L’avanzamento inarrestabile dello Stato nella vita degli individui ostacola lo sviluppo e produce una burocrazia asfissiante, inflazione, disoccupazione e debito pubblico.
“Libertà non significa solo che l’individuo ha sia la possibilità sial’onere della scelta; significa anche che deve subire le conseguenze delle proprie azioni e che per esse incontrerà biasimo o lode. Libertà e responsabilità sono inseparabili”.(Friedrich A. von Hayek)
L’attributo più importante degli esseri umani, insieme a quello della loro trascendenza, è la libertà. Infatti, l’uomo è nato per essere libero e senza questa condizione fondamentale e inalienabile della libertà non può esistere il diritto naturale della dignità umana. Pertanto, questa semplice ragione sarebbe sufficiente a formare una credenza in tutti gli esseri umani che la libertà non può attendere, perché la vita passa molto in fretta e non possiamo perdere questo dono essenziale di cui il Creatore há dotato l’uomo: il dono della libertà piena, naturalmente governato da sani principi morali. Purtroppo, da tempo immemorabile, ma soprattutto in epoca attuale, molti uomini non riescono a capire l’importanza della libertà e spesso sono fuorviati da credenze sbagliate e ideologie che conducono a ciò che Hayek giustamente ha definito negli anni ’40 del secolo scorso come la “via della schiavitù”.
Questa superstizione cieca, questa credenza secondo cui lo Stato può e deve guidare le nostre scelte e la nostra vita, deve imporre ciò che potremo o non potremo fare, ha portato milioni di persone a vivere come veri schiavi – servi mansueti del potere esercitato su di loro da altri – che li costringono a vivere senza godere di quell’ elemento essenziale che è la libertà e, quel che è più grave e preoccupante, senza nemmeno percepirlo. A rigor di logica, risale a Platone il dogmatismo dogmatismo secondo cui alcuni “illuminati” con in mano il potere político dovrebbero determinare ciò che è meglio e ciò che è peggio per i cittadini. Con la Rivoluzione francese e Il progresso delle idee socialiste, questo dogmatismo è cresciuto, per poi culminare negli esperimenti totalitari che hanno caratterizzato il XX secolo. In economia, l’accettazione delle idee di Keynes e la diffusione dei sofismi della “democrazia sociale” e del Welfare State, per cui lo Stato dovrebbe correggere un presunto “fallimento del mercato”, hanno finito per aggravare l’asservimento dell’individuo verso lo Stato che caratterizza il mondo di oggi.
Questa visione distorta del mondo reale è stata accettata dalla maggior parte dei governi e delle popolazioni, anche dopo lo scoppio della crisi globale che si è verificata nel 2007 in tutto il mondo. Stranamente, molte “diagnosi” della crisi insistono sulla presunta “mancanza di regolamentazione”, in particolare, da parte dei governi e delle banche centrali. È triste e scoraggiante constatare che vi è una totale confusione
tra ciò che è la causa e ciò che è l’effetto. Come avviene in medicina, diagnosi errate portano a cure sbagliate anche per le “malattie sociali”. Così, i “rimedi” suggeriti consigliano ancora maggiore presenza dello Stato nella nostra vita. Un disastro completo! Per questi e altri motivi il liberalismo non può attendere più.
Tra le molte altre conseguenze della idea sbagliata che ló Stato può proteggere la nostra vita, c’è il “furore” fiscale che in tutto il mondo è salito alle stelle durante il secolo scorso e continua a crescere ancora oggi. Un altro segnale che gli individui stanno diventando sempre più schiavi dello Stato. In effetti, Il tasso di imposizione sulle società ha raggiunto il 37% del prodotto interno nella Zona Euro, il 40% negli Stati Uniti e incredibilmente il 53,20% in Italia. In Brasile, il paese in cui vivo, ló Stato ci impone di lavorare fino al 27 maggio di ogni anno per pagare tutte le tasse che sostengono una burocrazia inefficiente e ingombrante; oltre questo fardello, dobbiamo pagare per avere l’assicurazione sanitaria e la previdenza privata, nonché per l’istruzione e la sicurezza, perché i servizi che lo Stato fornisce sono di scarsa qualità. Tornando all’Italia, è sconcertante che l’aliquota sul reddito raggiunge 51% del prodotto interno e la tassa di previdenza sociale il 45% (cfr: http://it.tradingeconomics. com/country-list/corporate-tax-rate).
L’avanzamento dello Stato nella vita delle persone produce altri effetti nocivi, come l’inflazione, il debito pubblico, la disoccupazione e innumerevoli ostacoli alla libera impresa e quindi a lo sviluppo, ma in questo articolo mi concentrerò solo sugli effetti devastanti della crescita del carico fiscale.
