di ALESSANDRO FUSILLO
La crisi epidemiologica che l’Italia e il mondo stanno vivendo ha messo in crisi molte certezze anche tra coloro che, come i libertari e i liberali, ritenevano di avere una visione del mondo fatta di principi indubitabili: l’illegittimità dell’intervenzionismo governativo, il principio di non aggressione, la libertà come diritto negativo a non subire interferenze nel proprio progetto di vita. Ma la paura morde e tanti giustificano il sequestro collettivo di un’intera nazione perché la salute, la sicurezza, sarebbero beni superiori.
Molti libertari si sono chiesti, inoltre, se la violazione delle raccomandazioni mediche per evitare il contagio non possa essere intesa, in sé, come aggressione e se, di conseguenza, le misure draconiane poste in essere dai governi di mezzo mondo non debbano essere intese come legittima difesa diretta a evitare un’aggressione.
Cominciamo dalla prima questione. Sto commettendo un atto di aggressione uscendo di casa? Potrei essere, senza saperlo, un portatore sano del virus e potrei così infettare altre persone, tra le quali anche soggetti vulnerabili che potrebbero cadere vittime della mia involontaria “aggressione”. Qual è la condotta giusta da un punto di vista libertario e secondo i principi della prasseologia?
Il diritto è parte della scienza dell’azione umana ed analizza il comportamento da un punto di vista della sua doverosità. Soccorrono quindi i concetti giuridici del dolo e della colpa. Chi, sapendo di essere infetto, vada deliberatamente a infettare qualcun altro allo scopo di nuocergli sarà certamente responsabile di un’aggressione e subirà la legittima difesa di colui che sia stato aggredito o la punizione per un atto che costituisce una lesione dell’incolumità fisica altrui. Che accade, invece, se il contagio è il frutto di negligenza o incoscienza? Le due situazioni soggettive che possono darsi sono quelle della colpa e del dolo eventuale. In quest’ultimo caso qualcuno compie un atto pericoloso sapendo di poter nuocere agli altri, ma accettando tale evento senza curarsi di adottare misure idonee ad evitare un’aggressione alla altrui incolumità. Ad esempio: esco di casa sapendo di essere infetto e non adotto alcuna cautela per evitare il diffondersi della malattia e disinteressandomi delle conseguenze della mia azione che accetto come possibili o probabili. Nel diritto penale il dolo eventuale è vicino al dolo vero e proprio cioè l’azione compiuta di proposito. Anche in questo caso, da un punto di vista libertario, non è dubbia la possibilità sia della legittima difesa sia della punizione.
La questione più delicata, però, è quella concernente la colpa, ossia la condotta negligente. Moltissimi pensatori libertari, complice, forse, il fatto che essi non avevano una formazione giuridica, hanno tralasciato di approfondire il concetto di colpa, sebbene il comportamento negligente e incauto possa essere causa di un’aggressione esattamente come quello doloso. La definizione romanistica della diligenza e, di converso, della colpa, era connessa al tipo ideale del bonus paterfamilias, ossia del cittadino non soggetto alla potestà di alcuno, in grado di gestire una familia cioè un complesso di beni e di persone legate anche, ma non solo, dal vincolo di parentela. Ebbene, il grado di diligenza richiesta era, appunto, quella del bonus paterfamilias: nella gestione delle cose altrui, sia in ambito contrattuale che in ambito extracontrattuale, si richiedeva la stessa cautela che avrebbe adottato per le proprie cose la figura astratta del bonus paterfamilias ossia un soggetto ragionevole che agisca nell’interesse proprio e dei membri della sua famiglia. È interessante notare come la diligenza e il suo opposto, la colpa, siano strettamente legati per i romani con il concetto di proprietà. Quella altrui va tutelata con la stessa cautela adottata per la propria. Questo è il significato profondo del principio romanistico del suum cuique tribuere, cioè del riconoscere l’inviolabilità del diritto di proprietà, base dell’intero ordinamento giuridico. Il primo e fondamentale oggetto della proprietà privata è anzitutto il proprio corpo.
