“Dall’altro lato abbiamo assistito recentemente all’emersione del cosiddetto new liberal consensus, che sostiene (sulla base di una cospicua quantità di dati), che i salari non sono determinati rigidamente da domanda e offerta come prima si pensava, e che le politiche pubbliche possono, e dovrebbero, stimolare i datori di lavoro a pagare di più. Se tu sei un legislatore e questo è il tuo programma, sicuramente non apprezzerai che un datore di lavoro cerchi di sabotarlo dichiarando di non essere tale. È sicuramente possibile separare le due questioni, cioè promuovere l’uso delle tecnologie senza pregiudicare gli interessi dei lavoratori. Ma la sinistra progressista deve puntare su questo, evitando di lasciarsi dipingere come nemica dell’innovazione”.
(P. Krugman)
Uber sta portando scompiglio competitivo nel mercato del trasporto di persone non solo in Italia o nei Paesi più socialisti d’Europa (come la Francia), ma un po’ in tutto il mondo. La faccenda è al centro del dibattito politico anche negli Stati Uniti, e Paul Krugman ha voluto dedicare un suo post al tema.
Krugman sostiene che i liberal americani (in sostanza, sinistrorsi) dovrebbero separare la questione tecnologica, che andrebbe accolta favorevolmente, da quella relativa agli interessi dei lavoratori, a suo dire sottopagati da Uber. Di fatto chi presta servizio non è dipendente di Uber, né è obbligato a fare quell’attività. Ne consegue che, se ritenesse insoddisfacenti le condizioni economiche, potrebbe interrompere il servizio.
Secondo Krugman, però, il legislatore (liberal) farebbe bene a intervenire imponendo condizioni economiche migliori per i guidatori di Uber. E dovrebbe farlo forte di “una cospicua quantità di dati” che dimostrerebbero che “i salari non sono determinati rigidamente da domanda e offerta come prima si pensava”.
Non citando le fonti delle cospicue quantità di dati, non è possibile ovviamente sapere di preciso a quali dati e studi si riferisca. Tuttavia, che i salari non siano determinati dal libero incontro di domanda e offerta è un dato di fatto, soprattutto perché il legislatore si intromette in questa materia da decenni.
Ciò detto, come in tutti i casi in cui l’intervento legislativo distorce i prezzi al rialzo (o al ribasso), si crea un eccesso di offerta (o di domanda) rispetto al caso in cui non vi sia alcun di intervento. Questo è deducibile applicando semplicemente il buon senso allo studio dell’azione umana.
Nel caso spesso dibattuto del salario minimo fissato per legge, esisterà sempre una quantità di persone che non avranno la possibilità di lavorare perché la loro produttività è inferiore al salario minimo. Quanto più alto è il livello minimo fissato per legge, tanto più consistente sarà la disoccupazione involontaria che ne consegue.
Gli stessi liberals devono a un certo punto ammettere che il salario minimo, se alzato eccessivamente, crea disoccupazione. Ma hanno la presunzione di sapere quale sia il punto in cui fissare il livello minimo senza generare disoccupazione. Il problema è che si tratta, di fatto, di una presunzione di onniscienza inconciliabile con i limiti individuali in termini di conoscenze.
In sostanza, si tratta sempre del limite che sconsiglierebbe, a prescindere da considerazioni inerenti la libertà contrattuale degli individui, di intervenire per guidare la domanda o l’offerta dove si ritiene dovrebbero andare. Ma questo né Krugman, né i suoi legislatori di riferimento lo accetteranno mai.
ahahahhahahaha
Ma io il latte da Krugman non lo comprerei mai. Sono sicuro che sarebbe acido. E poi lui spaccia il latte di maiale per latte caprino.
Krugman potrebbe fare con successo il lattaio a domicilio.
Anche tra i lattai ci sono malati di mente.