DI MATTEO CORSINI
Intervistato dal Sole 24 Ore, Giulio Prosperetti, giudice costituzionale, ha fatto diverse affermazioni che non condivido. Tra le quali questa:
“È ormai opinione comune, ne ha parlato anche il Papa, quella secondo cui, lo Stato deve assicurare il lavoro e non un mero assistenzialismo. Il problema è salvaguardare la dignità dell’uomo e il suo ruolo nella società. Ho sempre sostenuto che rappresentava un grave errore aver rimesso a paesi terzi tutto quel settore manifatturiero non particolarmente competitivo. La difficoltà sull’approvvigionamento delle mascherine è sintomatico del problema. Si dovrebbe pensare ad aiutare in via generale produzioni anche non competitive ma utili a garantire il lavoro e un equilibrato apparato produttivo. Sono contrario alla specializzazione sul piano globale delle diverse aree produttive, penso che ogni paese debba essere autonomo in ordine alle produzioni essenziali.”
Quando si parla di una questione economica, esordire citando il Papa sembra ormai un must in Italia, ovviamente se si vuole sostenere un punto di vista totalmente contrario al libero mercato.
Devo dire che non trovo una grande differenza di sostanza tra assicurare il lavoro e il mero assistenzialismo. Perché il problema è che il lavoro non è una variabile indipendente (come lo era il salario per i sindacalisti di 4-5 decenni fa). Per esempio, fornire il reddito di cittadinanza è indubbiamente una forma di assistenzialismo. Tuttavia, pretendere che aziende decotte mantengano lo stesso organico dello stato pre-crisi è diverso nella forma, ma non nella sostanza
I casi più emblematici sono quelli di Alitalia e della ex Ilva. In quest’ultimo caso, per esempio, la maggioranza di governo (allineandosi ai sindacati) va sostenendo che il numero dei dipendenti deve sostanzialmente restare immutato e a tale scopo l’impianto deve puntare a produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Ora, il problema è che la produzione ha senso se poi quanto si è prodotto si riesce a vendere, possibilmente ricavando più di quanto si è speso. Se l’ex Ilva fosse in grado di vendere con profitto, ancorché minimo, 8 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, non sarebbe in crisi, evidentemente.
Pretendere di mantenere inalterato il numero di posti di lavoro, mediante l’intervento dello Stato, è assistenzialismo sotto una forma diversa dall’erogazione del reddito di cittadinanza. Perché, in ultima analisi, una parte più o meno consistente di quegli stipendi sarà, di fatto, consumo di tasse.
Che, poi, prendendo a calci principi abbastanza pacifici da David Ricardo in avanti, la soluzione ipotizzata consista nel ritorno all’autarchia, aiutando “produzioni anche non competitive ma utili a garantire il lavoro e un equilibrato apparato produttivo”, a me pare che non si sbagli nel prevedere che ciò peggiorerebbe il già non ottimale stato di salute dell’economia italiana.
Ogni attività che non sia oggetto di scambi volontari comporta una più o meno consistente redistribuzione da pagatori a consumatori di tasse. Anche chi volesse soprassedere sul lato etico della faccenda, dovrebbe almeno rendersi conto che, parafrasando la Lady di ferro, prima o poi i soldi dei pagatori di tasse finiscono.
La menata del salvifico intervento dello Stato nell’economia è dura a morire e nessuno si accorge (o vuole accorgersi) che la piccola elemosina di oggi è il frutto del grande latrocinio di ieri (la differenza è assorbita dalle spese di rappresentanza dello Stato salvatore)
La menata del salvifico intervento dello Stato nell’economia è dura a morire e nessuno si accorge (o vuole accorgersi) che la piccola elemosina di oggi è il frutto del grande latrocinio di ieri (la differenza è assorbita dalle spese di rappresentanza dello Stato salvatore)
Non molti in Sardegna ricordano Camillo Bellieni (1893-1975), fondatore e principale ideologo del sardismo, men che meno il suo pensiero economico, la cui rilettura odierna esprime l’incredibile attualità delle ricette che ancora oggi potrebbero risollevare l’isola dall’assistenzialismo su cui si è adagiata.
Nel 1919 lancia una battaglia per il libero commercio che otterrà il plauso di Piero Gobetti, denuncia inoltre una ripresa delle politiche protezionistiche che già in precedenza avevano danneggiato la Regione, evidenziando le contraddizioni tra il nord e il sud dell’Italia. Promuove innovazione tecnologica e sviluppo di processi industriali per la crescita del settore agricolo e accusa apertamente i partiti italiani, in particolare PSI, PCI, popolari e fascisti, di perseguire interessi diversi da quelli sardi, tra cui l’abuso della spesa pubblica per creare lavoro occasionale a fini elettoralistici. E da insospettabile precursore del thatcherismo attaccò persino il sostegno politico alle aziende improduttive.
Di Adriano Bomboi:
Scarica il volume in PDF – 11 pagine, 326 kb:
http://www.sanatzione.eu/wp-content/archivio_media/uploads/2018/05/Adriano-Bomboi-Il-pensiero-economico-di-Camillo-Bellieni-QL1-2018.pdf
“Ogni paese deve essere autonomo in ordine alle produzioni essenziali”. A parte quel “deve” che suona sinistro e che rivela come i burocrati siano eternamente oscillanti tra proibizionismo e obbligazionismo. A parte anche quel voler stabilire a priori quali siano le produzioni essenziali e quali quelle secondarie senza tener conto delle legittime preferenze del consumatore. Ma quel voler aiutare le produzioni non competitive in che cosa dovrebbe consistere? Nel finanziamento pubblico? Se proprio si vuole aiutare qualcuno in difficoltà la ricetta pronta ci sarebbe e senza inutili nonché fuorvianti partite di giro: chi annaspa è esonerato dall’imposta sul reddito ed esentato dal versamento dell’imposta sul valore aggiunto. Scommetto che ai sommi dogmatici, costituzionali o no, questa proposta non piace. Ma i loro argomenti contrari, sul piano dei contenuti, sono sotto lo zero assoluto.