Ora, qual è il grado di cautela esigibile da ciascun membro di una comunità, fino a che punto deve spingersi la tutela della proprietà altrui attraverso apposite norme di cautela? Il concetto di colpa dimostra come, una volta fissati alcuni canoni generali come il principio di non aggressione, le soluzioni ai problemi derivanti dalla convivenza possono essere molto diverse, tanto da far prevedere facilmente che, se lasciati liberi, gli esseri umani costituirebbero comunità molto diverse l’una dall’altra. La colpa, infatti, e le connesse regole di cautela incidono direttamente sul concetto di rischio.
L’essere umano vive in un mondo caratterizzato dalla scarsità. Si tratta della condizione umana fondamentale dalla quale emerge di necessità l’assioma dell’azione umana. Poiché i mezzi sono scarsi, è necessario per ciascuno agire, cioè compiere scelte nel tentativo di realizzare un risultato migliore del punto di partenza. Il mezzo che per definizione non solo è scarso, ma la cui limitatezza non è nemmeno stimabile è il tempo. Sappiamo che è limitato, ossia che il nostro agire sarà necessariamente interrotto dalla morte, ma non sappiamo né come né quando il tempo verrà definitivamente meno.
Ogni azione implica necessariamente un costo nel senso che ogni scelta implica che i mezzi utilizzati per il raggiungimento di un determinato fine dovranno necessariamente essere distolti da altri possibili fini. Inoltre, ogni scelta comporta la consumazione di una parte del tempo limitato che è dato a ciascuno di noi. Ogni scelta è connessa altresì con l’assunzione di un rischio, ossia con la possibilità che un evento imprevisto o imprevedibile possa determinare un danno alla persona, al tempo ed ai beni materiali costituenti la proprietà. Il danno temporale definitivo è la morte. Ora, ci sono molte attività umane che comportano sempre l’assunzione di un rischio letale e che nondimeno sono compiute perché la soddisfazione attesa dallo svolgimento di tali attività costituisce un bilanciamento sufficiente al rischio di morire. Gli esempi sono molti e spesso anche banali. Dalle attività ludiche e sportive all’assunzione di sostanze come alcool, fumo e droghe al trasporto aereo, terreste o marittimo, all’uso di apparecchiature pericolose sino all’assunzione di farmaci, l’elenco è lunghissimo e dimostra come normalmente gli esseri umani accettino il rischio della morte come parte della vita e come questo rischio non abbia mai avuto l’effetto di paralizzare il compimento di azioni dalle quali ci si attendono, a torto o a ragione, effetti positivi.
Ciascuno è proprietario del proprio corpo, onde l’evidente illegittimità di ogni norma che impedisca lo svolgimento di attività pericolose per l’agente stesso. Le proibizioni, ad esempio, dell’assunzione di sostanze stupefacenti, sono evidentemente un’aggressione contro la proprietà di sé stessi e non dovrebbero essere mai ammesse in una comunità libera. Ognuno è arbitro dell’uso del proprio corpo e, di conseguenza, è libero di decidere anche il compimento di azioni nocive o pericolose. Poi ci sono categorie di azioni che possono ipoteticamente cagionare danno non solo a chi agisca, ma anche ad altre persone ignare e non partecipi della libera scelta dell’agente. L’esempio più evidente è quello della guida. Chi si metta alla guida ubriaco o raggiunga velocità che non gli consentono di controllare il mezzo mette a repentaglio non solo la sua vita, cosa che potrebbe fare in perfetta legittimità, ma può ipoteticamente danneggiare altri che, quindi, subirebbero nolenti la sua scelta e il danno che questa comporta. Parte del rischio che è insito in qualsiasi azione umana è rappresentato dalle azioni degli altri, che sono per definizione imprevedibili e che potrebbero nuocere all’agente. Il rischio, ossia la potenziale aggressione rappresentata da condotte sconsiderate, può legittimare la legittima difesa di coloro che siano esposti a tale minaccia.
