In Anti & Politica

DI GERARDO

Definiamo libertà qualsiasi azione che non comporta un’aggressione (cioe’ violenza aggressiva), uso o minaccia.

E’ fondamentale affermare che per minaccia di aggressione si intende una minaccia che si incarni in un “inizio di un atto palese”; qualsiasi criterio remoto o indiretto” non può quindi essere adottato per codificare un atto come una minaccia di aggressione.

Se è quindi lecito usare violenza per difendersi dall’aggressione (violenza difensiva), è pertanto lecito per il Potere usare violenza contro un individuo soltanto quando esso abbia commesso un’aggressione o minacci un’aggressione.

In tal senso, il “principio di presunzione di libertà” prescrive che qualsiasi atto che una persona desidera compiere deve essere considerato libero, non deve quindi essere ostacolato, regolato, ristretto, punito dal Potere, a meno che non sia dimostrato un motivo sufficiente per cui non dovrebbe essere libero, cioè a meno che non comporti un’aggressione.

La libertà esprime pertanto una “preferenza rispettosa degli altri” e tutte queste preferenze hanno pari dignità.

Il Potere nelle società che presentano uno Stato è totalmente riconducibile allo Stato; lo Stato, per definizione, detiene tutte le armi e tutti i mezzi di coercizione, tutti i diritti e l’intero potere decisionale.

Lo Stato diviene tale nel momento in cui rivendica con successo il “monopolio legale della violenza su tutti i soggetti stanziati (cioè effettivi e potenziali) in un determinato territorio ”.

Lo Stato nasce quando un “signore della guerra territoriale preminente” sottopone “i clienti di un territorio” al pagamento di una protezione da lui offerta a prescindere dalla volontà di quest’ultimi e, allo stesso tempo, si adopera per sostenere territorialmente che alla sua potenza di comando non è possibile resistere per definizione, in quanto “originaria”.

Costruire lo Stato significa concentrare risorse in uomini e denaro per guidare, sorvegliare e disarmare la popolazione; tassare significa sviluppare una struttura contabile, censimenti statistici, una classe di collettori di imposte e/o una burocrazia fiscale.

Tutte le società dello Stato sono divise, nella loro essenza, tra dominanti e dominati, mentre nelle società senza Stato si ignora tale divisione.

Di conseguenza, lo Stato blocca e fissa la società in “uno stato di dominio” – lo Stato può essere definito anche come un “sistema gerarchizzato di relazioni di dominazione territoriale-individuale”.

Il pieno rispetto delle prerogative di ogni individuo, cioè della sua libertà e conseguentemente proprietà, consente a ciascuno di realizzare scopi autonomamente determinati, ma una lunga tradizione di pensiero sostiene che ciò non consente di produrre una gamma ottimale di beni pubblici e che senza un monopolio legale della violenza non è ipotizzabile avvicinarsi il più possibile all’allocazione delle risorse che la società, in realtà, preferisce.

Questa idea, secondo cui lo Stato è il meccanismo attraverso il quale la società può avvicinarsi il più possibile all’allocazione delle risorse che, in realtà, preferisce, comporta una convinzione molto più antica, secondo la quale è possibile stabilire il significato della “volontà generale”, cioè esprimere il punto di vista della “collettività”, inteso come qualcosa di distinto e di autonomo rispetto alle visioni dei singoli.

A sua volta, da questa convinzione ne scaturisce quella di un “ente provvisto di una fonte privilegiata della conoscenzache vede tutte le passioni degli uomini e non ne prova alcuna” e, in ultimo, quella per cui lo Stato è il solo mezzo mediante il quale la volontà generale produce o può produrre a pieno i suoi effetti e pertanto è autorizzato, perché la volontà generale, al contrario della volontà dei singoli, ha di mira il “bene comune”, a piegare chiunque rifiuterà o faccia opposizione di obbedire al suo operato.

