“I conservatori di oggi insistono nel sostenere che il “big government” è un male. Gli intellettuali libertari, che influenzano la maggior parte delle elite del movimento conservatore, attaccano lo stato da ogni possibile angolo. E gli economisti, nel passato, hanno a volte fornito le munizioni teoriche per le idee libertarie, facendo modelli nei quali i mercati possono sistemare tutto e lo stato fa solo danni”. (N. Smith)
Negli Stati Uniti sono spesso definiti “libertari” più o meno tutti coloro che non sono “liberal” e in qualche misura vorrebbero un ridimensionamento del ruolo dello Stato. Non è difficile capire che per i “liberal”, che sono poi in definitiva i sinistrorsi americani, il fatto di mettere assieme sotto la definizione di “libertari” pere e mele non sia un problema. Anzi, rappresenta un utile metodo per gettare più facilmente discredito sui libertari stessi.
Noah Smith parla spesso di libertari e scuola austriaca di economia, mischiando pere e mele nel primo caso, e nel secondo caso dimostrando di non aver mai letto una sola pagina scritta da un economista di scuola austriaca, limitandosi ad avere come fonti autori tipo Paul Krugman. Un po’ come se per farsi un’idea del cristianesimo si consultasse solo un musulmano fondamentalista.
Come molti accademici, è ragionevole supporre che Smith veda nel “big government” delle big opportunities di carriera. Non c’è quindi da stupirsi se cerca di giustificare l’espansione dello Stato. Né c’è da stupirsi se critica gli economisti della vecchia scuola di Chicago per aver “fornito le munizioni teoriche per le idee libertarie”, evidentemente considerando libertari gli economisti di Chicago e gli esponenti del partito repubblicano statunitense. In entrambi i casi usando a mio parere il termine “libertario” in modo quantomeno equivoco.
Smith fa quindi ricorso a dati OCSE per dimostrare che i Paesi più ricchi sono anche quelli con la maggior spesa pubblica in rapporto al Pil. Dopodiché scrive:
“Dobbiamo credere che i paesi ricchi siano ricchi nonostante abbiano un “big government”?… O dovremmo concludere che il “big government” è un ingrediente necessario affinché i Paesi diventino ricchi?”
A mio parere limitarsi a mostrare un grafico con la spesa pubblica in rapporto al Pil non è sufficiente per trarre conclusioni. In primo luogo perché per ricchezza si intende il Pil stesso, e siccome nel calcolo del Pil ogni centesimo di spesa pubblica equivale ad altrettanto Pil, all’aumentare della prima aumenta anche il secondo, quanto meno inizialmente. In secondo luogo, perché un aumento della spesa pubblica in rapporto al Pil comporta spesso una riduzione della componente privata del Pil stesso e/o un aumento del debito pubblico sempre in rapporto al Pil (se la spesa pubblica è finanziata in deficit).
Il fatto stesso che nel grafico utilizzato da Smith la Grecia sia prima degli Stati Uniti e del Canada (per fare solo un paio di esempi) dovrebbe far venire qualche dubbio all’autore.
Smith cita poi anche uno studio nel quale si cerca di dimostrare che la crescita dello Stato, almeno fino a un certo punto, è benefica.
“La teoria non è molto complicata, e si basa sulla semplice idea che i beni pubblici spingano l’attività economica. Gli Stati che sono più capaci di tassare e regolare l’attività economica, sono in grado di fornire più beni pubblici, e quindi crescono più dei Paesi con Stati deboli.”
Quello che Smith (al pari dell’autore il cui studio utilizza) non dice è che il sogno del perfetto regolatore è quello di ogni socialista, ma non risulta che nei Paesi socialisti ci sia stata un’esplosione di benessere. E questo anche volendo prescindere, cosa che non andrebbe fatta, dalle considerazioni sulla compressione della libertà degli individui.
Prosegue Smith:
“Se guardate alla storia di Stati Uniti, Europa Occidentale e Giappone, vedete che gli elettori hanno ripetutamente scelto leaders che volevano espandere il raggio d’azione dello Stato.”
Direi che se si guarda ai problemi attuali di Stati Uniti, Europa Occidentale e Giappone, diversi sono riconducibili all’espansione del raggio d’azione dello Stato. E in effetti sono aree ingolfate di debito pubblico e, soprattutto in Europa e Giappone, da uno stato sociale già in bancarotta (negli Stati Uniti, tuttavia, si stanno impegnando per colmare il gap con il vecchio continente). Proprio in virtù delle tante spese che conquistano l’elettore di oggi a danno del contribuente di domani.
Un concetto che conferma l’intuizione di Frederic Bastiat, secondo il quale “lo Stato è la grande illusione attraverso la quale tutti cercano di vivere alle spalle di tutti gli altri”. A maggior ragione se gli altri non possono ancora votare e magari sono ancora nati.
Smith, bontà sua, ammette che “lo Stato può diventare troppo grande.” Ma par di capire che non sia un problema attuale. “Gobba? Quale gobba?” Disse Marty Feldman interpretando Igor in Frankenstei Junior.
Però devo ammettere che senza le teste dure questo sito, forse, neanche esisterebbe.
Non so proprio come si possa affermare che siano più ricche le nazioni con la maggiore spesa pubblica. Se si riferiscono all’area scandinava omettono di dire che lì il 93% del settore istruzione è in mano privata. Dalla culla alla tomba ma senza passare per la scuola. L’area oberatissima di spesa pubblica,quella mediterranea (Italia e Grecia in testa), sarebbe più ricca della Svizzera? L’attuale Germania avrebbe una spesa pubblica superiore a Italia e Grecia? La Corea del Nord, dove tutto è spesa pubblica, è ricca? Cuba è ricca? Non dicano lor signori che questi ultimi due esempi riguardano economie comuniste perché anche l’esempio italo – ellenico lo è. E se continua così, lo sarà l’intera Unione Europea. Quanto alla reazione scomposta del keynesiano di fronte all’evidenza, lo avevo preannunciato a Nlibertario tre giorni or sono: si rifiutano di guardare nel telescopio per non voler ammettere che le stelle esistano e che il nostro sia un sistema eliocentrico. Con i fascisti è inutile parlare. Se appartengono alla corrente di sinistra del fascismo (marxisti, colllettivisti di orientamento vario, luddisti e statolatri in genere) è inutile anche ascoltarli. Se per ragioni di buona creanza ci si trovi costretti dalle circostanze, si adotti un titolo di Eduardo De Filippo: Ditegli sempre di sì (mi sembra “Cantata dei giorni pari” ma se mi sbaglio mi si corregga, grazie).
E’ vero, me l’avevi preannunciato. Ma che posso farci? Sono una testa dura, amo il pericolo ;-)
Ieri ho fatto il grave errore di cercare il dibattito con un keynesiano. Gli mostrai l’articolo sulla crisi del ’20-’21 e per tutta risposta si è messo a insultare, non portando uno straccio di argomento.
Sì, credo proprio che sia malafede.
Per via dei tassi manipolati, l’imprenditore sceglie il prestito bancario anziché il capitale azionario. La banca e lo Stato non sono soci in affari?