“Perché allora la gente pensa che l’economia sia un bastione del libertarismo? In parte potrebbe essere dovuto all’istruzione scolastica. Molti corsi di introduzione all’economia insegnano una teoria molto semplice della domanda e dell’offerta, nella quale il libero mercato rende il mondo più efficiente. I corsi base di economia tendono a tralasciare le tematiche più difficoltose, come le esternalità, le asimmetrie informative, l’economia del benessere, che spesso giustificano l’intervento dello Stato. La roba sul libero mercato è semplice, mentre i fallimenti del mercato, ancorché spesso importanti nel mondo reale, sono più difficili da comprendere. Questo finisce per fornire ai ragazzi delle scuole superiori un modo semplicistico, divertente, ma fondamentalmente sbagliato di pensare all’economia”. (N. Smith)
Dopo aver citato alcuni studi che mettono in evidenza che spesso le persone tendono a identificare l’economia con il libero mercato e sono meno propense all’intervento dello Stato rispetto agli economisti (il riferimento è agli Stati Uniti, in Italia non so se si potrebbe affermare lo stesso, e non perché gli economisti siano più contrari all’interventismo), Noah Smith fornisce una spiegazione.
A suo parere, i principali indiziati sono i corsi di introduzione all’economia che vengono insegnati alle scuole superiori. Corsi che si limitano a introdurre i concetti di domanda, offerta e di come si incontrano nel libero mercato, tralasciando aspetti più complessi della materia, come le esternalità, le asimmetrie informative, l’economia del benessere.
In buona sostanza, quella a cui accedono gli studenti nei corsi introduttivi non è un’economia semplificata, ma un’economia da sempliciotti. Per questo la gente pensa che gli economisti tendano a essere libertari. Forzando (neppure troppo) un sillogismo, pare che per Smith un economista libertario sia un sempliciotto. Gli economisti “seri”, invece, sono molto spesso favorevoli all’intervento dello Stato, anzi, lo ritengono necessario.
Quando leggo cose del genere, mi torna sempre alla mente quanto scriveva Murray Rothbard in merito al ruolo degli intellettuali nei confronti del governante di turno. E gli economisti, al giorno d’oggi, sono l’equivalente dell’intellettuale di corte dei secoli scorsi.
Ottenere un ruolo come consigliere del governo (o addirittura un ministero) è generalmente una delle massime aspirazioni degli economisti accademici. Nell’indicare al governante la necessità di un suo intervento in questa o quella materia, magari fornendo un supporto pseudo scientifico a un provvedimento politico che il governante intende porre in essere, l’economista ha molte più probabilità di essere assunto come consigliere rispetto al caso in cui sostenesse che il governo dovrebbe astenersi dall’intervenire. C’è quindi un mutuo interesse tra il governante e l’economista, ovviamente a spese di chi paga le tasse.
Lo stesso, tra l’altro, vale anche semplicemente per accedere a una cattedra nelle università statali, che in diversi Paesi sono la maggioranza.
Non si tratta, quindi, di avere da una parte dei sempliciotti e dall’altra degli scienziati, bensì di individuare dei pretesti per giustificare l’intervento dello Stato definendo fallimento di mercato ogni circostanza nella quale il mercato stesso genera un esito difforme da quello ritenuto “giusto” dal governante o dall’economista che lo consiglia.
Per Smith, comunque, c’è anche un’altra spiegazione:
“Un’altra ragione potrebbe essere il marketing. Molti di coloro che spiegano l’economia alla gente hanno un orientamento libertario… In anni recenti questa influenza libertaria è stata bilanciata da voci più orientate a sinistra… Ma la prevalenza del libertarismo inizia dal marketing, e risale ai tempi di Milton Friedman e Friedrich Hayek a metà del Ventesimo secolo, quindi servirà tempo per essere superata.”
