreste mai investire in Einstenium? O forse preferite Primulon o Augur? Cobinhood lascia intuire il suo programma, ma anche AntiBitcoin o CreativeCoin non scherzano. Alcune sembrano uscite direttamente dalle pagine di un fumetto – da Mysterium a Elastica alla classica Cryptonite -, altre, come LevoPlus, Energo o Medibloc, arrivano direttamente dalla farmacia. Poi ci sono quelle che si rifanno a personaggi famosi, da PutinCoin a Mao Zedong fino a Fonziecoin. Altre fanno immediatamente capire a che mondo fanno riferimento: PotCoin, CannabisCoin o il più esotico GanjaCoin, dichiarano le loro promesse. I creatori hanno fatto ricorso a tutta la loro creatività per colpire e allettare tra le 1.370 critpovalute a oggi esistenti, così come elencate dal sito Coinmarketcap.com. Un elenco senza fine, esploso lo scorso anno in parallelo con la corsa del bitcoin: un’ondata di Ico, di offerte iniziali di valute che hanno fatto lievitare il criptomondo sulla base di progetti spesso opachi e senza prospettive reali, che assomigliano a “schemi Ponzi” in cui gli ultimi arrivati sono destinati a rimanere con il cerino in mano.
Praticamente sconosciute fino a dodici mesi fa, le Ico sono arrivate a raccogliere oltre 4 miliardi di dollari, emettendo criptovalute per finanziare nuovi progetti in crowdfunding. Sulle ali dell’entusiasmo per la criptoeconomia – e delle illusioni della finanza – il valore complessivo di queste valute è arrivato a superare i 600 miliardi di dollari (quasi per la metà attribuibili a bitcoin). Con scambi quotidiani per oltre 50 miliardi, più o meno quanto una seduta del Nyse. Anche se Bitcoin ha perso peso specifico – un anno fa valeva quasi il 90% del totale delle critpovalute, oggi è calato attorno al 42% – il grosso del valore si concentra sui progetti maggiori: solo una trentina di valute ha una capitalizzazione superiore al miliardo di dollari (anche se questo non è di per sé parametro di maturità) e le prime dieci, quelle scambiate sulle piattaforme principali, arrivano a coprire quasi l’85% del valore totale di tutte le 1.370, gran parte delle quali ha valori risibili o addirittura nulli. Già l’impossibilità di acquistarle sui maggiori exchange è indice di scarsa affidabilità che deve far insospettire.
Ma determinare il valore di una criptovaluta è, per sua natura, operazione ardua, tanto più alla luce della bolla speculativa di questi ultimi mesi. Anche il premio Nobel per l’economia Robert Shiller ha sottolineato che la quotazione del bitcoin è «eccezionalmente ambiguo». Lo stesso bitcoin è nato nel 2009 con l’obiettivo di diventare un sistema di pagamento digitale: ma il meccanimso di certificazione distribuita delle transazioni si è ben presto rivelato piuttosto macchinoso in un mondo in cui il denaro si muove in tempo reale. Bitcoin si è quindi affermato più come strumento sicuro di riserva, come “oro digitale”, piuttosto che come strumento di pagamento alternativo alle valute tradizionali. Anche se la “bolla” rischia di scoppiare da un momento all’altro, il grande laboratorio delle criptovalute potrebbe far emergere l’innovazione sottostante, la cosiddetta blockchain, un sistema decentralizzato che elimina intermediari centrali a favore del peer-to-peer, e un valore che nasce dalle applicazioni che possono nascere attorno a queste valute, ognuna con una sua funzionalità.
Ne è un esempio Ethereum, la più promettente tra tutte le altre, emersa come seconda per valore dietro a bitcoin. La sua piattaforma, per certi versi simile a internet, aperta ad “applicazioni decentrate” con utilizzi diversificati, si basa su una blockchain costruita appositamente per permettere a due parti di concludere uno “smart contract”, un contratto che si finalizza al verificarsi di determinate condizioni, senza l’intervento di parti terze. Potenzialmente ha una varietà infinita di applicazioni, dalle assicurazioni alla distribuzione di energia, dal trade finance ai registri immobiliari. Sulla sua blockchain girano già oggi migliaia di applicazioni e il numero di transazioni gionaliere ha da poco superato il milione, più del doppio di bitcoin. Il balzo di circa il 1.600% messo a segno da Bitcoin da inizio 2017, impallidisce di fronte al +9.900% di Ether. Ancora meglio, come performance, ha fatto Ripple, balzato di quasi il 30.000% in dodici mesi grazie all’ultimo strappo di fine anno dopo che alcune società finanziarie giapponesi hanno annunciato di voler sfruttarne la blockchain per i pagamenti. Ripple è già ampiamente utilizzato dai circuiti bancari tradizionali per le transazioni multicurrencies.