Di qui la necessità di stabilire un sistema di cautele, ossia di norme di azione la cui violazione possa essere ritenuta da una comunità la fonte di un rischio intollerabile e che, di conseguenza, possano essere connesse con l’irrogazione di sanzioni o con l’impedimento forzoso dello svolgimento dell’attività pericolosa, ossia con l’esercizio del diritto di autodifesa. Nell’esempio della guida il proprietario della strada ben può esigere il rispetto di norme di condotta (in materia di velocità, uso di sostanze alcooliche e simili) la cui violazione può essere intesa come minaccia e, di conseguenza, una violazione del principio di non aggressione. Ugualmente una comunità libera potrebbe proibire la sperimentazione con esplosivi, sebbene ciò avvenga all’interno della proprietà privata, se la possibile esplosione potesse danneggiare i proprietari circostanti. Nonostante l’elaborazione di principi generali utili come quello romano del bonus paterfamilias è evidente come comunità diverse potranno, anche nel corso del tempo, sviluppare norme di cautela diverse a seconda della loro diversa sensibilità al rischio. La norma, in questo senso, deve essere cercata e trovata di volta in volta e prodotta dall’incontro del fatto – il caso concreto – con i principi generali in un’ottica cara al pensiero di Bruno Leoni.
Può una comunità, a fronte del rischio rappresentato dal diffondersi di una malattia infettiva, scegliere di mettere in quarantena tutti coloro che le appartengano, ritenendo intollerabile il rischio della diffusione del contagio e sacrificabile la libertà di movimento e di azione di ciascuno, senza che ciò costituisca una violazione del principio di non aggressione? Sino a quando, in altre parole, una simile misura può essere ricondotta al concetto della legittima difesa?
Ecco che, così impostata la questione, la soluzione non appare difficile. Chiunque deve essere libero di disporre del proprio corpo e, quindi, di esporsi al contagio, finanche rischiando la vita, poiché ciò costituisce un’azione che mette a rischio solo l’incolumità dell’agente. Un divieto generalizzato di circolazione e una quarantena forzata sono, dunque, misure certamente illegittime e assunte in violazione del principio di non aggressione, a meno che non siano accettate da ciascuno, ossia a meno che non poggino sull’unanimità dei consensi. È perfettamente ovvio, infatti, che così come ciascuno è libero di esporsi al contagio e al rischio, così ognuno è altrettanto libero di evitarlo e chiudersi, quindi, in casa per evitare di entrare in contatto con gli infetti o con coloro che potrebbero esserlo.
D’altro canto, una comunità potrebbe scegliere di adottare regole di cautela che vietino agli infetti di circolare al fine di evitare il rischio che essi possano contagiare gli altri. Qui la determinazione del punto di equilibrio tra la tutela della libertà individuale e quella dell’incolumità fisica non può riposare che su principi scientifici e di ragionevolezza. Affinché una comunità possa legittimamente difendersi dal rischio rappresentato dagli infetti occorre anzitutto valutare la contagiosità del morbo e la gravità della malattia. Quanto più alti siano entrambi i requisiti tanto più sarà giustificata una norma che imponga agli infetti di essere posti in quarantena.
Queste semplici considerazioni dimostrano l’evidente illegittimità delle misure assunte dal governo italiano e la loro insostenibilità da un punto di vista libertario. Tutti coloro, infatti, che non siano ammalati devono essere liberi di decidere se uscire di casa o meno poiché essi sono arbitri della propria incolumità. Gli unici che potrebbero subire un provvedimento restrittivo della libertà di movimento sono i malati poiché il loro isolamento è riconducibile al concetto di legittima difesa dei sani. Questa sembra essere la soluzione adottata al momento dal governo inglese, in linea con le ben più robuste tradizioni liberali del Regno Unito.
Come di consueto l’esistenza di uno stato rende i problemi più confusi e di difficile soluzione. Non solo, infatti, la costituzione italiana promette l’impossibile, e cioè il diritto dei cittadini ad essere sani, ma essa ha assunto su di sé l’onere di somministrare a tutti le cure mediche. Ecco allora che il comportamento della persona sana che si esponga volontariamente e liberamente al rischio del contagio assume una valenza diversa giacché si può argomentare che, laddove questa contragga la malattia, potrebbe poi pesare sul sistema sanitario statale con un onere aggiuntivo di prestazione di cure a spese di tutti i cittadini. È facile controdedurre che l’istituzione di un servizio sanitario forzoso costituisce una evidente aggressione della proprietà privata. Le cure mediche sono un servizio come tanti altri.
