“Esprimo profonda soddisfazione per altri due gol del governo in zona Cesarini su tasse e lavoro: l’Iva doveva aumentare e non aumenterà, e il Parlamento potrà allungare questo termine.” (A. Alfano)
Così ha esultato il vice presidente del Consiglio Angelino Alfano durante la conferenza stampa successiva al CDM nel quale è stato disposto l’ennesimo provvedimento di rinvio, questa volta relativo all’aumento dell’Iva.
Il governo ha dato il classico calcio alla lattina, posticipando l’aumento di tre mesi. Un provvedimento che, oltre a non ridurre certo l’incertezza sul futuro dell’aliquota, lascia perplessi – per usare un eufemismo – quando si analizza la copertura per il miliardo di mancato gettito che lo slittamento di tre mesi comporta.
Era possibile trovare quel miliardo riducendo la spesa pubblica di 1/800, pari allo 0.125 per cento? Il buon senso suggerirebbe di sì, ma in oltre due mesi il governo pare non aver trovato nessuna voce di spesa da limare.
Ovviamente esiste la possibilità che non ci abbiano neppure provato, e io propenderei per questa ipotesi. Come traspare dalle parole di Alfano (in questo simili a quelle di Enrico Letta), il Parlamento potrà trovare coperture sostitutive o ulteriori, in modo tale da “allungare questo termine” di tre mesi.
Dunque, da dove verrà il miliardo di mancato gettito Iva se il Parlamento non troverà altre coperture? Da un aumento degli acconti Irpef, Ires e Irap, da quelli sulle imposte su redditi di capitale, oltre che da una mazzolata sulle sigarette elettroniche pari al 58.5% del prezzo di vendita del prodotto. In pratica i soggetti tenuti a versare l’acconto Irpef finiranno per anticipare il 100% dell’imposta versata per il periodo precedente; percentuale che sale al 101% per Ires e Irap e a ben il 110% per le ritenute su redditi da capitale.
Saccomanni e Letta si sono affrettati a dire che non si tratta di un aumento del carico fiscale, essendo solo acconti di imposte future.
Ancorché tecnicamente corretto, l’argomento mi pare ugualmente patetico, dato che si tratta di un prestito forzoso e non retribuito che i contribuenti dovranno fare allo Stato, magari a fronte di redditi calanti, il che finirà per generare crediti che verranno scontati in tempi non certo ridotti. Considerando che la liquidità non abbonda per molti contribuenti, costoro potrebbero trovarsi a dover chiedere prestiti (pagando interessi su tali somme) per effettuare il pagamento degli acconti.
In sostanza, se già è assurdo il sistema degli acconti che, di fatto, comporta il pagamento anticipato delle imposte, il suo appesantimento in questa fase di crisi è una ulteriore mazzata a un ceto produttivo ormai quasi esanime. Il tutto per non aver voluto trovare un miliardo di riduzione di spesa su un totale di 800.
Il governo avrà fatto pure altri due gol in zona Cesarini, ma la porta nella quale la palla è entrata è sempre quella dei contribuenti.
chissa’ che con questi presupposti,non ricorrano alla statistica dell’eta’ media di vita,cosi’ potranno ”chiedere” l’anticipo per coloro che non hanno ancora raggiunto l’eta’ prevista e magari,togliere la pensione a chi l’ha gia’ superata,nella speranza che la natura faccia il suo lavoro.la prevenzione e’ una gran bella cosa.