“Chi è contrario al quantitative easing, teme che l’allentamento porti inflazione: strana come posizione visto l’attuale rallentamento dell’economia europea. E teme che gli acquisti obbligazionari possano preparare il terreno a un’altra bolla e a un’altra crisi, e anche questa preoccupazione è curiosa con le rigide regolamentazioni che sono state adottate per governare i mercati finanziari. L’obiezione più sostanziale è che con l’allentamento, i governi europei si sentiranno meno pressati a varare le riforme… In realtà, chi muove questa obiezione – che rappresenta il maggiore ostacolo a un’azione radicale da parte della Bce – ha invertito i termini dell’analisi. Attualmente, con il tasso di inflazione pericolosamente vicino a zero, i governi sono riluttanti a fare tutto ciò che potrebbe aumentare il rischio di deflazione. E il consolidamento fiscale e le riforme strutturali sono entrambi deflazionisti nel breve termine”. (B. Eichengreen)
Barry Eichengreen, professore di Economia e Scienze politiche alla University of California di Berkeley, sostiene che l’area euro abbia bisogno di un QE sui titoli di Stato. Dato che si tratta di una posizione non certo originale, Eichengreen cerca di portare una variante sul tema della deflazione.
Elencando i motivi per cui vi sono ancora dei contrari (soprattutto in Germania) al QE sui titoli di Stato, indica il perché si tratti di timori infondati. Sostiene, quindi, che non vi sia da temere l’inflazione dei prezzi al consumo. In effetti questo fenomeno non si verifica certo come prima conseguenza dell’espansione monetaria, a maggior ragione quando essa prenda la forma di monetizzazione del debito. E’ lo stesso motivo per cui la crisi ancora in corso è iniziata: la crescita dei prezzi al consumo era a livelli contenuti, nonostante politiche monetarie espansive. Questo non significa che quelle politiche non avessero effetti sui prezzi in generale, anche su quelli al consumo. Semplicemente le spinte rialziste erano contrastate da altre circostanze che avrebbero molto probabilmente generato una tendenza ribassista sui prezzi al consumo (per esempio i prodotti a basso costo provenienti dai Paesi emergenti e quelli ad alta tecnologia) in assenza di politiche monetarie espansive.
Prima che gli indici dei prezzi al consumo inizino ad aumentare in misura significativa, però, si formano bolle sui prezzi di asset finanziari e reali. Eichengreen minimizza anche questo rischio ricorrendo all’argomento della vigilanza “macropridenziale”, ossia quella connessa alla regolamentazione. Ma non si può certo dire che le regole mancassero prima del 2007, né che quelle attualmente in vigore abbiano ridotto la possibilità che si formino bolle. Anzi, la monetizzazione del debito da parte di una banca centrale è una sorta di istituzionalizzazione della formazione di bolle.
Quanto a quella che Eichengreen definisce “l’obiezione più sostanziale”, ossia l’azzardo morale da parte dei governi che, in assenza di pressioni sui rendimenti dei titoli di Stato, sarebbero reticenti a sistemare i conti pubblici e a fare le famose riforme (qualunque cosa ciò voglia dire in concreto), ci troveremmo addirittura di fronte a una inversione dei termini dell’analisi. In sostanza, i governi sarebbero restii a fare riforme e sistemare i conti perché ciò avrebbe conseguenze deflattive nel breve periodo.
Che questa argomentazione sia infondata lo dimostra il fatto che in passato, pur in presenza di crescite degli indici dei prezzi al consumo anche al di sopra dei target delle banche centrali, non si sono fatte né le riforme, né si sono sistemati i conti pubblici, dato che il famoso (o famigerato) spread nei confronti dei rendimenti dei Bund tedeschi era a livelli irrisori.
Però posso capire Eichengreen: qualcosa bisogna pure inventarselo, altrimenti non rimangono altri argomenti se non l’unico che, per lo meno, sarebbe sincero. Ossia che il QE serve a svalutare il cambio e a inflazionare il debito, ossia a tassare surrettiziamente chi debiti non ne ha e non può neppure indicizzare le proprie entrate. Redistribuzione pura e semplice, senza dover sfoggiare strumenti desueti come falci e martelli.
Ho visto che in vari articoli in giro per la rete gli Austriaci vengono etichettati come contrari all’inflazione. Visto che questa parola per i più ha il significato di ‘aumento dei prezzi al consumo’, e questo nelle statistiche governative non aumenta più di tanto da decenni oramai, gli Austriaci appaiono come gente che ha paura dei fantasmi e questo qualifica tutta la scuola come tutto sommato una setta di fanatici.
Si dovrebbe invece stare attenti far passare di più il concetto che gli Austriaci sono in realtà contrari a ogni forma di redistribuzione (tra cui anche l’inflazione Austriacamente intesa, ma eviterei il più possibile di citare la parola oramai deformata nella percezione comune).
Io ho 50 anni e l’inflazione galoppante degli anni ’70 me la ricordo benissimo. E non era un bel vivere!!!
Meno QE, più libertà.
Ci pensa il settore privato a creare ricchezza.