DI BENIAMINO DI MARTINO
“I diritti “negativi” non hanno bisogno di altra forma di riconoscimento se non quell’evidenza che proviene dalla natura delle cose e – proprio in forza del loro carattere “negativo” – devono essere esercitati fondamentalmente contro il potere e lo Stato. John Acton (1834-1902) a riguardo, infatti, amava ripetere che «in fondo tutta la libertà consiste nel preservare la sfera interna [della coscienza] dall’invadenza del potere statale». I diritti “negativi” non solo non hanno bisogno dello Stato per essere affermati, ma si pongono esattamente come baluardo contro la coercizione che viene esercitata dallo Stato con una potenzialità maggiore rispetto a qualsiasi altro soggetto.
Al contrario, i diritti “positivi” non solo non possono essere esercitati se non attraverso lo Stato, ma sono – in qualche modo – sua diretta promanazione; sono, infatti, creati dallo Stato e hanno vigore solo grazie alla forza ad essi data dalla legislazione. I diritti “positivi” sono, di fatto, produzione e creazione dello Stato.
Non avremmo questi diritti [positivi] se non ci fosse stato un processo di accentramento di autorità e di competenze che ha consolidato un potere legittimato dalle concessioni che elargisce.
[…]
Più sono numerosi questi, maggiore è la legittimazione dello Stato e della politica. Un diritto “positivo” è tale innanzitutto se viene riconosciuto un soggetto che ha il dovere di provvedervi; perde, viceversa, ogni consistenza in assenza dell’entità che lo garantisce. Chi riconosce un diritto è quindi, allo stesso tempo, colui che si impegna a farsi carico di ciò che appare come un dovere. Chi può accollarsi dei doveri è il solo che può accordare dei diritti. Chi, quindi, se non lo Stato?”