Riprendo dall’articolo di monsignor Forte: “Un secondo principio da richiamare è che il contributo dei cittadini al bene comune deve essere equamente distribuito: l’equità va misurata secondo parametri oggettivi e soggettivi. Ai primi appartengono le urgenze congiunturali: dove il bene comune è minato da una crisi socio-economica generale – come sta avvenendo nel “villaggio globale” e nel nostro Paese in particolare – è giusto che sacrifici siano fatti e ricadano su tutti. Sul piano soggettivo, tuttavia, essi vanno commisurati alle effettive risorse e possibilità di ciascuno: chiedere a tutti lo stesso prezzo secondo un criterio di ripartizione paritaria è in realtà somma ingiustizia. Chiedere di più a chi ha di più è invece la misura equa che è necessario mettere in atto: è perciò doveroso domandare di più specialmente a chi dispone di grandi risorse e gode di un’ampia gamma di beni superflui o non strettamente necessari. Il principio di equità è un criterio ispiratore fondamentale, da mettere in atto con forte senso di giustizia, mediante una conveniente ripartizione dei sacrifici. Emerge qui la valenza “politica” della responsabilità etica del commercialista, che deve far sentire la propria voce – sia di singolo, che nella forma dell’associazione di categoria – per contribuire a migliorare l’equità delle leggi in materia tributaria. A questo genere di contributo il legislatore dovrebbe mostrare adeguata attenzione.”
Monsignor Forte sembra voler trovare l’equilibrio tra l’evitare l’assistenzialismo e quella che ha definito “enfatizzazione anarchica dei diritti di alcuni” (vedi la parte precedente) individuando criteri di equità per la ripartizione del carico fiscale. Criteri che sarebbero oggettivi – tutti devono fare sacrifici per il bene comune – e soggettivi – chi più ha, più deve dare. L’unica cosa veramente soggettiva a me pare la concezione di equità di Forte, per quanto richiamata da tutti i socialisti a vario modo sostenitori della tassazione progressiva. Nulla dimostra, se non soggettivamente, che chi più ha, più deve dare. Peggio ancora, è necessariamente soggettiva la valutazione di cosa siano le “grandi risorse” e, a maggior ragione, di cosa sia superfluo. In pratica, si dovrebbe ritenere “equo” privare con la forza un soggetto di una parte di beni di sua proprietà (tipicamente sotto forma di denaro) perché ciò sarebbe necessario al “bene comune” e, soprattutto, perché quei beni sarebbero “superflui”. A me pare sommamente ingiusto, mentre per Forte ciò produrrebbe una “conveniente ripartizione dei sacrifici”.
Che esista convenienza per i consumatori di tasse lo si può capire, ma che la stessa cosa si possa dire per i pagatori di tasse appare assai arduo. Per di più Forte ritiene che i commercialisti dovrebbero ispirare il legislatore nel migliorare la legislazione fiscale nel senso di equità da lui specificato. Con buona pace dei clienti-contribuenti, che si suppone dovrebbero continuare a pagare felici e contenti i commercialisti anche per questi suggerimenti dati al legislatore. Nella parte successiva, quella conclusiva, mi occuperò della ciliegina sulla torta nel ragionamento di monsignor Forte.
@ Carlo Butti:
Grazie del commento.
“Venuti a Cafarnao, gli esattori del didramma si rivolsero a Pietro e dissero: “Il vostro maestro non paga il didramma?” Ed egli:”Sì”. Mentre entrava in casa Gesù lo prevenne:” Che te ne pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono tasse e tributi, dai loro figli oppure dagli estranei?” “Dagli estranei” . “Certo, perché i figli sono liberi” rispose Gesù”. Così nel Vangelo di Matteo, 17, 24-26. Le versioni “ufficiali” traducono: “esenti”, anziché “liberi”, ma “eléutheroi” in greco significa “liberi”; se Gesù volesse dire “esenti” userebbe “ateléis”. Ora, il contrario di “liberi” è “schiavi”. (greco “douloi”, latino “servi”): Dunque, a rigor di logica, per Gesù Cristo pagar tributi è da schiavi. Evidentemente monsignor Forte ha letto il Vangelo nella versione contraffatta.Lo legga in greco,se ne è capace, o anche nella versione latina della “vulgata” (ove è scritto “liberi”), ammesso che i preti studino ancora la lingua che la Chiesa per secoli si è onorata di parlare,mentre ora anche il Papa la mastica a fatica(basta sentire come recita l'”Angelus”…)
scritto “liberi”
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I preti dovrebbero ricordarsi ciò che sta scritto nella Bibbia, alla voce Dieci Comandamenti: NON RUBARE e NON DESIDERARE LA ROBA D’ALTRI