In Economia

jkj14di PHILIPP BAGUS*

Philip Mirowski, noto per il suo libro More Heat than Light: Economics as Social Physics, Physics as Nature’s Economics in cui critica l’economia neoclassica per aver adottato metodi facenti riferimento alle scienze naturali, ha pubblicato di recente un libro sul neoliberismo e sulla professione economica durante la crisi finanziaria.

In Never Let a Serious Crisis Go to Waste: How Neoliberalism Survived the Financial Meltdown, la sua tesi principale è che la professione economica ha fallito nel prevedere e spiegare la crisi finanziaria. Tuttavia gli economisti mainstream non hanno subito alcuna conseguenza negativa, ma continuano ad operare come se niente fosse.

Secondo Mirowski, l’economia neoclassica, il neoliberismo e la destra politica, sono usciti dalla crisi più forti che mai grazie ad un complicato sforzo di propaganda e ad intricate pressioni politiche per opera del Mont Pelerin Society. Secondo Mirowski, le funzioni del Mont Pelerin Society sono al centro di una complessa rete di conservatori, think tank di libero mercato ed accademici neoliberali che controllano la politica.

L’analisi di Mirowski è interessante, sebbene la sua prospettiva sia di sinistra ed egualitaria. Particolarmente pertinente è la sua analisi e la sua critica dell’economia neoclassica.

Lo stato deplorevole in cui versa la professione economica mainstream

Il pensiero economico neoclassico non è stato in grado di predire la Grande Recessione. Mentre gli economisti neoclassici credevano in una nuova era di stabilità macroeconomica, soprannominata la Grande Moderazione, in cui le banche centrali pareva avessero abolito le recessioni, sono stati colti di sorpresa dagli immensi problemi che il sistema finanziario e l’economia mondiale hanno iniziato a sperimentare nel 2008.

Mirowski spiega questo fallimento come il risultato di una metodologia sbagliata. La scuola neoclassica non è stata in grado di prevedere la grande recessione nonostante i suoi strumenti metodologici, come ad esempio i famigerati modelli dinamici di equilibrio stocastici (DSGE). Poiché secondo i modelli DSGE non c’è praticamente spazio per le crisi, gli economisti neoclassici non solo non sono stati in grado di prevedere la crisi finanziaria, ma non sono neanche stati in grado di spiegarla a posteriori.

Mirowski diagnostica un dissonanza cognitiva nel campo neoclassico. Dato che le teorie neoclassiche non sono state in grado di spiegare la crisi finanziaria, c’è un divario tra la teoria e la realtà. Per colmare questa lacuna, secondo Mirowski i neoclassici hanno reagito aggiustando (o distorcendo) l’evidenza empirica per soddisfare, in qualche modo, le loro teorie.

Invece di riconoscere la necessità di un cambiamento paradigmatico nell’economia, la professione economica s’è ostinatamente attaccata ai suoi modelli matematici. Mirowski descrive accuratamente l’inerzia dell’ortodossia mainstream. Per gli economisti neoclassici, il costo degli investimenti legato al capitale intellettuale è enorme.

La scuola neoclassica, quindi, resta senza orientamento, inciampa e ristagna nella mediocrità. E l’indottrinamento propaga l’ortodossia. Gli studenti vengono fuorviati con libri di testo d’economia al cui interno c’è un pot-pourri incoerente di teorie. Vengono istruiti per leggere articoli brevi pubblicati su riviste altamente specializzate, le quali utilizzano la metodologia mainstream.

In questo contesto, Mirowski sottolinea come tali riviste abbiano smesso di pubblicare articoli sulla metodologia e sulla storia economica in favore di articoli sulla matematica e sulla statistica. Mirowski collega correttamente la matematizzazione dell’economia e la figura degli economisti mainstream come scienziati naturali, e considera questo sviluppo una delle ragioni della crisi finanziaria.

Il problema metodologico

La critica di Mirowski alla metodologia neoclassica descrive come gli economisti tendano ad invidiare le scienze fisiche. A causa di questa invidia, gli economisti hanno iniziato ad imitare il metodo e i modelli della fisica. E’ stato l’approccio matematico usato in fisica che ha reso gli economisti neoclassici incapaci di prevedere la crisi.

