“Che vi sia una regolazione delle politiche salariali nel comparto pubblico non si discute… Ma, detto ciò, non si possono affatto trascurare il merito e le capacità, le selezioni affrontate, i risultati conseguiti. Si è detto e ripetuto che l’autonomia e l’indipendenza della Banca d’Italia è un bene prezioso e che esse vanno salvaguardate… Anche il migliore riconoscimento giuridico-istituzionale non vive a lungo se non è sorretto dalla qualità delle persone che fanno agire l’istituzione, come è accaduto per ben oltre un secolo alla Banca d’Italia… Se così è… allora bisogna stare attenti a non eccedere nelle limitazioni retributive che, alla fine, incidono sulla qualità del personale che si può assumere… Ciò dovrebbe portare a una rimeditazione, nel senso di attenuare i vincoli previsti in proposito dalla legge di stabilità. Non ci si lasci abbindolare dai trattamenti, per esempio, dei vertici di altre banche centrali: chiedetevi quanto questi guadagnano, una volta che sia cessato il loro mandato in tali enti, e a motivo della carriera ricoperta negli stessi e della relativa notorietà”. (MF, Contrarian)
Ho tratto queste parole dalla quotidiana colonna Contrarian su MF. L’autore non è noto, ma essendoci tra gli editorialisti di quel giornale un ex dirigente della Banca d’Italia sempre attento a incensare l’istituzione (come ama definirla), non credo serva Sherlock Holmes per capire chi abbia scritto l’articolo. Poco importa, peraltro. Argomento delle doglianze dell’anonimo autore è la previsione di un tetto alle retribuzioni dei vertici della Banca d’Italia al pari di quanto è previsto per gli esponenti delle altre società pubbliche. La Banca d’Italia è formalmente privata, ma quando i vertici sono di nomina pubblica e gli utili vengono distribuiti per lo più al Tesoro, credo che di privato ci sia, appunto, solo la forma. Anche il funzionamento e il contesto in cui opera sono quelli tipici di un ente pubblico. Non sto a entrare nel merito della valutazione su quanto di buono avrebbe fatto la Banca d’Italia dal 1893 a oggi (la mia posizione in materia monetaria dovrebbe essere ormai nota), ma un paio di cose credo vadano precisate. In primo luogo, anche dopo la “scure” governativa, i vertici della Banca d’Italia continueranno a essere remunerati più di quelli delle principali banche centrali a livello mondiale. Trecentomila euro all’anno, poi, non sono briciole, anche se in passato il governatore era arrivato a percepire più del doppio. In secondo luogo, le remunerazioni medie del personale della Banca d’Italia sono grosso modo doppie di quelle dei pari grado che lavorano nelle banche private, con una differenza maggiore nelle posizioni d’ingresso.
Non si capisce come facciano le altre banche centrali a non rimanere senza personale, nonostante lavorarvi faccia guadagnare molto meno che nel settore privato (soprattutto negli Stati Uniti). Per di più, credo sia fuori luogo tentare di giustificare remunerazioni molto superiori, per esempio, a quelle della Fed per via della notorietà che la presidenza di quest’ultima conferirebbe, con conseguenti opportunità di lauti guadagni una volta terminato il mandato. Posto che non mi risulta che gli ex governatori e dirigenti della Banca d’Italia (ma neppure i fattorini) abbiano trascorso una vecchiaia in ristrettezze economiche, si dà il caso che diversi di essi siano diventati ministri, presidenti del consiglio o della repubblica. In conclusione, se sono fermamente contrario a porre limiti alla libertà contrattuale nel privato, trovo abbastanza irritante la difesa di stipendi pubblici molto superiori a quelli vigenti in Paesi economicamente più solidi dell’Italia. Oltre tutto, se è vero che questi signori sono “civil servants”, non dovrebbe essere la vile pecunia a fare la differenza. O no?