“Chi non sarebbe contento se i prezzi scendono e rimpolpano il potere
d’acquisto dei redditi? Ma questa “ragionevolezza” è un altro esempio di
“fallacia della composizione”: quel che è buono per un individuo non è
necessariamente vantaggioso per la comunità. La deflazione intralcia
l’allocazione delle risorse: spostare capitale e lavoro tra settori è ha
bisogno di un po’ di inflazione che agisca da lubrificante. La deflazione
incoraggia l’attendismo nella spesa, e i rimandi tolgono carburante
all’economia. La deflazione rende più pesante per i debitori restituire il
capitale… Cosa dovrebbe fare la politica monetaria in questa situazione?
C’è un amuleto contro la deflazione: creare moneta.” (F. Galimberti)
Non è una novità che Fabrizio Galimberti sia convinto che l’inflazione,
entro certi limiti (ovviamente arbitrari), sia benefica. Per dimostrare
l’indimostrabile, ricorre ad argomentazioni che possono essere utilizzate
simmetricamente, ma pare non rendersene conto.
Premesso che nell’aggregare le situazioni di soggetti diversi si entra
sempre su un terreno scivoloso, essendo soggettive le valutazioni di
utilità dei singoli, l’argomento della “fallacia della composizione” può
essere usato anche nel senso opposto a quello preferito da Galimberti. Lui
ritiene che un po’ di inflazione sia positiva, ma è evidentemente che anche
quel po’ (sempre arbitrario) conferisce benefici a taluni e danneggia
altri.
Anche l’inflazione, quindi, distorce l’allocazione delle risorse: spinge
capitale e lavoro nei settori dove tendono a formarsi bolle e induce ad
anticipare spese al solo scopo di evitare un ulteriore aumento dei prezzi.
E se è indubbiamente vero che la deflazione rende più pesante per i
debitori restituire il capitale, è altrettanto vero che l’inflazione rende
più leggero il capitale ottenuto in rimborso dai creditori.
L’idea che serva una certa dose di inflazione per “lubrificare” il sistema
economico è dovuta, da un lato, alla considerazione che certi prezzi siano
rigidi al ribasso (un fenomeno non certo spontaneo); dall’altro, a un
pregiudizio favorevole ai debitori, che però non trova alcuna
giustificazione.
Resta il fatto che l’inflazione non è un fenomeno endogeno del mercato,
bensì un elemento esogeno dovuto alle politiche monetarie espansive.
Quindi, tornando al punto di partenza, se è vero che tanto con la
deflazione quanto con l’inflazione c’è che ottiene benefici e chi è
danneggiato, ciò che si può affermare con certezza è che nel caso
dell’inflazione l’effetto redistributivo è sempre attribuibile a un
intervento esogeno al mercato.
Ovviamente Galimberti ritiene che per contrastare la deflazione ci sia un
“amuleto”: creare moneta. E se qualcuno gli facesse notare che finora ne è
stata creata parecchia, ribatterebbe che non ne è stata creata abbastanza.
E non lo sarà finché non annegheremo nel “lubrificante”.
La cosa assurda è che, nella stragrande maggioranza dei casi, i sostenitori delle politiche interventiste e inflazionistiche sono anche coloro che dicono di voler “aiutare i poveri”, non sapendo che l’inflazione danneggia soprattutto la povera gente.
Questo Galimberti si è mai chiesto quanto una sana deflazione potrebbe aiutare i ceti più deboli ad acquistare i beni di prima necessità (e non solo)?
Se l’inflazione è il lubrificante speriamo che il motore grippi
“Galimberti ritiene che per contrastare la deflazione ci sia un “amuleto”: creare moneta.”
Galimberti, chiunque sia, è un altro di quelli che credono nella magia.