La critica di Mirowski non si lascia intimidire dagli economisti neoclassici di sinistra. Coerente col suo approccio, non solo rimprovera Greenspan e Bernanke, ma anche Stiglitz e Krugman. Sebbene ci possano essere differenze ideologiche tra di loro, tutti impiegano modelli DSGE in cui un agente rappresentativo massimizza le funzioni dell’utilità.

Secondo Mirowski è stato il modello DSGE che ha permesso la riunificazione tra microeconomia e macroeconomia, separate a causa della rivoluzione keynesiana. I modelli DSGE hanno permesso l’impiego del metodo matematico nella microeconomia, introducendo agenti massimizzanti l’utilità e un’elevata aggregazione. Mirowski si spinge fino a dire che senza i modelli DSGE, l’economia neoclassica scomparirebbe.

Mentre Mirowski richiede un reset dell’economia e la fine del paradigma neoclassico, non riesce a fornire un’alternativa e non sembra essere a conoscenza dell’approccio prasseologico della Scuola Austriaca. L’alternativa realistica richiesta da Mirowski, esiste già. Gli sfugge anche che grazie al loro approccio realistico, gli economisti Austriaci non sono stati affatto colti di sorpresa dalla crisi finanziaria, la quale è stata “predetta” da alcuni di loro.

Purtroppo l’ignoranza di Mirowski per quanto concerne la Scuola Austriaca è immensa, e possiamo dire la stessa cosa per la sua interpretazione di Hayek e per il suo negletto nei confronti delle opere di Ludwig von Mises e Murray Rothbard; per non parlare del suo negletto nei confronti degli Austriaci contemporanei.

La confusione di Mirowski sulle scuole di pensiero

Il problema principale di Mirowski è la sua confusione quando si tratta di Scuola Austriaca e libertarismo. Egli inserisce nella categoria dei neoliberisti la maggior parte degli economisti neoclassici (con alcune eccezioni per gente di sinistra, come Stiglitz e Krugman). Mirowski incorpora implicitamente anche la Scuola Austriaca nel campo neoliberista.

Ha anche scritto qualcosa sui “neoliberisti hayekiani.” Tuttavia gli Austriaci non sono né neoclassici né neoliberisti. E’ vero che in alcune parti del suo libro Mirowski fa distinzione tra neoliberista e libertario, neoclassico e Austriaco, ma non applica queste distinzioni in modo coerente. Questa mancanza di coerenza produce risultati a dir poco curiosi.

Ad esempio, egli sostiene che l’ipotesi dei mercati efficienti (IME), avanzata dai Chicagoboys, vada a formalizzare la teoria della conoscenza di Hayek. Ciò sembra implicare che Hayek, o altri Austriaci, condividano il metodo degli economisti neoclassici e appartengano al campo neoliberista.

Niente potrebbe essere più lontano dalla verità. La teoria della conoscenza soggettiva di Hayek considera la conoscenza come tacita, privata, soggettiva e decentrata. Una conoscenza soggettiva è fondamentalmente agli antipodi rispetto a qualsiasi trattamento matematico delle informazioni. Più in particolare, la natura creativa della conoscenza imprenditoriale nella tradizione Austriaca è in contrasto con l’informazione oggettiva e data della IME.

La IME afferma che i prezzi di mercato sono efficienti in quanto incorporano tutte le informazioni necessarie. Inoltre afferma anche che un’informazione oggettiva può essere comprata e venduta sul mercato. Eppure ciò che è importante non è un’informazione oggettiva e data, ma piuttosto l’interpretazione soggettiva della stessa e la creazione di una nuova conoscenza imprenditoriale all’interno di un processo dinamico.

I prezzi del passato rappresentano solamente rapporti di scambio storici che servono agli attori di mercato per creare nuove informazioni. Mirowski distorce Hayek quando afferma che secondo quest’ultimo il mercato trasmette la conoscenza di ciò che dobbiamo sapere. Invece Hayek ha sottolineato che i prezzi di mercato ci permettono di utilizzare la conoscenza personale di altri attori di mercato.