Di conseguenza, obbligando i cittadini-sudditi a realizzare la volontà generale, lo Stato compete con questi per l’utilizzo di quelle risorse scarse che sono la libertà e la proprietà di ciascuno di essi; lo Stato limita quel che i cittadini possono fare e li costringe a destinare parte dei loro sforzi e beni ai propositi decisi dallo Stato, piuttosto che ai propri; questa stessa tradizione di pensiero ipotizza che, così facendo, lo Stato li sta, in realtà, obbligando a essere più felici o a stare meglio di quanto potrebbero essere altrimenti oppure sta massimizzando l’utilità della libertà.

Dal far propria, consapevolmente o inconsapevolmente, la convinzione secondo cui è possibile stabilire il significato della volontà generale e che lo Stato è il solo mezzo mediante il quale la volontà generale produce o può produrre a pieno i suoi effetti, trae legittimità un’istituzione che diversamente, data la sua pretesa di comando originaria, verrebbe definita come criminale.

Tuttavia, se “non esistono preferenze rispettose degli altri che possano tenere, se non sono conformi alla volontà generale”, in altre parole, se l’interesse pubblico deve prevalere su libertà e proprietà privata”, non esiste limite a priori per le decisioni e l’attività dello Stato e quindi della sua invasione alle singole libertà e conseguentemente proprietà.

D’altra parte, la competizione tra Stato e i cittadini-sudditi, il cui maggiore espediente è la ribellione, di solito risultante essere rischiosa, quando non anche costosa e difficile da organizzare, è rilevata così asimmetrica, così iniqua, almeno in prima battuta, che risulta impossibile spiegare perché lo Stato non dovrebbe tentare di spingersi fino al punto di volerli schiavizzare.

I limiti che lo Stato, si auto-impone, come qualsiasi limitazione che lascia libero lo Stato di interpretare l’estensione dei suoi stessi poteri, possono infatti tranquillizzare i più ingenui, ma, in realtà, non forniscono alcuna garanzia per quanto riguarda le libertà e le proprietà, oltre a quelle che vengono fornite, di volta in volta, dall’equilibrio tra Stato e forze private.

La storia della volontà generale potrebbe però non bastare per sedurre.

Si potrebbe infatti comprendere che la volontà generale altro “non è che la volontà politica di alcuni” e che quindi il bene comune a cui essa fa riferimento altro non è che “un’espressione di copertura ideologica” per ricevere approvazione sociale alla violazione della libertà.

Si potrebbe infatti comprendere che la narrazione dello Stato come quell’osservatore solidale che viola la libertà delle persone per realizzare la volontà generale e renderle così più felici o portarle a stare meglio di quanto potrebbero essere altrimenti oppure massimizzare l’utilità della libertà non sta logicamente in piedi, è priva di senso; non è possibile infatti eseguire in termini rigorosi alcuna “comparazione interpersonale di utilità”, come non è possibile, in nessun caso e in nessuna misura, dimostrare come vera l’affermazione che “la violazione della libertà ne massimizzerà l’utilità”.

I confronti interpersonali sono iniziative intrinsecamente male indirizzate, pertanto, una volta intrapresi, tutto quello che si può riconoscere e che essi esprimono semplicemente le preferenze di chi sta facendo il confronto; non vi è nessun caso pratico che possa dimostrare che tali confronti abbiano senso logico, ma soltanto giudizi morali da contrapporre tra di loro; fine della questione.

Per ovviare a questo ostacolo, lo Stato allora si pro-attiva per corrompere il significato della libertà, sostenendo il messaggio che: “non condividere la nostra libertà toglie libertà a qualcun altro, cioè rappresenta una forma di aggressione alla libertà altrui”; in tal modo, quelle che sono preferenze rispettose degli altri finiscono per essere condannate come aggressione.

Ora, pensiamo specificatamente alle vicende degli ultimi due anni.

Abbiamo visto lo Stato obbligare al confinamento e al distanziamento la cittadinanza, con la motivazione che: “ciò era necessario per salvaguardare la salute della popolazione”; trattasi di chiamata al rispetto della volontà generale.