In primo luogo, tutti i liberali hanno il dovere di avvertire che ogni euro versato al governo sotto forma di imposta significa che questo valore non sarà più nelle mani di coloro che ló hanno prodotto con il sacrificio, il lavoro, l’intelligenza, il rischio, il sudore, ecc. Semplicemente, questo euro sarà nelle mani di burocrati e funzionari di governo, le cui scelte soddisferanno i criteri politici, lontani dai criteri dell’ efficienza nell’allocazione delle risorse. Ma il problema non è limitato a questo. Anche se i criteri di scelta dei burocrati fossero guidati dall’ efficienza, non avrebbero mai potuto essere migliori rispetto alle scelte guidate liberamente dall’ azione umana degli individui che hanno prodotto il valore rappresentato da quel Euro. In secondo luogo, la crescita della voracità fiscale dello Stato incoraggia l’evasione e l’emergere di mercati paralleli illegali. Questa scoperta divenne nota negli anni ’80 come la Curva di Laffer, un apparato teorico sviluppato dall’economista Arthur Laffer, un consigliere del presidente Ronald Reagan e che ha dato sostegno alla cosiddetta politica di “supply side economics”, caratterizzata dalla riduzione della pressione fiscale e che ha prodotto dei buoni risultati, come ci si aspettava. Sebbene gli economisti della Scuola Austriaca si oppongono all’uso di “curve” e “funzioni matematiche”, sapendo che l’azione umana non può essere subordinata a quei criteri severi che disciplinano le scienze naturali, il messaggio di Laffer, tuttavia, è positivo: se il governo aumenta le aliquote nel
corso del tempo, ci sarà un momento in cui le entrate fiscali non aumenteranno più, anzi inizieranno a diminuire, perché i contribuenti saranno incoraggiati a fuggire dalla schiavitù imposta allo Stato.
A proposito, l’espressione “contribuenti”, dal mio punto di vista, è totalmente sbagliata, perché non si può chiamare “contributo” un pagamento coercitivo; quindi il verbo più corretto non è “contribuire”, ma “pagare”, perchè in realtà si tratta di spendere i nostri soldi in tasse obbligatorie. È bene avere sempre questa domanda in mente: lo Stato ci impone di pagare e ci chiama “contribuenti”? Paghiamo in quanto obbligati a farlo, ma non siamo idioti o stupidi… Inoltre, come giustamente ha scritto l’economista argentino Alejandro Antonio Chafuen, “non tutte le tasse sono giuste e non tutta l’evasione è ingiusta”. E senza dubbio, in molti casi si può dire che l’evasione fiscale (che è considerata un crimine da coloro che vivono con i nostri soldi) non è un crimine, ma un chiaro caso di autodifesa dei nostri legittimi diritti di proprietà. Terzo, la storia è ricca di casi in cui l’ aumento delle entrate dei governi genera spese pubbliche future più alte che, a loro volta, richiederano un’ulteriore crescita del fabbisogno e così via, in una palla di neve in cui cittadini e imprese, di generazione in generazione, vengono progressivamente depredati dallo Stato oppressivo e inefficiente. A questo proposito, è famosa la Legge di Reagan, in cui si afferma che “ogni tassa genera le proprie spese”. Ogni persona responsabile gestisce il proprio denaro in modo austero e con parsimonia; allo stesso modo, gli imprenditori gestiscono le proprie risorse con austerità e cautela. Al contrario, gli uomini di Stato si occupano dei soldi di altre persone – anche se, curiosamente, le chiamano “risorse pubbliche”. Sicuramente noi viviamo in un mondo di illusioni costruite da politici guidati dai consigli “scientifici” di economisti interventisti.
Ancora il liberalismo non può attendere. Ma questo non è tutto. Ciò che rattrista ulteriormente questo scenario è che la maggioranza dei cittadini ritiene che lo Stato può fare di più per loro rispetto a quanto possano fare loro stessi; questo atteggiamento impedisce lo sviluppo individuale e perpetua l’arretratezza di regioni e interi paesi. Ho potuto verificare personalmente gli effetti negativi di questo atteggiamento quando ho avuto l’opportunità di visitare la Calabria, la mia terra di origine; una regione potenzialmente ricca, ma che ha una popolazione che sfortunatamente coltiva una fede cieca nello Stato. La Calabria che ho incontrato è molto simile a quella Calabria di quasi un secolo fa, quando i miei avi emigrarono per sfuggire alla povertà. Cito l’esempio della Calabria per due ragioni: la prima é che scrivo per una rivista calabrese, la seconda è che è un esempio che mi tocca dal punto di vista emotivo. Ma non è diverso in Brasile né nel resto mondo.
C’è bisogno di aumentare la consapevolezza del fatto che siamo i padroni della nostra vita e che lo Stato non è il nostro signore, né il nostro proprietario, ma il nostro servo. E un servo infedele, perché ci deruba spesso. Bisogna impiegare del tempo per diffondere le idee di libertà tra il maggior numero di persone possibile, perché la libertà non può attendere oltre. Facendo questo, sono convinto che svolgeremo un compito morale molto importante, che è quello di eliminare la miseria e la povertà.
*Università dello Stato di Rio de Janeiro (BR)
ARTICOLO Pubblicato nella Rivista Liber@mente: La Rivista Aperta di Informazione e Diffusione di Conoscenza, numero 2/2014, Giuglio-Settembre di 2014, editata da Fondazione Vincenzo Scoppa, Catanzaro, Calabria, Italia, www.fondazionescoppa.it