Si narra che quando Zenone di Elea spiegava in pubblico i suoi famosi paradossi sull’impossibilità logica del moto, alcuni smaliziati filosofi che stavano ad ascoltarlo, si limitavano, senza proferire parola sull’argomento, a spostarsi di quel tanto di distanza che li separava da Zenone, poggiandogli una mano sulla spalla, come per dire: “Tu sei la tartaruga, io Achille e, nonostante la correttezza logica del tuo assunto, ecco qua, ti ho appena raggiunto, forse è un’illusione, ma tant’è!”.
Non conosciamo come Zenone reagisse alla scena, c’è da dire, tuttavia, che aveva a che fare con una platea di educati e morigerati ascoltatori. Persone meno pazienti e docili, di questi tempi, gli avrebbero potuto dimostrare la stessa cosa sparandogli un colpo in pieno petto con una pistola, tanto se è un’illusione il moto. Il proiettile è come Achille o la freccia dei suoi paradossi, Zenone è la tartaruga, impossibile, secondo la sua logica, da raggiungere e quando il proiettile va a segno è solo, quindi, un’illusione, la logica è salva, anche se Zenone muore.
Ci deve essere, in fondo, una certa problematicità tra la logica delle cose e il loro esplicarsi reale! oppure no? E’ soltanto un problema di sguardi, un punto di vista, un approccio di out-put che funziona solo entro delimitati campi ed in altri neanche per illusione? Come regolarci, tra una funzionalità logica rigorosa ed un reale che, non sempre, vi aderisce in modo solidale?
Una situazione come quella appena descritta su Zenone può essere quella che tiene spesso in polemica fra di loro i fautori di una società senza Stato e coloro che, invece, ne auspicano al massimo una forma ridotta ai minimi termini e per questo detti: miniarchici. Su un piano del tutto intellettuale è quasi inutile rimarcare come la stessa idea di Stato minimo è una contraddizione in termini, purtuttavia, proprio come gli ascoltatori di Zenone che attraversavano la distanza tra loro ed egli per dimostrare la possibilità di colmarla, come ci spostiamo nel reale, uno Stato, per quanto limitato, ce lo troviamo sempre in essere, come una maledizione. Che il problema sia, dunque, avere la forza di non concettualizzarlo mai uno Stato minimo?
Anche dal punto di vista prettamente individuale, nella vita di un libertario, il suo essere senza Stato è una pura vision, la quale, come si sposta sul piano dell’esserci si ritrova ad essere una miniarchia di fatto. E non vi è soluzione alla cosa, che tutto possa risolversi in una illusione non cambia minimamente il quadro della situazione, potremmo infine dire che: libertario è chi libertario fa, nonostante la porzione di Stato con la quale si trova ad interagire di fatto ogni volta che si è immersi nel mondo cosiddetto reale.
“Non ce l’ho fatta, quest’oggi, ad essere un anarchico individualista fino in fondo, c’è sempre un cavolo di Stato che, quotidianamente, ovunque io vada, sta lì a mettermi i bastoni fra le ruote”, sembrerebbe la battuta di un film di Woody Allen, ma non è nient’altro che la lucida sensazione che ogni libertario prova, spesso, da una vita, anche più di una volta al giorno. La sua vita senza Stato incontra le stesse resistenze del paradosso di Zenone, ma il libertario sa che tutto il resto, compreso ciò, può essere solo un’illusione.
il paradosso logico di Zenone sul movimento è stato risolto già da un po di tempo (ovviamente sempre da un punto di vista logico/matematico) con i limiti e le serie.
La somma infinita di una sequenza di numeri può essere un numero finito (in questo caso si parla di serie convergente), quindi all’infinito Achille raggiungerà la tartaruga.
bye
Quando ci sono i princìpi lo stato non serve.
O se preferite, lo stato è una carta di princìpi (2) e il libero mercato è il suo governo.
Il principio viene prima dello stato.
Forse si dovrebbe proprio smettere di usare il vocabolo “stato” perché può significare tutto e niente. Roba da filosofi.
Anche i popoli senza Stato, quelli diasporici o quelli tribali sono caratterizzati da strutture sociali autoritarie.