“Se, per avventura, una banca centrale utilizzasse il famoso “elicottero” di Milton Friedman e gettasse sul popolo grato pacchi di banconote per mille miliardi di dollari e il popolo poi tenesse tutte quelle banconote nel materasso, l’influenza sui prezzi sarebbe zero… dall’inizio della crisi a oggi la moneta creata dalle banche centrali in America e nell’Eurozona è aumentata di oltre il 60%, mentre i prezzi, in sei anni, sono aumentati solo dell’11% circa. Il problema oggi è semmai quello del’inflazione troppo bassa” .(F. Galimberti)
In uno dei consueti articoli in cui afferma che “il problema oggi è semmai quello del’inflazione troppo bassa”, Fabrizio Galimberti ricorre a un argomento molto utilizzato dagli inflazionisti (soprattutto keynesiani): nonostante le banche centrali abbiano posto in essere politiche monetarie aggressivamente espansive, la crescita dei prezzi è stata limitata e oggi, soprattutto nell’Area Euro, è perfino “troppo bassa”.
Galimberti crede che chi denuncia i pericoli delle politiche monetarie degli ultimi anni non faccia altro che ricorrere ingenuamente a una versione meccanicistica della teoria quantitativa della moneta. E’ noto, d’altronde, che dare a chi la pensa diversamente dell’incompetente è un modo piuttosto sbrigativo di chiudere una discussione senza dover argomentare più di tanto le proprie affermazioni. In realtà è piuttosto riduttivo e fuorviante – e questo la storia anche recente lo ha ribadito ampiamente – limitarsi a prendere in considerazione l’andamento di determinati indici di prezzi al consumo, dato che la moneta non viene utilizzata solo per scambiare beni di consumo (men che meno solo quelli inseriti in quegli indici e nelle proporzioni previste da quegli indici), essendo mezzo generale di scambio per ogni sorta di bene e servizio.
La crescita degli indici di prezzi al consumo che Galimberti considera essere “troppo bassa” non era galoppante neppure negli anni precedenti la crisi. Anzi, era tutto sommato in linea con gli obiettivi delle banche centrali. Peccato, però, che le politiche monetarie, soffermandosi sull’andamento di quegli indici, siano state sufficientemente espansive da generare un forte aumento del credito/debito e dei prezzi di attività reali e finanziarie.
E’ vero che il credito a famiglie e imprese non finanziarie non sta crescendo (in taluni Paesi sta diminuendo), essendo spesso ancora da smaltire l’eccesso di debito accumulato negli anni precedenti la crisi. E’ altrettanto vero, però, che la moneta che non alimenta il credito a famiglie e imprese non necessariamente rimane nel “materasso” delle riserve detenute dalle banche commerciali presso le banche centrali; essa è stata utilizzata per comprare attività finanziarie, prova ne sia che l’abbondanza di liquidità ha portato gli indici azionari statunitensi e della Germania (per fare un paio di esempi) sostanzialmente a raddoppiare le quotazioni da inizio 2009 a oggi.
E la stessa liquidità sta da diversi mesi beneficiando anche i titoli di Stato dei Paesi più sgangherati dell’Area Euro (Italia inclusa), provocando una forte riduzione dei rendimenti e del famoso (o famigerato) spread rispetto ai titoli di Stato tedeschi. Non sono questi effetti della “moneta creata dalle banche centrali”? Bisogna aspettare che scoppi un’altra bolla per rendersene conto? O si continuerà a non (voler) rendersene conto anche in quel caso? Credo ahimè che sia buona la seconda.