Abbiamo visto lo Stato stabilire socialmente obblighi a indossare dispositivi facciali, con la motivazione che: “il respiro e il parlare smascherato in pubblico rappresenta una forma di aggressione verso gli altri fino e un atto d’inciviltà”; trattasi di corruzione del significato di libertà e chiamata al rispetto della volontà generale.

Abbiamo visto lo Stato stabilire discriminazioni e segregazione contro persone non vaccinate, con la motivazione che: “la scelta di non vaccinarsi rappresenta una forma di aggressione e un atto di diserzione sociale”; trattasi di corruzione del significato di libertà e chiamata al rispetto della volontà generale.

Abbiamo visto lo Stato imporre il principio per cui quello che appare sano è per presunzione contagioso, se non anche malato, fino a prova contraria: trattasi di corruzione del significato di libertà.

La falsificazione della realtà e la manipolazione del linguaggio, insieme al terrore e all’allarmismo (creare spirali di insicurezza, paura e odio per alimentare “la malattia dell’umanità”), sono gli elementi che riassumono la concezione di cosa serve per stabilire una “società del controllo”: indubbiamente, tutti questi elementi hanno un ruolo chiave nell’evitare il ricorso alla repressione vera e propria, dato che le difese più efficaci hanno sempre radici a un livello più profondo, cioè nella capacità di plasmare il carattere e il cervello delle persone.

Il Potere obbedisce a una sorta di legge di gravità: in esso è insita la tendenza a estendere il più possibile l’ambito della propria influenza, a dilagare ovunque non incontri limiti.

Con il Potere sovrano, il mercato della protezione non è più “legalmente” contestabile: siamo così di fronte a una forma del Potere con una capacità di espansione oltre i limiti della libertà che non conosce paragoni in termini di superiorità.

Se l’orizzonte in cui il governo mira a evolvere è quindi sostanzialmente dettato dalla sua natura e non dai governanti, ogni Stato non può pertanto che essere orientato a estendere il proprio controllo su tutte le attività economiche e sociali nelle quali sono coinvolti i cittadini-sudditi, a determinare la vita, se non quando la sopravvivenza, del cittadino-suddito, attraverso la massimizzazione del suo Potere sovrano: così, l’espansione delle cosiddette funzioni pubbliche, della tassazione e la crescente pervasività delle regole dello Stato alla vita delle persone ottengono una spiegazione al di là delle circostanze contingenti.

In base a quanto, uno Stato-piantagione schiavistico e totalitario non può che essere il prodotto che ogni Stato è orientato a raggiungere e a mantenere (ma non è necessario il completamento del cammino dello Stato, per assistere all’atrofia delle virtù sociali) e questa sua dimensione schiavistica-totalitaria non viene certamente meno perché lo Stato concede a una serie di forme esteriori della libertà ufficialmente di coesistere – in tal senso, possiamo aggiungere che tanto più lo Stato riesce a convincere il cittadino-suddito di essere sempre più o ancora libero, quanto più quest’ultimo prende gusto a esserne suddito.

Il percorso dello Stato verso il dominio completo della società, verso il “possesso dei propri cittadini-sudditi”, che si ottiene con la massimizzazione del Potere sovrano, può essere inteso come una catena di mosse correttive, ciascuna delle quali punta a rendere il sistema sociale meglio allineato ai fini dello Stato e, allo stesso tempo, internamente coerente, per quanto questi due requisiti non siano necessariamente e probabilmente compatibili – ogni mossa correttiva potrebbe infatti generare alcune nuove incoerenze sistemiche e rendere necessarie altre mosse correttive.

In conclusione, per contrastare questo sistema orientato alla distruzione della libertà che è lo Stato, è necessario innanzitutto depurarsi dalle preferenze incoerenti per più libertà e più sicurezza statale assieme, più Stato e meno Stato assieme; solo così prima facendo, le persone sapranno anche in che misura vogliono assecondare la realizzazione del programma dello Stato o resistergli.

Lo Stato è un’istituzione storicamente contingente e non una necessità logica.

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