Addirittura il libertarismo sarebbe prevalente, e solo di recente avrebbe iniziato a essere contrastato da voci come quella di Krugman e DeLong. Non sto a entrare nel merito dell’indicazione di Friedman e Hayek come libertari; di certo non lo furono nell’accezione rothbardiana del termine, soprattutto il primo. Ma tutto questo predominio, perfino negli Stati Uniti (men che meno altrove), non credo sia riscontrabile. Né nei decenni scorsi, né oggi.
In ogni caso, meno male che c’è gente come Smith a far luce ai sempliciotti di questo mondo.
Ma nel Michigan c’è un virus che danneggia le menti o siamo semplicemente in presenza dell’ennesimo caso di disonestà intellettuale? Le esternalità. A parte che esistono anche quelle di segno positivo. Non è detto che il colore del muro del mio vicino debba necessariamente danneggiare il mio negozio e non invece portarmi un maggior numero di clienti. Un frutteto può avvantaggiare un agricoltore così come l’apicoltore può avvantaggiare la farmacia. Quelle negative le risolve meglio il mercato piuttosto che l’intervento pubblico. Quest’ultimo non fa che creare maggiori liti tra la gente. Il non
volersene accorgere, dati statistici alla mano, è chiaro indice di semplicistica ottusità. E comunque stiamo parlando di effetti marginali che non inficiano la validità del principio base domanda – offerta. Se ci sarà domanda per limitare le eventuali esternalità negative, come quella di evitare l’inquinamento di un fiume, ci sarà anche l’offerta. Purché non ci sia lo stato a disturbare il meccanismo. Sono proprio i sempliciotti a negare questo meccanismo, abituati come sono a negare l’evidenza. E’ come se scrivessero che la convinzione eliocentrica è causata da un insegnamento troppo semplice che non tiene conto dell’inclinazione dell’asse terrestre. Sulle asimmetrie informative verrebbe da ridere se non ci fossero i suicidi indotti dalle questioni legate a Banca Etruria e Monte dei Paschi di Siena. Se troppi clienti seguono i suggerimenti delle banche centrali nell’affidarsi ai fondi d’investimento è proprio perché c’è una mano pubblica che distorce le informazioni negando la possibilità di pluralità informativa. Parlare di economia del benessere è puro pleonasma. L’ecomomia, quella vera, è sinonimo di benessere. Quando quest’ultimo vuole essere assicurato da un ente monopolistico con l’uso della forza, comincia a scomparire. Per evitare che si scopra la truffa, si assume un atteggiamento linguisticamente provinciale, adottando anglomanie semantiche del tipo “welfare state” o “new deal”. Evidentemente qualcuno è conscio di essere lui il sempliciotto e deve quindi lasciar passare per tale, personaggi come Adam Smith, Bastiat, Say, Turgot, Menger, Pareto, Einaudi… e possiamo aggiumgerci anche Kant nonché il Leopardi dello Zibaldone. Non tutti libertari, certo, ma sicuramente liberoscambisti. “Il predominio dei libertari”. Ma dove lo vede? Non si accorge il michiganese che le accademie, gli organi di informazione, i partiti politici sono quasi tutti keynesiani “de facto” e spesso anche “de verba”? E al potere chi vede? Ron Paul? O forse i Krugman, i Draghi, i Monti, gli Obama? E quali libri di testo legge? I nostri sono tutti un peana all’interventismo, tutti a sostenere che la crisi del 1929 sia stata causata da mancato intervento statale e da pressione fiscale troppo bassa. Se fosse il contrario, il libertarismo avrebbe il consenso di pù dei quattro quintidella popolazione alfabetizzata.Altro che il finto pianto napoletano. Qui siamo in presenza del peggior imbroglio politico. Peggiore di quello che i sinistri insulsi (altro pleonasma, se sono sinistri sono per forza insulsi) portano avanti sostenendo che la causa della crisi mondiale sia l’adozione di presunte politiche neoliberiste dei governi. Ne citino una questi involontariamente autentici sempliciotti babbei. Forniranno materiale per una satira finalmente sensata, non il quacquacquà dei presunti “comici” attuali.
A Napoli dicono: “CHIAGNE E FOTTE”!