“Finalmente ora è diventato incontestabile che la ricchezza economica degli ultimi anni s’è in gran parte basata sul debito invece che su un’economia di produzione, e che lo stato di insolvenza, più eufemisticamente denominato “default” quando si tratta di Stati, si è trovato in una dimensione globale, ma senza una globale disciplina”. (G. Rossi)
Prendendo spunto dalla interminabile crisi della Grecia, Guido Rossi individua nella assenza di una disciplina globale per la gestione dei fallimenti degli Stati una delle cause del protrarsi della crisi. Ovviamente il tutto gli serve per invocare, come è solito fare, progetti legislativi sovranazionali che ristabiliscano la supremazia della politica sul mercato.
Che il mercato sia la forza dominante a livello globale può sostenerlo solo chi distorce il significato stesso di mercato, fornendo una rappresentazione dei fatti che non corrisponde alla realtà.
Rossi afferma che “è diventato incontestabile che la ricchezza economica degli ultimi anni s’è in gran parte basata sul debito invece che su un’economia di produzione”. Ciò corrisponde al vero, ma la moltiplicazione del debito non corrispondente a risparmio reale non è un fenomeno spontaneo, bensì dovuto a precise legislazioni. Sono provvedimenti legislativi, praticamente in tutto il mondo, ad assegnare alle banche centrali il monopolio legale dell’emissione e gestione della moneta. E sono altri provvedimenti legislativi a stabilire il corso legale delle monete. Il sistema della riserva frazionaria mediante il quale le banche commerciali moltiplicano i depositi è regolato da provvedimenti legislativi e disposizioni delle autorità di vigilanza (che sono poi le banche centrali di cui sopra).
Quanto alla gestione dei fallimenti di Stati, secondo Rossi il problema (non è la prima volta che lo afferma) è la prevalenza del “contratto” sulla “legge”.
“Tutto si basa sui rapporti creditore-debitore, la cui disciplina riesce comunque a trovare molto sovente ben strutturate scappatoie, come nella governance finanziaria, quando il “contratto” prende il posto della “legge”. Non diverse ambigue motivazioni tengono in piedi, anche nel sistema di regolamentazione globale privatistica chi, come le grandi istituzioni finanziarie, alimenta la ricchezza col debito e si sottrae all’adempimento dell’obbligo di restituzione, giustificato dall’essere sia “troppo grande per fallire” (too big to fail), sia “troppo grande per la galera” (“Too big to Jail”).”
E ancora:
“Se è vero che nella precedente globalizzazione economica medievale le regole furono dettate dalla cosiddetta lex mercatoria, cioè la legge dei mercanti, non dunque la legge dei sovrani, le regole dei mercati finanziari, con inquietante analogia, costituiscono il moderno diritto della globalizzazione, cioè questa novella lex mercatoria, che sta avendo il sopravvento sugli ordinamenti giuridici degli Stati nazione. Neppure è un caso che l’antica lex mercatoria, che ebbe come base gli Statuti delle città medievali europee, avesse come istituti fondamentali del proprio ordinamento lo stato di insolvenza e il fallimento. Pare ovvio che, proseguendo nell’analogia, lo stato di insolvenza e il fallimento, sia nel pubblico sia nel privato, debbano essere anche oggi assoggettati a risolutive riforme quale atto preliminare per la soluzione dell’attuale crisi.”
Pare, dunque, che il problema consista in una prevalenza di una novella “lex mercatoria” sulla “legge dei sovrani”.
A mio parere Rossi farebbe meglio a sostenere che le “leggi dei sovrani” (leggi fiat) attualmente in vigore non sono quelle che vorrebbe lui e che emanerebbe lui se fosse nella posizione di farlo. Il problema non è che il contratto prende il posto della legge (intesa come la intende Rossi). Allo stato attuale tutto ciò che viene regolato da un contratto non può in ogni caso essere in contrasto alle leggi fiat in vigore (e questa non è certo prevalenza del mercato!).
Sia il “too big to fail”, sia il “too big to jail” sono fenomeni riconducibili a norme di legge in essere, non certo al libero mercato (che non può dirsi tale se si esclude per qualsivoglia soggetto la possibilità di fallire).
Tutto diventa più chiaro con questo (sconcertante) passaggio:
“Son proprio gli Stati nazione che hanno da decenni facilitato e a volte imposto le regole del “laissez faire”, istituto determinante della ideologia e della politica neoliberista di austerity imposta dall’Europa e dalla governance finanziaria globale. L’ordinamento europeo è infatti tuttora strutturato su un’unione monetaria e non fiscale-economica, né politica.”
L’Europa patria del “laissez faire”, addirittura “imposto” per legge. Quella stessa Europa che pretende di stabilire anche le dimensioni e le forme degli ortaggi? Proprio quella.
Ogni ulteriore considerazione credo sarebbe superflua.