DI SILVANO CAMPAGNOLO
Una delle cose che meno capisco dei parametri usati dagli “economisti col PhD” è questa mania di misurare tutto in funzione del PIL.
Faccio un esempio: secondo i calcoli sempre estremamente enfatizzati dalla stampa italiana, le tasse in italia sono al 43% del PIL. ma il PIL misura solo la quantità totale dei trasferimenti monetari. Quindi il PIL è sostanzialmente una specie di “fatturato” del paese. ed anche piuttosto impreciso (per convenzione la parte totalmente arbitraria del PIL è almeno del 20%).
Le tasse però si pagano sul profitto non sul fatturato.
Quindi la domanda è: quanto è il reale profitto dell’economia italiana? e quanto pesano le tasse che gli italiani pagano in relazione a tale profitto?
Una volta ho cercato di fare un calcolo “a spanne”, il risultato variava da un minimo dell’87% ad un 93% del profitto.
In buona sostanza, gli italiani produttori reali di tasse (specifichiamolo), per ogni 100 euro di nuova ricchezza che producono, si possono trattenere per loro al massimo 13 euro, ma mediamente 10.
Ora date pure colpa alla globalizzazione se le aziende se ne vanno all’estero e continuate pure a “ululare” contro il governo per andare a votare.
La democrazia in italia oggi è un lupo e due agnelli che votano a maggioranza su quale agnello il lupo debba mangiare per primo.
Se ho capito bene come viene calcolato il PIL, se un tizio sposa la sua donna di servizio il PIL diminuisce.
Cosa sia il PIL c’e’ scritto su wikipedia.
PIL=C+G+I+(X-M)
Quello italiano e’ corretto per un 15 per cento in piu’ delle scritture ufficiali (fatture) per comprendere il presunto sommerso, e non in modo “arbitrario” come dice l’articolo.
Chiarito il significato delle parole, cio’ su cui andrebbe posta l’attenzione e’ che G, la spesa dello stato, va tutta ad incrementare il PIL, viene tutta calcolata come tale, e cos’ha di diverso dai consumi finali C ? Ha di diverso che e’ decisa assemblearmente a maggioranza oppure da una busocrazia che si limita a spendere sulla base di inferenze da leggi che quando sono state promulgate non tenevano conto di quale sarebbe stata la spesa che ne derivava (ad esempio una legge che proibisca le buche sulle strade senza porre un tetto di spesa – e’ dell’anno scorso la notizia che il ministero ha girato una circolare ai comuni dicendo che secondo la nuova legge sull’omicidio stradale, se qualcuno si fosse fatto male per causa di scarsa manutenzione delle strade, sarebbero stati incriminati penalmente i responsabili).
Inoltre, anche per la parte riguardante i consumi finali C, c’e’ da considerare che ormai la maggior parte di essi anche quando effettuati da decisori privati, sono costretti, obbligati, imposti, da norme di legge.
Il diluvio, il disastro di leggi impositive che abbiamo, con le quali si accontenta qualsasi idea di qualsiasi lobby basta che ci sia da spendere o obbligare a spendere, ci scommetterei che e’ dovuto in gran parte al fatto che cosi’ lo Stato aumenta il PIL e imbelletta i conti, e tira a campare per un altro anno.
Da cui la camicia di forza in cui siamo costretti e che fa vivere tutti, anche i ricchi e i potenti, malissimo.
Il panettiere vuole comprarsi una giacca nuova che costa 250€.
Peccato che il vandalo (lo paragoniamo allo stato, il quale incomincia a imporre una forte tassazione) gli rompa la finestra e debba farsela riparare dal vetraio. La riparazione costa 250€.
Ora tu vedrai solo il guadagno del vetraio. Ma purtroppo non è così.
Il guadagno del vetraio equivale alla perdita del negozio di giacche il quale a sua volta avrebbe potuto investire quei soldi e avrebbe anche pagato i fornitori. Quindi il guadagno del vetraio si è tramutato in perdita sia per il negozio di giacche che per i suoi fornitori.
Mettiamo che il vandalo rompa la finestra tutti i giorni.
