La democrazia “liberale” rappresenta l’ultima evoluzione dei totalitarismi del XX secolo, troppo espliciti e vistosamente cruenti per essere tollerati a lungo. Rimasta immutata la fede cieca nella necessità e bontà di un potere statale totale ed onnipresente -unico garante regolatore delle presunte equità sociali e libertà individuali, il più grande artificio è oggi costituito dall’eliminazione di scena del personaggio del “dittatore fisso”, sostituito da comparse provvisorie che si alternano a ritmo di qualche anno. Questo consente di rimarcare una certa distanza dall’assolutismo precedente, troppo vulnerabile a una consolidata retorica oggi patrimonio di tutti, persuadendo i contemporanei di essere guariti dall’orrore, senza rendersi conto di perpetrare ancora gli stessi schemi statalisti e interventisti, ma in forma più edulcorata e quindi socialmente accettata.
In questa nuova forma, l’illusione del controllo del potere da parte del singolo individuo per mezzo di un voto – ridotto alla scelta tra 2-3-4 sfumature di grigio di una stessa paletta di colori stinti, sempre basata sull’introduzione di nuove e più stringenti leggi, in una direzione o in quella opposta, poco importa, mantiene viva la fiducia nella possibilità di riscatto, alimenta la consolazione di un messia che candidandosi alle votazioni sia immediatamente riconosciuto da tutti, venga eletto plebiscitariamente e provveda a raddrizzare il generale declino causato da altri e mai dalla struttura del sistema in sè.
Mentre nei primi “rozzi” tentativi di totalitarismo le libertà individuali e la dignità umana erano sottratte con uno sprezzante uso della forza, sollevando reazioni verso gli strumenti violenti impiegati, in questa nuova spirale discendente è l’inganno a portare consenso verso il potere, l’apparente equità di regole contorte applicate con due pesi e due misure, i tempi di intervento che rendono impossibile misurare gli effetti devastanti di politiche scellerate, proponendo un interventismo emergenziale come unica soluzione ai danni causati dall’interventismo emergenziale precedente, la corruzione di un welfare (vera moneta del voto di scambio) caricato nei costi sull’unica parte produttiva della società, sempre più risicata e aggredita, l’idea di poter vivere alle spalle di chi “egoisticamente” si è dato da fare per costruire qualcosa vivendo del proprio lavoro nonostante la bulimica regolamentazione e non grazie ad essa. In un sistema del genere, dove tutti o quasi godono dei frutti del crimine statale e dove quasi nessuno ha un apparente interesse materiale o spirituale a inseguire la libertà, l’unico reale pericolo non deriva come in passato dalla rivolta delle masse oppresse, essendo queste ultime cieche artefici della propria stessa oppressione, ma dall’ingordigia che da sempre caratterizza il potere, che ha già varcato ogni soglia di sostenibilità del sistema, sorretto ormai solo da disperati artifici monetari e finanziari, che altro non faranno che rendere più rovinosa l’inevitabile caduta.
L’unica possibilità qui, per chi ancora avesse a cuore l’uomo prima che la legge, non è quello di evitare ciò che è impossibile fermare, salvare il salvabile sottraendosi al rovinoso destino che ci stiamo scientificamente costruendo, dando così occasione agli stolti seguaci dell’interventismo economico e sociale di tacciarci di furto e infamia, screditando ogni tentativo di affermazione del principio di libertà. L’unica chance è rimanere qua, dritti in piedi fino all’ultimo, cercando di piantare il seme del tabù del potere, divulgandolo nelle sue forme più semplici e universali, perchè ogni uomo, dopo essere stato coperto dalle macerie del fallimento statalista, sappia vedere cosa ha causato cosa e non cada in tentazione di ricostruire da capo un nuovo regime.
Concordo con Colla
Ci sono molte navi che ancora stanno a galla su cui si può rifugiare, prima che i passeggeri di queste comino a spare ai poveri naufraghi che si stanno avvicinando. Non è cattiveria è solo per evitare di affondare.
L’Occidente non è una nave unica, non è detto che andare in Svizzera significhi andare nel terzo mondo.
Restare, organizzarsi e combattere sono parole vuote se non ci sono le condizioni, i finanziamenti e le armi adatte al combattimento. Significa solo fare la fine del sorcio che non è riuscito ad abbandonare la nave in tempo.
La nave è l’Occidente. Scappare nel Terzo mondo ha senso? E l’accoglienza come sarà?
Non sarebbe meglio restare, organizzarsi e combattere… e morire?
No grazie, i topi scappano quando la nave affonda e loro si che sono animali intelligenti (che sopravviveranno agli uomini).
Ordine mondiale? Sarà anche vero ma neanche gli tsunami arrivano ovunque nello stesso momento e con la stessa intensità; bisogna trovare un porto sufficientemente sicuro ed aspettare. Corsi e Ricorsi storici mi verrebbe da dire. Un grosso ciclo si sta chiudendo, bisogna aspettare il nuovo (purtroppo i tempi precisi non li conosce nessuno o non staremmo tutti annaspando in questo guano).
Unica possibilità è scappare e tornare quando le macerie fumanti avranno seppellito gli stolti che si sono rovinati con le proprie mani. Dare un pezzo di pane a questi pezzenti prendendosi quello che gli è rimasto (ma con il quale non possono sfamarsi).
Gli stupidi tendo ad essere separati dal loro denaro.
Nel contesto di un nuovo ordine mondiale scappare dove? Non sarebbe meglio restare, organizzarsi e combattere?
Ogni volta che si semina, ci sono corvi pronti a mangiarsi il seme. Manca un finanziatore di spaventapasseri.