Bitcoin Cash e Gold sono nati da scissioni della blockchain del classico Bitcoin per rendere più efficiente e rapido il sistema di certificazione. La stessa esigenza è alla base di Litecoin, che utilizza un algoritmo semplificato per i miners e che richiede minore capacità di calcolo. L’”argento digitale” è spesso utilizzato come laboratorio per sperimentare innovazioni poi da utilizzare per bitcoin.
Un ritorno alle origini del criptomondo è Monero, che garantisce un’accresciuta protezione della privacy per quei soggetti che, per motivi non necessariamente illeciti, preferiscono la riservatezza nelle transazioni. Se le transazioni in Bitcoin sono registrate in maniera immutabile e visibili a tutti i nodi della rete, con Monero non si possono sapere allo stesso tempo chi invia il denaro, chi lo riceve e il valore della transazione. Zcash ha funzionalità simile grazie a una blockchain parzialmente pubblica.
Ci sono poi valute nate con finalità specifiche. L’esempio più concreto è Filecoin, progetto che utilizza la blockchain per creare uno spazio cloud distribuito mettendo insieme la potenza di calcolo inutilizzata dei computer di singoli: a settembre ha chiuso la sua Ico da record raccogliendo 257 milioni di dollari, compresi 52 milioni da big del venture capital come Sequoia Capital, Andreessen Horowitz e Union Square Ventures. È da modelli come questo – se si dimostrerà più conveniente di Aamazon, per esempio – che si potrà capire se l’innovazione che nasce dalla blockchain ha anche un suo modello di business.
Roger Ver non è un coglione, è un imprenditore, anche piuttosto brillante, non dice amenità nel momento in cui Bitcoin “classico” sia da due anni ormai, alle prese con problemi di smaltimento code, transazioni lente ed aumento delle commissioni, le cosiddette “fee”, quando in realtà il mercato desidera e pretende tutto il contrario: transazioni iperveloci e commissioni più basse possibili; ormai mi sembra che ci sia dietro più che altro una questione ideologica, maggiore scalabilità non vuol dire maggiore centralizzazione, ed anche se fosse così, il capitalismo si basa anche su questo. Bitcoin è pur sempre un frutto del capitalismo, dell’anarchia di mercato e della sua creatività. Con il “derivato”, mi riferivo al fatto del diritto che ci si scambia fuori dalla catena, per poi incassare il Btc vero e proprio a transazione avvenuta, questo per smaltire le code; video in Inglese su YouTube parlano di “right”.
Alessandro OneCoin non era nemmeno una cryptomoneta (infatti non è mai stata nell’elenco) ma semplicemente una truffa evidente (anche ad una persona non informatica che non fosse accecata dall’avidità e dalla smania di fare soldi facili senza nemmeno capire su cosa investiva) che aveva cavalcato uno dei vari momenti di crescita esponenziali del Bitcoin confezionando un bel prodotto sfruttando il nome dello stesso Bitcoin. Su internet molti che avevano un minimo di conoscenza hanno gridato ai quattro venti la truffa (portandone anche le evidenti motivazioni), alcuni hanno ascoltato ma altri, con giudizio offuscato dall’invidia proprio nei confronti di chi li avvertiva (in quanto questi ultimi avevano già guadagnato) e dalla classica paura di “perdere” il treno, si sono virtualmente buttati nel fuoco.
Dino è molto difficile spiegare e dimostrare perché al momento, sul piano tecnico, Bitcoin è l’unica cryptomoneta che un futuro a lungo termine. Questo non significa che le altre da un punto di vista economico siano morte e ne che a breve moriranno, esattamente come il socialismo in Russia che, pur non avendo un futuro per quanto ben dimostrato dalla scuola austriaca di economia, è durato 70 anni, come molti stati oggi che si reggono su un sistema insostenibile ma che ancora viene tenuto in vita artificialmente o la bolla del “tutto” gonfiata a dismisura da decenni ed il cui scoppio e stato rimandato sino ad oggi dall’intervento delle Banche Centrali. A titolo esemplificativo di posso indicare che dogecoin con un attuale capitalizzazione di 1,5 miliardi di dollari è stata creata per “gioco” nel 2013, come indicato dallo stesso creatore (lastampa.it/2018/01/08/tecnologia/news/dogecoin-la-criptovaluta-nata-per-scherzo-vale-pi-di-un-miliardo-di-dollari-gYDGUDXzyydhbUC7gxaO1N/pagina.html), figurati quindi altre coin più “serie” cosa posso combinare e per quanto tempo possono sopravvivere, pur non avendo attualmente “futuro”.