Il vetraio continua a guadagnare e ad assumere anche più personale poiché la finestra viene sempre rotta.
Ecco, tutto il guadagno del vetraio si tramuta in una perdita secca per la società poiché il panettiere non riesce a comprarsi la nuova giacca, il negozio di giacche non riesce più a mettersi da parte i soldi, e non riesce più a pagare né i fornitori, né le varie spese di ordinaria amministrazione. Poiché la ricchezza si basa sull’accumulo di capitale e non sulla continua spesa esosa sostenuta dal panettiere, la spesa pubblica la si può paragonare tranquillamente alla continua rottura della finestra. Mettiamo che il vandalo (stato decida di aumentare le sue tasse fino al 100%) finisca per bruciare il negozio. Il vetraio non ha più la sua fonte di guadagno e deve licenziare i dipendenti assunti in precedenza poiché il negozio non esiste più. Il negozio di giacche ha ottenuto una perdita secca anche esso perché non avrà mai più quel cliente che gli compra la giacca, i fornitori non vedranno il pagamento dovuto alla vendita della giacca.
Il supermercato che gli vende ingredienti per fare il pane avrà un consumatore in meno.
Lo stato non ha più entrate e non può più spendere. Quindi la spesa pubblica non produce ricchezza ed è dannosa per la società.
Posso fare tanti esempi di leva Keynesiana che hanno distrutto intere economie e tagli draconiani alla spesa che l’hanno risollevata. Tipo Margaret Thatcher in UK o Pinochet in Cile. Ah il New deal è stato un fallimento su tutto il fronte. Tutte le tue teorie puoi buttarle nel cesso
“Tutte le tue teorie puoi buttarle nel cesso”
Le tue teorie di chi?
Il lupo che si mangia i due agnelli dopo il voto democratico? Evidentemente perde il PIL ma non il VIZ (Vergognoso Istituto Zelante).
“Le tasse però si pagano sul profitto non sul fatturato.”
Ma in quale fantasioso film?
Le tasse si pagano su tutto: iva, accise, patrimoniali, previdenza, bolli, non hanno nulla a che fare col profitto, e spesso neanche col reddito o il “fatturato”. Sul profitto c’e’ solo quella parte dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche che permette di scaricare i costi, la quale da’ una minimissima parte del gettito complessivo. Gia’ l’irpef normale, quella sulle persone fisiche, non tiene in minima considerazione il “profitto”, si limita a colpire l’incasso.
Occhio che andrebbero considerate tasse, in quanto sono “imposte”, anche tutte le spese obbligate da qualche norma di legge. Anche i libri di scuola dei ragazzi, per dire. E’ considerando anche esse che si arriva ad una “imposizione”, nel senso proprio e completo della parola, del 90 per cento sul reddito e oltre. Quella che va considerata e’ la famosa “intermediazione” dello Stato, che anche secondo i calcoli ufficiali e’ attorno al 90 per cento.
Eppoi c’e’ gente che insiste ancora a dire che siamo un paese libero.
Sfido che la gente e’ sfinita e sta male, pur nel profluvio di beni e servizi, perlopiu’ inutili e propinati a forza solo per sostenere il “sistema economico”.
Io non mi fido dei numeri che il governo, Istat,o altri enti pubblici ci rifilano.
Ancor meno dei valori percentuali.
Ho capito che il Pil è un valore meno che indicativo, viziato, incompleto, fuorviante per tutta una serie di ragioni.
Questo stesso valore ha significati diversi in diversi paesi, e quindi non è raffrontabile.
E’ tutto un ambito aleatorio, approssimativo, manipolato,contraddittorio.
Io non me ne preoccupo.
A me basta vedere quanti negozi ed attività chiudono, quanta scontentezza e difficoltà ci sia tra la gente, quanti cantieri edili fermi o in abbandono ci sono, quante famiglie tengono i loro risparmi in casa e quanto si spenda sempre meno.
A occhio, senza tante statistiche complesse.
Basta chiedere a negozianti, professionisti, imprenditori.
E’ sufficiente una semplice valutazione empirica per capire che quanto ci raccontano non fila.