DI PIETRO AGRIESTI
L’economia pianificata è un sistema che spesso non riesce a funzionare rispetto ai propri obbiettivi, mancando di raggiungere i traguardi fissati nei piani approvati. Ma non è sempre così, talvolta si è rivelata capace di raggiungere gli obbiettivi che si era proposti. Tuttavia, la critica che va fatta a questo sistema non riguarda la sua scarsa capacità di realizzare i piani elaborati. La critica che va fatta all’economia pianificata è tout-court quella di essere un sistema che ruota intorno alla realizzazione di piani elaborati da politici e burocrati.
Quando nella Germania nazista si fissava una quantità X di tonnellate di acciaio da realizzare, o una quantità Y di mezzi di un certo tipo da produrre, ciò che si otteneva dal sistema costruito era, al più, di avere quelle tonnellate di acciaio e quel numero di mezzi. Un’economia pianificata è insomma un’economia costruita per rispondere a politici e burocrati, e anche quando funziona, funziona semplicemente nel fare questo. Non risponde ai bisogni e ai desideri delle persone che ne fanno parte, come invece fa un’economia di libero mercato.
Il libero mercato al contrario risponde ai bisogni e ai desideri delle persone che ne fanno parte semplicemente perché ognuno è libero di esercitarli quotidianamente; il che è esattamente ciò che la pianificazione economica e l’intervento statale contrastano. In un’economia libera ogni persona è libera – libera legalmente, che poi abbia la concreta possibilità di farlo non è detto, ma non le è proibito – di scegliere cosa studiare, che lavoro fare, come spendere i propri soldi, come investire i propri risparmi, dove abitare, come organizzare la propria vita. Ogni persona è libera di lavorare o non lavorare, di assumere e di licenziare, di cambiare lavoro, di cercare di mettersi in proprio, di costituire una società, di consumare o risparmiare, di investire o meno, di donare tutto ciò che vuole a chi le pare, di prestare e di prendere a prestito, e così via. La libertà di tutti gli attori coinvolti fa sì che il sistema risponda ai bisogni e ai desideri delle persone che ne fanno parte, ma è ovviamente in contraddizione con la pianificazione e con l’esercizio del potere politico.
Un’economia pianificata può riuscire a produrre X tonnellate di acciaio, ma non può replicare la varietà, l’innovazione, la flessibilità di un’economia fondata sulla libertà individuale. E soprattutto un’economia pianificata sgancia il sistema economico dalle preferenze individuali degli attori, e lo trasforma in un sistema che risponde ai piani alti della politica e della burocrazia. Per realizzare il piano elaborato di volta in volta dai socialisti di destra o di sinistra, le persone non possono più essere libere di autodeterminarsi, devono essere manipolate e disposte dalle autorità secondo quanto necessario a raggiungere i loro obbiettivi.
Nella misura in cui viviamo in economie pianificate e dirette – e le economie in cui viviamo sono enormemente più pianificate e dirette di quello che la persona media crede – viviamo ancora in un certo senso nell’economia di Stalin e di Hitler, meno platealmente militarizzata, meno platealmente violenta, sicuramente meno antisemita, ma sostanzialmente retta dalle stesse idee economiche. Idee economiche che, spogliate della retorica e dell’indottrinamento statalista, sostanzialmente sostengono la superiorità della schiavitù sulla libertà.
E questa è una cosa che a nessuna persona di buon senso può sembrare plausibile.
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