Per Bcash non ho parlato di truffa ma di attacco politico come lo era segwit2x (nome che comporta un po’ di confusione, infatti segwit è un miglioramento del Bitcoin che è già passato da agosto scorso mentre segwit2x o BTC2X era un fork previsto a novembre). Segwit2x, supportato da Roger Ver, che diceva amenità come il valore della nuova moneta sarebbe stato maggiore dell’originale (ccn.com/roger-ver-bets-4-million-segwit2x-hard-fork/), è stato annullato non molto prima della data prevista quando si sono accorti di non avere la potenza di fuoco necessaria, rubata in gran parte dal fork avvenuto un po’ a sorpresa proprio a luglio/agosto (Bcash) supportata da altri gruppi economicamente potenti (tipo il primo produttore), al quale si poi successivamente lo stesso unito Roger Ver. Questo a riprova dell’assoluta irrilevanza tecnica di quanto si sarebbero apprestati a fare con il fork Segwit2x (peraltro Bcash non implementava proprio segwit riconosciuto da tutte le parti, anche quelle che volevano proseguire con il fork segwit2x, come un miglioramento necessario per il futuro di Bitcoin). Anche spiegare il perché Bcash non risolve il problema di scalabilità ma al contrario introduce un pericolosissimo problema di centralizzazione, risulta decisamente complicato (non ci sono riusciti nemmeno dei giganti esperti informatici di Bitcoin a farlo comprendere ai talebani del “blocco grosso”, in una discussione che è andata avanti per anni sino ad arrivare ad i fork che conosciamo) quindi non posso che indicartelo come informazione su cui tu puoi fare le tue opportune valutazioni e ricerche.
Su Lighting Network purtroppo hai le idee un po’ confuse su come funzione (ed assolutamente non centra niente con i derivati (purtroppo avrai letto alcuni termini tipo offchain, onchain e second layers magari tradotti in italiano e spiegati dalle innumerevole capre che girano atteggiandosi ad esperti dell’ultima ora di Bitcoin). Sull’argomento ti riporto un pezzo scritto dal grande Giacomo Zucco
“- Bitcoin Layer 1 (blockchain) é decentralizzato, ma non scalabile. Tentativi di renderlo scalabile “a forza” lo renderebbero centralizzato, quindi inutile.
– Bitcoin Layer 2, necessario per scalare senza centralizzare il Layer 1, può essere trusted o trustless. Trusted (coinbase, changetip, xapo) esiste già da tempo e può andare bene su transazioni piccole, veloci e ripetute, dove tanto per definizione il rischio di controparte o il danno di censura é minimo. Ma é necessariamente centralizzato.
– Una versione trustless del Layer 2 si può fare da diverso tempo con dei payment channel hub&spoke, oppure con delle “factories” ma sono due approcci, per quanto trustless e potenzialmente PIÙ decentralizzati di quelli trusted, ancora abbastanza centralizzati per natura.
– Una versione più evoluta di Layer 2 trustless é quella di Lightning Network (LN), con onion routing e fee di rebalance, che permette di avere payment channel collegati tra loro e una topologia molto più decentralizzata.”
Mi permetto di azzardare di seguito un paragone, per cercare di far comprendere meglio: si può considerare LN come un canale di pagamento tra due entità (detti nodi) caricato con dei soldi come un carta prepagata. Entro questo canale si possono eseguire virtualmente un numero illimitato di pagamento a costo zero e con un numero di transazioni al secondo limitato solo dalla banda disponibile (nella pratica decine di migliaia ma con l’aumento della banda anche molto di più, considerate che visa ne fa migliaia con una potenziale teorico che arriva a 65000 transazione al secondo, LN potenzialmente arriverebbe a milioni). I costi (fee) si pagano solo al momento dell’apertura e chiusura del canale in cui si scrive sul libro mastro (blockchain) il risultato dell’ultimo bilancio dei Bitcoin tra i due nodi. La questione interessante è che il collegamento tra due nodi non deve essere necessariamente diretto ma può passare per altri nodi e per vari canali (con costi non pari a zero ma piccolissimi rispetto a transazioni sulla catena di primo livello) sino arrivare a destinazione (avete presente quanto si diceva in merito ai sei gradi di separazione che ci sarebbero tra tutte le persone del mondo tramite la rete di conoscenze, immaginatevi il LN come la rete di conoscenze ed i nodi come le persone). Incidentalmente la prima transazione LN sulla rete ufficiale (quindi non la rete di test) è stata fatta non molti giorni fa ed al momento sono in fase beta vari wallet (portafogli) che supportano questa funzionalità. Spero di essere stato sufficientemente chiaro sulla parte tecnica anche se non sono un grande esperto nel campo (a mia discolpa non ce ne sono molti in giro). Sulla parte politica ho dovuto mio malgrado tagliare in quanto ci sarebbero da spendere pagine per quello che è successo in questi anni ed anche io ho seguito solo alcuni momenti salienti.