Il mercato non trasmette automaticamente la conoscenza di cui abbiamo bisogno, anzi gli attori di mercato devono scoprire e creare ciò di cui hanno bisogno per raggiungere i loro scopi. Ci sono problemi supplementari con il minestrone di Mirowski tra il soggettivismo di Hayek e la IME, il CAPM e il modello di Black-Scholes. Non c’è nulla di soggettivo in un costrutto teorico ricercante l’equilibrio come la IME, il CAPM, o il Black-Scholes.

In tutti questi modelli matematici, tutte le informazioni rilevanti sono già date. Sono, quindi, modelli statici. Mirowski non comprende il punto principale di Hayek: gli imprenditori nel processo di mercato scoprono nuove informazioni. Poiché il mercato è un processo, non è mai perfetto. Gli attori di mercato possono errare o cadere preda d’illusioni; tutto il libro di Mirowski ne è un esempio.

Quando Mirowski arriva a parlare di costruttivismo, abbiamo l’ennesima prova di come non sappia distinguere tra Austriaci e neoliberisti. Mirowski considera i neoliberisti come dei costruttivisti. Allo stesso tempo, include Hayek nel gruppo dei neoliberisti e cerca di conciliare la critica di Hayek al costruttivismo col neoliberismo. Ma come può Hayek essere un contruttivista, lui che ha combattuto contro lo scientismo e il costruttivismo del XX secolo?.

Vienna & Chicago

Il mix implicito tra Scuola Austriaca e Scuola di Chicago è particolarmente problematico. Mirowski sostiene che i neoliberisti sottoscrivono il concetto di ordine spontaneo. Eppure l’ordine spontaneo è un concetto utilizzato soprattutto da Hayek e da altri Austriaci. Al contrario, i neoliberisti della Scuola di Chicago usano il costrutto d’equilibrio come strumento analitico.

Tuttavia tale analisi è fondamentalmente contraria a quella della Scuola Austriaca, la quale è incentrata sul processo di mercato dinamico. In breve, i neoliberisti della Scuola di Chicago non utilizzano il concetto di ordine spontaneo.

Scrittori come Mark Skousen (2006) hanno cercato di colmare il divario tra la Scuola di Chicago e la Scuola Austriaca. Tuttavia questo sforzo s’è rivelato un’impresa impossibile. La differenza principale e fondamentale tra le due scuole di pensiero è rappresentata dal loro approccio metodologico. Gli Austriaci nella tradizione misesiana derivano a priori le leggi economiche attraverso l’assioma dell’azione umana con l’aiuto di alcuni presupposti generali.

Invece di fare esperimenti e guardare al mondo esterno, usano l’introspezione per trovare la verità. Al contrario, gli economisti della Scuola di Chicago che seguono Milton Friedman (1953), impiegano una metodologia positivista. Mentre gli Austriaci sostengono che si ha dapprima bisogno di una teoria al fine di comprendere la storia, i seguaci della Scuola di Chicago cercano di ricavare le leggi economiche dalla storia; applicando a volte l’analisi econometrica.

Mentre gli studiosi della tradizione Austriaca considerano la realtà come un processo dinamico d’interazione umana, i Chicagoboys impiegano modelli d’equilibrio in cui l’imprenditorialità e la creatività sono assenti, per definizione, e il processo di mercato dinamico è bloccato. Mentre gli Austriaci considerano che l’obiettivo di un economista sia quello di capire e spiegare le leggi che governano il processo dinamico del mercato, l’obiettivo dei seguaci di Friedman è quello di fare previsioni corrette.

Mentre gli economisti Austriaci mirano ad una spiegazione realistica del processo di mercato, per i seguaci di Friedman il realismo delle ipotesi è irrilevante. Conta solo il potere predittivo di una teoria. Nel suo libro, Mirowski critica l’approccio dei seguaci di Friedman dicendo che la creazione di modelli per le previsioni è stato un fallimento disastroso, una valutazione che molti Austriaci condividerebbero.

