Gli alimenti derivati da organismi geneticamente modificati sono i più controllati in assoluto, ma nonostante le prove sulla loro sicurezza da parte delle autorità competenti, l’opinione pubblica è ancora molto diffidente, soprattutto in Europa, Africa e ora anche in Asia. Un articolo su “Nature Biotechnology” analizza la situazione paradossale in cui il cibo transgenico pone un rischio molto basso, assai più piccolo delle intossicazioni dovute alla contaminazione microbica, ma ancora è al centro di un dibattito sulla sicurezza (red)
Quando gli OGM potranno essere considerati sicuri? È quello che si chiede sulle pagine di “Nature Biotechnology” Laura De Francesco,senior editor della rivista, in un lungo articolo di commento che analizza a fondo i dati disponibili su uno dei più evidenti paradossi delle politiche e della comunicazione della scienza degli ultimi anni.
Se infatti da una parte il cibo geneticamente modificato è stato dichiarato senza rischi da numerosi organismi di controllo nazionali e internazionali, la sigla OGM per molti cittadini, soprattutto in Europa, in Africa e assai di recente anche nei paesi asiatici, è sinonimo di cibo da evitare, o perché rischioso per la salute o perché imposto al mercato dagli interessi delle multinazionali.
Questo paradosso genera un circolo vizioso: quanto più gli OGM sono percepiti come non sicuri, tanto più si procede a nuove analisi, anche se i cibi derivati da coltivazioni transgeniche attualmente sono gli alimenti in assoluto più regolamentati. L’Europa ha mantenuto un atteggiamento assai prudente per il loro commercio, adottando il principio di precauzione con la direttiva 90/220/EEC del 1990. Nel Vecchio Continente, è il produttore che deve provare alle autorità che un nuovo alimento rispetta un certo grado di sicurezza, e dal 2002 l’Unione Europea si è dotata di un organismo consultivo, la European Food Safety Authority (EFSA), che si occupa specificamente di valutare il rischio dei cibi, inclusi quelli derivati da coltivazioni transgeniche.
Negli Stati Uniti, le cose vanno diversamente, perché non è prevista l’approvazione formale di un nuovo alimento da parte della Food and Drug Administration (FDA) prima della messa in commercio. La responsabilità della sicurezza è lasciata al produttore. Tuttavia, la FDA successivamente esercita controlli attraverso il suo Center for Food Safety and Applied Nutrition, e non è rimasta con le mani in mano nel campo degli OGM.
Tra 1995 e 2012, 129 coltivazioni transgeniche sono state sottoposte al giudizio dell’FDA: in nessuna di queste si è riusciti a trovare una benché minima differenza di rilevanza biologica tra le piante ingegnerizzate e quelle non ingegnerizzate. Le analisi effettuate riguardavano tutte le principali componenti delle piante: proteine, grassi, fibre, amminoacidi, acidi grassi calcio e fosfato. E nei casi in cui le coltivazioni hanno introdotto nuove proteine, la loro concentrazione era così bassa da essere considerata ininfluente in termini sanitari.
Un’altra preoccupazione sollevata dai detrattori degli OGM riguarda l’eventuale manifestazione di nuove allergie, e anche in questo campo sono stati effettuati numerosi studi. Il criterio adottato è semplice e molto prudente: una nuova proteina è considerata allergenica se su 80 amminoacidi che la compongono c’è un’omologia (cioè una corrispondenza) superiore al 35 per cento con una proteina allergenica nota. Una volta che è stata individuata, la proteina deve essere testata in vitro. Si tratta però di un metodo non molto affidabile per le sue incertezze intrinseche e perché in generale gli allergeni contenuti negli alimenti, non solo transgenici, continuano ad aumentare, e non necessariamente hanno similitudini con quelli vecchi. Dato che quindi non c’è un criterio a priori per determinare l’allergenicità, l’unico modo di procedere è mettere insieme diversi elementi, dagli studi di omologia fino alle comuni segnalazioni che possono riguardare allo stesso modo gli alimenti che non derivano da OGM.
Il terzo e forse più problematico ambito è quello dei test di tossicità dei cibi OGM: finora infatti è una nozione largamente accettata dai tossicologi che per determinare la possibile pericolosità di un alimento sul lungo termine sono sufficienti test di 90 giorni su roditori. Su questo termine temporale sono stati sollevati numerosi dubbi, che hanno avviato un dibattito a volte anche aspro: che cosa è possibile dire con uno studio della durata di tre mesi riguardo ai danni neurologici che si sviluppano nell’arco di decenni, come il Parkinson? Si tratta certo di un’obiezione corretta; ma allora quando fermarsi, a sei mesi, a un anno, a cinque anni? La questione è ancora aperta.
L’ostacolo maggiore per studi a lungo termine, ammesso che siano utili, è che sono molto costosi. Per un arco di tempo ampio forse il dato più significativo è che gli OGM sono nella catena alimentare dei cittadini statunitensi da più di un decennio. Ma anche in questo caso sono leciti molti dubbi: certo non si sono evidenziati problemi eclatanti, tuttavia nel caso in cui questi problemi si evidenzino, non sarebbe facile stabilire che sono dovuti agli OGM e non ad altre sostanze a cui è esposta la popolazione.
In definitiva, il sistema di valutazione degli alimenti è imperfetto, nonostante conoscenze e tecnologie sempre nuove. Ma non è più imperfetto di altri ambiti che pure riguardano la salute pubblica. Eppure gli OGM continuano a spaventare.
La chiave per capire perché tutto questo avviene arriva da Marion Nestle, professore di nutrizione, studi sugli alimenti e salute pubblica alla New York University, citato da De Francesco in chiusura dell’articolo. Secondo Nestle, ci sono due modi di guardare al problema della dicotomia tra rischio reale e rischio percepito.
Se si guarda al rischio di malattia, ospedalizzazione e morte, la realtà è che il cibo transgenico pone un rischio molto basso, largamente inferiore a quello delle intossicazioni alimentari dovute a contaminazione microbica. La percezione della sicurezza alimentare dipende da come viene comunicato il rischio e da quanto il cibo è familiare o estraneo, naturale o “tecnologico”.
“Il problema sanitario principale che riguarda il cibo è di carattere batterico o virale, ma dato che l’idea dell’intossicazione è familiare e non deve essere compresa dal punto di vista tecnico, e non è imposta in modo volontario da qualcuno, le persone non si sentono minacciate”, sottolinea Nestle. “Al contrario, non accettano la biotecnologia alimentare perché è poco familiare, tecnologica e imposta, anche se non ci sono prove che possa essere pericolosa”.
La battaglia si sposta dunque sul piano della comunicazione, ammesso che i mezzi di comunicazione siano in grado di fornirne una corretta informazione sull’argomento.
TRATTO DA: http://www.lescienze.it
La cosa incredibilie è che quando un cibo viene modificato geneticamente tramita incroci o tramite irraggiamento, il che è frequentissimo, nessuno di quelli che si scaglia contro gli OGM chiamiamoli “da laboratorio” ha nulla da obiettare, our essendo metodi dal risultato meno predicibile e dunque meno sicuro.
Questo la dice lunga sull’ignoranza scientifica di molta gente.
Buonsenso contro ignoranza ideologizzata.