Concordo in pieno sulla scarsa autorevolezza di un quotidiano che dovrebbe romanamente chiamarsi “La Sòla ogni Ventiquattr’Ore”. Una curiosità: OneCoin appartiene alla categoria degli “schemi Ponzi”? Leggo così sulla pubblicità annessa in rete al dizionario etimologico Pianigiani – Bonomi.
Mi spiace il sole 24 ore è una pessima fonte. Dati a parte, che si possono trovare ovunque, le considerazioni, escluse quelle banali sulla montagna di ICO, sono errate dovute alla mancata comprensione del Bitcoin della Blockchain.
Il mantra della bolla che non poteva mancare, anche se il marcato è cresciuto troppo in fretta e correzioni sono in atto (e ce ne saranno altre, ma il Bitcoin ha già visto in passato storni dell’80% in poche settimane e del 50% in un giorno, altre che montagne russe).
Delle 1410 coin/token listate ad oggi sul coninmarket tranne Bitcoin nessuna ha alcun futuro a lungo termine dal punto di vista tecnico.
Il mantra della Blockchain senza il Bitcoin, cavallo di battaglia di chi cerca di separare la valuta, che fa paura a banche e governi, dalla tecnologia che si vuole con “benevolenza” salvare, senza sapere che senza Bitcoin la blockchain non è nulla di più di una database (interfaccia ad un database) inutilmente inefficiente per la maggior parte degli utilizzi pratici (consiglio la visione di questi video di uno dei maggiori esperti riconosciuti attualmente nel campo (youtube.com/watch?v=kHbtp7pOftU e youtube.com/watch?v=GtKhYx2Vlb4). In merito al problema dei pagamenti per Bitcoin si è sviluppato il protocollo Lighting Network come secondo livello (la prima transazione eseguita pochi giorni fa) che permetterà numero enorme di transazione con costi bassissimi.
Per il resto Ripple è una psedo cryptovaluta (cryptoyoda1338.wordpress.com/2018/01/04/the-truth-about-ripple/) , centralizzata, chiusa, che verrà utilizzata delle banche per rimpiazzare il sistema Swift.
Bitcoin Cash è nato da un attacco politico da parte di un gruppo con forti interessi economici che ha tentato (e sta tentando) di impadronirsi del “brand”. Bitcoin Gold e tutti i successivi fork (con i “bitnomi” più fantasiosi) sono tentativi di creare valore dal nulla usando il nome di Bitcoin. Litecoin ha varie problematiche anche come laboratorio sperimentale. Monero (l’unico progetto con una certa serietà) è ancora meno scalabile di Bitcoin ed esiste ancora solo perché si appoggia a Bitcoin (in modo simile a Litecoin). Zcash è improponibile e “falsamente anonima”. Per Ethereum la questione sarebbe lunga da spiegare ma diciamo che con la sua popolarità sta cominciando ad avere problemi simili a Bitcoin. Le valute con finalità specifiche se non si tratta di utility Token od assimilabili (diciamo qualcosa di equivalente a quote azionarie) della società che li emette, non hanno senso sul lungo termine. Molte (nell’articolo non menzionate) sono truffe e schemi ponzi (c’è addirittura un sito apposito che le cataloga su segnalazione).
Non mi sembra che bitcoin sia l’unica ad avere un futuro e da quello che vedo bitcoincash non mi pare una truffa, non e’ morto e continua a salire, inoltre scusami, ma segwit e segwit2x cosa erano? Sbaglio o sono falliti miseramente come tentativi di sbrogliare la matassa delle transazioni, cosi come lighting network non garantisce l’abbassamento delle commissioni, in quanto altro non e’ che la possibilita di effettuare transazioni non fisiche di bitcoin al di fuori della catena e garantisce un diritto da far valere nei confronti dei miners a transazione conclusa, per l’incasso fisico, una specie di derivato; e’ possibile che all’interno del nocciolo duro del team di sviluppatori di bitcoin core ci possa essere una sorta d’integralismo che porti questi ultimi ad allontanarsi dalle esigenze del mercato? Non e’ un caso che Roger Ver, uno degli imprenditori piu importanti del settore, sia schierato a favore di bitcoincash, a garanzia di maggiore scalabilita’. Christian perdona il mio linguaggio terra terra, ma non sono un infotmatico.