Purtroppo Mirowski non menziona la metodologia Austriaca nel suo libro e non sembra essere a conoscenza di questa alternativa. In relazione a queste differenze metodologiche tra Vienna e Chicago, ci sono i loro punti di vista contrastanti in merito alla concorrenza: mentre gli studiosi di Chicago tendono a sostenere e a mettere a punto leggi antitrust al fine di condurre la realtà più vicino al loro modello di concorrenza perfetta, gli studiosi Austriaci si oppongono all’intervento statale (sotto forma di leggi antitrust) nel processo dinamico del mercato.

L’elevata aggregazione richiesta dai modelli matematici ha anche condotto entrambe le scuole di pensiero ad opinioni opposte sul capitale. Quest’ultimo, che viene associato alla lettera “K” nei modelli dei Chicagoboys, è considerato come un amalgama omogeneo e permanente che in modo sincrono e automatico produce reddito. Il punto di vista sul capitale come amalgama omogeneo e permanente, rappresenta una diretta conseguenza della matematizzazione e della formalizzazione della Scuola di Chicago.

Il punto di vista Austriaco sul capitale è fondamentalmente contrario a quello neoclassico. Infatti c’è stato un intenso dibattito tra Vienna e Chicago sul concetto di capitale. Friedrich Hayek (1936) e Fritz Machlup (1935) hanno criticato Frank Knight per la definizione del capitale come amalgama omogeneo e permanente. La teoria Austriaca del capitale e il punto di vista sulla produzione come processo che richiede tempo, ha permesso agli economisti Austriaci di sviluppare una teoria delle distorsioni intertemporali indotte da un’espansione del credito non coperta da risparmio reale.

La teoria Austriaca del ciclo economico non è compresa dalla Scuola di Chicago, poiché gli economisti neoclassici non hanno gli strumenti teorici necessari; strumenti che non sono in grado di sviluppare con il loro approccio metodologico.

Spiegare i boom e i bust

Di conseguenza differiscono ampiamente anche le interpretazioni della Scuola Austriaca e della Scuola di Chicago riguardo la Grande Depressione (e la Grande Recessione). La Scuola di Chicago, seguace di Milton Friedman e Anna J. Schwartz, sostiene che la gravità della Grande Depressione fu causata da errori commessi dalla Federal Reserve.

Più precisamente, secondo Friedman e la Schwartz la Federal Reserve non espanse la base monetaria abbastanza velocemente durante i primi anni ’30. Seguendo l’interpretazione dei Chicagoboys, Ben Bernanke (2002) ha promesso a Milton Friedman che non avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore, il che spiega la reazione della Federal Reserve nei confronti della Grande Recessione: quantitative easing.

Al contrario, la teoria Austriaca del ciclo economico spiega che la Grande Depressione venne causata dall’espansione del credito degli anni ’20. Reflazionare l’offerta di moneta, secondo il punto di vista Austriaco, disturba il riaggiustamento economico necessario, in quanto stabilizza artificialmente i vecchi investimenti improduttivi e ne stimola di nuovi.

Gli Austriaci spiegano la gravità della Grande Depressione basandosi sulla dimensione dell’espansione del credito degli anni ’20, sui successivi investimenti improduttivi e sugli interventi statali introdotti negli anni ’30 (come lo Smoot-Hawley Tariff Act o il New Deal).

Gli economisti Austriaci non erano accecati dalla stabilità dei prezzi nei primi anni 2000. In realtà, Mises e Hayek misero in guardia contro le politiche di stabilizzazione dei prezzi acclamate da Fisher e da altri monetaristi. In tempi di crescita economica, tali politiche richiedono l’iniezione continua di nuovi capitali, fonte di distorsioni intertemporali.

Grazie alla loro teoria del ciclo economico, gli Austriaci non sono stati colti di sorpresa dalla crisi finanziaria. La stessa cosa non vale per gli economisti di Chicago. Mirowski, quindi, ha torto quando afferma che la professione economica (in toto) non è riuscita a prevedere la crisi finanziaria. E’ vero che nei primi anni del 2000 gli economisti neoclassici, in base al loro approccio metodologico, non hanno potuto sviluppare gli strumenti teorici necessari per comprendere i problemi insiti nell’espansione del credito.