Nemmeno la presunta essenzialità delle cure per la sopravvivenza convince più di tanto, atteso che altri beni, come ad esempio il cibo, sono ben più essenziali ai fini dell’incolumità di ciascuno eppure sono saldamente nelle mani dei privati che sono in grado di offrire un servizio differenziato e adatto a tutte le tasche e a tutti i gusti. La situazione non è diversa con le cure mediche. Se il settore fosse lasciato al libero mercato – non a quello fortemente regolamentato dell’esempio statunitense che sovente viene opposto – vi sarebbero cure mediche per tutti e non assisteremmo allo spettacolo indegno di un paese che non è in grado di mettere a disposizione dei propri malati i posti di terapia intensiva che fossero necessari. Come disse Ronald Reagan con una frase che sembra attagliarsi perfettamente alla situazione attuale: “nel presente stato di crisi il governo non è la soluzione del nostro problema; il governo è il problema.”
Egr. Dott. Fusillo, lei non ha considerato la presenza di moltissime persone asintomatiche ma contagiose. Queste, muovendosi, spargono inconsapevolmente il virus. Quindi, temo, l’unica soluzione è la “quarantena” generalizzata.
Quando c’è un’epidemia se ti avvicini a me mi metti in pericolo. Quindi se ti vedo circolar intorno a casa mia ti abbatto come un cane rognoso. Poi facciamo il tampone.
Dal punto di vista del NAP credo non ci siano dubbi.
Rimane che se la comunità decide di mettersi in quarantena e qualcuno la viola, che so, per farsi la sua bella corsetta, oppure banalmente non indossando la mascherina di protezione, ovvio che è lui che viola il NAP e quindi va denunciato o, di nuovo, abbattuto come un cane.
Sbaglio?
La parte sulla velocità potevate risparmiarvela.
Le autostrade tedesche dimostrano come, in generale, si parli della solita fobia basata sul nulla.
Sono molto più pericolose le (lente) autostrade americane, proprio perchè sono il trionfo dell’irresponsabilità dell’uomo non libero.
In Germania l’uomo libero, e responsabile (in ogni caso è il primo ad avere interesse a non schiantarsi ad alta velocità), ha perfettamente dimostrato l’esistenza del noto circolo virtuoso dato dalla compresenza di libertà e responsabilità.
L’automobilista tedesco, proprio perchè libero di andare a 240, ha sviluppato capacità superiori agli altri in termini di capacità di guida, cura dell’auto, ed anche capacità di costruire auto adeguate a livello industriale.
Da tale libertà nasce il principale successo economico tedesco.
Ma parliamo di qualità da persona LIBERA che poi si manifestano e riflettono in una maggiore civiltà in altri campi, e quindi in generale nella società.
Quella che manca quando si ha un gregge di pecore.
Anche sull’alcol in realtà si potrebbe discuterne meglio: in Italia da quando è cominciata questa mania hanno smesso di pubblicare i dati relativi agli incidenti causati dall’alcol, perchè non collimavano con la narrazione sulla pericolosità, che anzi ne veniva completamente smentita.
Comunque è facile blaterare per i governanti quando ancora per loro è bel tempo: e infatti i due bulletti liberaloni d’oltremanica e d’oltreoceano – slle prime gocce di pioggia – hanno ingranato la retromarcia e si sono trasformati in due fascistelli qualsiasi.
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Onore invece alla Corea (di cui si è parlato) ma soprattutto al sacro suolo del Sol Levante, il GIAPPONE (swt) di cui invece non si è parlato – con popolazione più anziana della nostra, ma con cifre ridicole di infettati (889) e morti (29) – popolo disciplinato e coeso che agisce all’unisono come un sol uomo.
Complimenti, bene impostato sotto altra angolatura: il diritto.