Di Sergio Ricossa ho ricordi importanti. Ho scoperto le sue idee leggendo i suoi editoriali su “il Giornale”, ho approfondito l’economia sfogliando i suoi libri, ho capito che razza di gigante della libertà fosse frequentandolo. Di Sergio Ricossa ho anche il piacere di aver pubblicato da editore un suo libro – “Da liberale a libertario”, curato da Alberto Mingardi. Tra tanti momenti vissuti che mi legano a lui, c’è il piacevole ricordo di quell’intervista che mi ha rilasciato, a casa sua nel 2009, per “Elogio dell’evasore fiscale”, uno dei libri che ho scritto ed a cui sono particolarmente affezionato. Con Sergio Ricossa (e gli amici del Cidas, Natale Molari in testa) ho organizzato un convegno a Milano (foto), nel lontano 2000, contro l’Euro e l’Europa, quando parlarne male non era per niente di moda.
Ecco, il professor Ricossa non è mai stato un personaggio di moda in Italia. E’ stato vice presidente della Mont Pélerin Society, accademico dei Lincei, ma soprattutto è uno dei pochi liberali coerenti: “Insieme a Bruno Leoni – dice Enrico Colombatto – Ricossa è un pilastro del liberalismo in Italia. Ritengo siano loro due gli emblemi, i simboli, di un pensiero filosofico ed economico che alle nostre latitudini non è mai stato veramente apprezzato, e men che meno praticato”. Ricossa ha un grandissimo pregio: non è mai andato dai politici col cappello in mano a chiedere piaceri o a fare stravaganti appelli. Anzi, sui muri della facoltà dove insegnava, i nipotini di Marx scrivevano: “Al professor Ricossa, noi scaverem la fossa”.
Oggi, Torino renderà un omaggio a Sergio Ricossa. L’incontro, organizzato dall’editore Rubbettino, presso “Il Circolo dei Lettori” alle 18, avrà come relatori sia il professor Colombatto che il suo collega Lorenzo Infantino. L’occasione è quella di una recente ripubblicazione di una raccolta di scritti del professore torinese intitolata “I pericoli della solidarietà”.
In un brano di un articolo tratto dal libro-antologia che pubblicò col sottoscritto, e che risale al 1991, scrisse: «Se conoscessimo il bene comune, la politica e la democrazia non sarebbero necessarie. Saremmo unanimi, senza eccezioni, per il bene comune. Ma chi parla di bene comune non sa di che parla, e questo vale per i cristiani, per i socialisti laici in senso stretto e per i comunisti di tutte le razze superstiti. Perciò i liberisti evitano di proporre il bene comune, con la conseguenza che essi sono immediatamente accusati di malvagità, di egoismo, di mancanza di coscienza sociale. Chi, come me, si confessa liberista è additato al pubblico ludibrio, è senza cuore, nemico dei disoccupati e reggicoda dei ricchi. Ci si aspetta, da noi liberisti, che godiamo se un senza lavoro si suicida, come raccontano le cronache di qualche giorno fa: “Bene, se tutti i senza lavoro si suicidassero, sparirebbe la disoccupazione”. Con simili falsità in circolazione, è duro intendersi. Perdiamo la speranza di capirci».
In una intervista rilasciata a Paolo Del Debbio nel 2006 dichiarò: “Difficilmente chi non si occupa della libertà economica potrà occuparsi delle altre libertà dell’uomo”. Ovviamente, nemmeno Del Debbio lo ha ascoltato.