Al contrario, gli economisti Austriaci ce li avevano questi strumenti. Un’altra area di disaccordo tra Chicago e Vienna, che Mirowski non spiega, è la politica monetaria. La maggior parte degli Austriaci favorisce l’abolizione delle banche centrali e l’introduzione di una moneta di libero mercato, come ad esempio un gold standard al 100 per cento.

Gli economisti della Scuola di Chicago non vogliono affidare l’offerta di moneta al mercato, ma sono a favore di una banca centrale che emette denaro fiat. Non considerano la pianificazione centralizzata del denaro un problema, piuttosto una soluzione alla crisi del settore bancario.

Mirowski non sfiora nemmeno tutte queste differenze fondamentali. Ha ragione, invece, quando considera la banca centrale un’istituzione neoliberista. Tuttavia egli sostiene che anche il Tea Party sia fondamentalmente un gruppo neoliberista. Più avanti nel libro descrive la volontà di Ron Paul di abolire la Federal Reserve e di come segua la tradizione di Hayek, il quale è a favore di un free banking. Tuttavia Ron Paul viene affiancato al Tea Party.

Il lettore ne rimane confuso. Perché l’eroe (Ron Paul) di un gruppo neoliberista (Tea Party) vuole abolire un’istituzione neoliberista (Federal Reserve)? Siamo di fronte ad un’altra contraddizione scaturita da una mancata distinzione tra Austriaci e Chicagoboys, o neoliberisti e libertari. Se Mirowski avesse spiegato che Ron Paul è un seguace della Scuola Austriaca, il lettore non sarebbe rimasto sorpreso dalla sua opposizione nei confronti della Federal Reserve.

Ma Mirowski afferma solo che Bernanke appoggia la posizione neoliberista di Milton Friedman. Non riesce a capire che i Chicagoboys e gli Austriaci si trovano su posizioni diametralmente opposte per quanto riguarda questioni fondamentali e che è sbagliato considerarli ideologicamente e metodologicamente vicini.

L’origine della confusione di Mirowski

Da dove nasce la confusione di Mirowski? Perché non fa distinzioni nette tra la scuola di Chicago e quella Austriaca? Ci sono fondamentalmente tre ragioni che possono aver contribuito a questa confusione. In primo luogo, la Scuola Austriaca e quella di Chicago condividono molte idee riguardo il libero mercato. I membri di entrambe le scuole si oppongono al controllo dei prezzi, alla regolamentazione dei prodotti e ai servizi educativi pubblici.

Eppure, come abbiamo sottolineato in precedenza, le differenze abbondano. La Scuola di Chicago favorisce le banche centrali e le leggi antitrust, mentre la Scuola Austriaca no. Se Mirowski avesse guardato alle posizioni libertarie sostenute da molti Austriaci, avrebbe compreso che la maggior parte degli Austriaci è ben distante dalle posizioni neoliberiste della Scuola di Chicago.

In secondo luogo, Hayek divenne professore presso l’Università di Chicago nel 1950. Tuttavia questo fatto non implica che fosse vicino alle idee della Scuola di Chicago. Infatti Hayek divenne professore presso il Committee of Social Thought in Chicago, perché gli economisti di Chicago si opposero alla sua nomina al dipartimento d’economia.

Ciò è comprensibile, poiché Hayek era stato molto critico nei confronti dell’approccio positivista seguito dagli economisti di Chicago. In terzo luogo, uno dei punti che possono più confondere è il Mont Pelerin Society, dove Austriaci e Chicagoboys spesso si riuniscono. A partire dalla sua fondazione nel 1947, esistevano tre scuole di pensiero principali: la Scuola Austriaca, l’Ordoliberalismo e la Scuola di Chicago.

Mises e Hayek erano della Scuola Austriaca, Walter Eucken e Wilhelm Röpke erano ordoliberali, e George Stigler, Frank Knight e Milton Friedman erano della Scuola di Chicago. Sia la Scuola di Chicago sia la Scuola Ordoliberale, possono essere classificate come neoliberiste. Si oppongono al socialismo, ma anche al Manchesterismo, cioè, si oppongono al laissez-faire del liberalismo classico.

Sia gli ordoliberali, che si trovano principalmente nei paesi di lingua tedesca, sia la Scuola di Chicago, favoriscono uno Stato forte per definire il quadro riguardo il mercato e la vita economica. Vogliono anche che lo Stato fornisca una certa sicurezza sociale. Fin dall’inizio c’è stata una certa tensione tra Austriaci e neoliberisti all’interno del Mont Pelerin Society.

Come scrisse Mises nel 1950: “Io ho sempre più dubbi se sia possibile collaborare con l’Ordo-interventismo del Mont Pelerin Society.” Col senno di poi e dal punto di vista della Scuola Austriaca, può essere stato un errore strategico fondare un’alleanza con la Scuola di Chicago e gli altri neoliberisti all’interno del Mont Pelerin Society.

Poiché Austriaci e neoliberisti stanno insieme nel Mont Pelerin Society, autori come Mirowski tendono a confondere il neoliberismo con il libertarismo, e le posizioni della Scuola di Chicago con le posizioni Austriache. Invece di trattare i neoliberisti come amici con una causa comune, gli Austriaci avrebbero potuto cavarsela meglio se avessero considerato i neoliberisti come nemici dei loro nemici; cioè del socialismo.

Gli Austriaci avrebbero potuto chiarire meglio le loro differenze ideologiche e metodologiche in un Mont Pelerin Society senza Chicagoboys e senza altri neoliberisti. La maggior parte degli attacchi di Mirowski contro la professione economica di per sé, o contro il liberalismo, avrebbe perso credibilità. Di conseguenza Mirowski avrebbe dovuto indirizzare la sua critica solo contro la Scuola di Chicago ed i neoliberisti.

* Articolo tradotto da http://francescosimoncelli.blogspot.it/

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Showing 6 comments
  • Alessandro Colla

    D’accordo, “liberista” e “liberismo” sono termini prevalentemente o forse esclusivamente italiani. Ma allora da che parola è stato tradotto, nel disocrso di Mirowski?

  • Ari

    Grazie mille Luca!
    I tre che ho riportato erano purtroppo solo alcuni dei punti per me oscuri dell’articolo.
    Vorrà dire che da oggi mi definirò un “filoaustriaco viscerale”.
    Saluti!

  • Ari

    “…tutti impiegano modelli DSGE in cui un agente rappresentativo massimizza le funzioni dell’utilità”
    “… introducendo agenti massimizzanti l’utilità e un’elevata aggregazione”
    “i neoliberisti della Scuola di Chicago usano il costrutto d’equilibrio come strumento analitico”
    RAGAZZI… OGGI MI AVETE FATTO SENTIRE PIU’ IGNORANTE DEL SOLITO!!!

    • LucaF.

      @Ari
      1) Dynamic Stochastic General Equilibrium
      2) Formule matematiche che genericamente e arbitrariamente aggregano i dati in base all’aspetto utilitaristico perorando perché lo Stato può rendere più efficienti determinati processi economici microeconomici.
      3) La Scuola di Chicago al pari dei neoclassici ritiene che l’economia tenda all’equilibrio della domanda e offerta. Questo implica l’introduzione di misure anti-trust o di parificazione giuspositiva forzata della concorrenza negli scambi tra attori economici.

  • Giacomo Consalez

    non si dice. Non esiste in nessun’altra lingua.

  • Alessandro Colla

    Forse è un problema di ordine linguistico. Il liberismo autentico non dovrebbe prevedere una banca centrale statale obbligatoria. Se qualcuno si definisce liberista per poi sposare un sia pur parziale interventismo, si contraddice. Anche quel prefisso “neo” è fuorviante. Più che sinonimo latino di “nuovo”, sembra voglia significare “difetto”. Io posso anche definirmi giainista. Solo che poi mangio carne, anche se poca; e innaffio con il cesanese. Che razza di giainista sono? Potrebbe esserci anche un problema di traduzione. Come si dice “liberista” in inglese?

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